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    Amalberga, rinasce la DOC Ostuni

    Dario De Pascale, socio fondatore di Amalberga, durante il webinar di presentazione dei vini della sua cantina, ripete questo concetto più volte, come un mantra: “Abbiamo deciso sin dall’inizio di questa avventura, più di dieci anni fa, che saremmo usciti sul mercato solo quando i nostri vini fossero stati veramente pronti”. Scelta coraggiosa in un’epoca in cui vige il tutto e subito, dove la capacità di saper attendere invece che essere vissuta come una virtù è vissuta spesso come un disagio.

    Dario De Pascale

    E pensare che tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, per fare un parallelo con la musica, le case discografiche aspettavano almeno fino alla pubblicazione del terzo long playing/CD per poter decretare il successo o l’insuccesso di un’artista, tanto per dire, se non fosse stato così, ci saremmo persi Lucio Dalla. Di questi tempi, se non sforni almeno un tormentone al mese duri una stagione al massimo, tutto questo a scapito della qualità media della produzione musicale, oggi davvero scarsa. Tornando al vino e ad Amalberga, la dimensione dell’attesa che ha animato Dario De Pascale e i suoi soci (amici) Roberto Fracassetti e Roberto Candia, con la collaborazione degli enologi Valentino Ciarla e Gloria Battista, grazie anche alla forte volontà di far rinascere la DOC Ostuni, ha prodotto risultati davvero notevoli.

    Gloria Battista

    Vini davvero intriganti quelli di Amalberga, confesso di essermene innamorato perché sono l’esempio lampante di quello che dovrebbe essere il vino oggi, che con un termine un po’ abusato potremmo definire moderno ma tant’è. Il segreto dei vini di Amalberga, se di segreto possiamo parlare, è di essere semplici dove per semplicità si intende essere dotati di una bevibilità estrema associata a una capacità innata di accompagnare il cibo, essere gastronomici come si dice in gergo. Il bello però è questi stessi vini presentano tratti di grande originalità, eleganza e anche complessità, mi riferisco in particolare ai due bianchi Stùne e Icona d’Itria, anche dotati di grande capacità di reggere il tempo. L’Ottavianello Ostuni Rosso, invece, è il vino che vorrei trovare tutti i giorni sulla mia tavola, anche d’estate, leggermente fresco è davvero irresistibile.  

    La cantina e il territorio della DOC Ostuni

    Il nome della cantina si ispira alla monaca belga Amalberga di Temse, nota come santa nelle Fiandre e protettrice di agricoltori e marinai. Amalberga ha compiuto un lavoro meticoloso sui vigneti già esistenti e su nuovi piccoli appezzamenti seguendo i dettami dell’agricoltura biologica. Negli 11 ettari di proprietà e nei restanti 12 di aziende collegate si allevano le viti di francavilla, impigno, minutolo, bianco D’Alessano, primitivo, verdeca, ottavianello, susumaniello, aleatico e negroamaro.

    Tra questi spiccano i vigneti storici di primitivo, risalente al 1952, di verdeca, con alberelli di oltre 60 anni, e di negroamaro, con un’età media di 55 anni. Nonostante il debutto ufficiale avvenuto a Vinitaly 2024 e il completamento della struttura programmato sempre per l’estate 2024, il progetto Amalberga inizia nelle campagne ostunesi più di 10 anni fa con obiettivi chiari e innovativi per la denominazione e per il territorio: la creazione diun’azienda vitivinicola contemporanea nei vini, nell’architettura e nell’accoglienza.

    La storia della Doc Ostuni

    Istituita nel gennaio 1972 per riconoscere e normare la vocazione vitivinicola del territorio e gestita sin dal principio dalla cantina cooperativa di Ostuni, la denominazione include nel disciplinare Bianco di Ostuni – che vede l’impiego di uve impigno, francavilla e verdeca – e Ottavianello di Ostuni, che oltre a quest’ultimo prevede il notardomenico e in piccola parte il negroamaro, il susumaniello e il primitivo.

    Nonostante la tutela riservata all’area ostunese, gli incentivi all’espianto dei vigneti, gli scandali dell’enologia italiana negli anni Ottanta e politiche nazionali e comunitarie poco lungimiranti hanno portato alla estirpazione della quasi totalità della superficie vitata di Ostuni e della valle d’Itria, che contava oltre 4000 ettari vitati. Un danno consistente per il territorio, per il comparto vitivinicolo e per la Doc Ostuni che è sopravvissuta solo grazie al lavoro della famiglia Grecoche con un solo ettaro di proprietà ha rivendicato ogni anno la denominazione.

    OggiAmalberga, attraverso il suo progetto e i suoi vini, punta a raccontare e valorizzare questo territorio affinché abbia la posizione che merita nel panorama vitivinicolo regionale.

    I Vini degustati

    Il progetto Amalberga nasce con l’obiettivo di riscoprire la denominazione Doc Ostuni, un territorio straordinario, ma dal potenziale inespresso.

    Stùne DOC Bianco Ostuni 2023: la semplicità è una cosa complessa dice l’enologo Valentino Ciarla durante il webinar, perfetta sintesi di questo vino ottenuto 50% da uve impigno e 50% da uve francavidda. Naso delicato e al tempo stesso avvolgente di frutta agrumata e fiori. Al sorse è fresco sapido, dinamico, piacevolezza unita ad eleganza.

    Icona d’Itria IGT Salento Verdeca 2023 la Puglia attuale, senza dimenticare da dove si viene. Questa verdeca in purezza ottenuta da vigneti di oltre sessant’anni è di una espressività disarmante. All’olfatto è un vino di grande complessità, frutta fresca e agrumata ma anche delicate note vegetali. Al sorso è elegante, pieno, espressivo, finale lungo e avvolgente. Un vino di grande longevità, mi aspetto grande soprese per il futuro.

    Stùne Ottavianello DOC Ostuni Rosso 2023: da uve ottavianello, è il vino che vorrei trovare tutti i giorni sulla mia tavola, anche d’estate, leggermente fresco è davvero irresistibile, dicevo sopra. All’olfatto profumi di frutta rossa di grande piacevolezza, al palato è dinamico e succoso, da bere e da ribere. LEGGI TUTTO

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    I sessant’anni del Consorzio Collio: Il Collio è vivo, evviva il Collio

    Il 31 maggio del 1964, 152º giorno dell’anno secondo il calendario gregoriano, la luna si trovava nell’ultimo quarto, e le radio trasmettevano in continuazione le note di È l’uomo per me di Mina e di Love Me Do dei Beatles. Nei cinema, Sedotta e abbandonata di Pietro Germi smuoveva coscienze e sbancava al botteghino. Il 31 maggio 1964 era una domenica, giorno inusuale per la firma di un atto notarile, ne converrete. Ma, ça va sans dire, il motivo era sicuramente da ricercare nella necessità di non sottrarre tempo prezioso al lavoro in un giorno feriale.

    Ebbene, proprio in quella data di 60 anni fa, si firmava l’atto costitutivo del Consorzio Collio. Il primo presidente, nonché deus ex machina di tutta l’operazione consorzio, fu il conte Douglas Attems. Il conte, che proprio in quel periodo aveva iniziato a imbottigliare i suoi vini, compattò attorno a sé un gruppo di produttori con l’intento di arrivare il prima possibile all’ottenimento della DOC. Attems, a seguito della promulgazione della Legge 930 del 1963 che sanciva la nascita delle Denominazioni di Origine Controllata, ne aveva intuito l’importanza e la necessità di arrivarci al più presto, perché questo avrebbe significato prestigio e riconoscimento per quelle dolci colline che circondano Gorizia e che sarebbero poi diventate il Collio.

    Le botti dipinte della Cantina Produttori di Cormons

    Il conte soleva iniziare il suo discorso, quando parlava con qualcuno di vino, con una frase che era una sorta di manifesto programmatico: “…vede, noi del Collio…”. In quelle parole c’era la necessità di esibire tutta la grandeur che Attems, con un senso di preveggenza, attribuiva a quella piccola denominazione dalla quale sarebbe ripartita poi, grazie a pionieri come Mario Schiopetto e Marco Felluga, la rinascita del vino bianco italiano.

    Lo staf del Consorzio Collio con al centro il presidente David Buzzinelli e la direttrice Lavinia Zamaro

    Sessant’anni fa, si diceva, numero tondo, motivo di orgoglio e di festa per il Consorzio Collio, guidato oggi dal presidente David Buzzinelli e dalla direttrice Lavinia Zamaro, che hanno voluto celebrare la ricorrenza con un evento dedicato alla stampa e agli amici di sempre, proprio nello stesso giorno della firma dell’atto costitutivo, che ha avuto il suo momento clou con la masterclass “Assaggi di storia del Collio”. Occasione ghiotta per fare il punto dello stato di salute della denominazione grazie anche alla sapiente guida dell’ottimo Michele Paiano, sommelier per più di un ventennio de La Subida di Cormons.

    Michele Paiano

    La degustazione è stata una sorta di percorso nel bicchiere, attraversando il Collio di ieri e di oggi in tre momenti: Il Collio oggi, ovvero Ribolla Gialla 2022, Pinot Grigio 2022, Friulano 2021, Sauvignon 2023, Collio Bianco 2022. La longevità del Collio Bianco con una degustazione orizzontale di cinque annate dalla 2013 alla 2018 e Il Collio Rosso con degustazione delle annate 2008, 2012, 2013, 2018.

    Diciamo subito che la denominazione è in grandissima forma. Dopo il periodo di stanca di qualche anno fa, ricordo ancora le parole di Marco Felluga al Premio Collio del 2014, quando l’allora past president lanciò un grido d’allarme ritenendo che il Collio stesse perdendo appeal. Oggi, quel fascino, che si traduce in grandi vini nel bicchiere, è stato ritrovato quasi del tutto, soprattutto negli assaggi di Friulano, Sauvignon, Pinot Grigio e Pinot Bianco, anche se quest’ultimo non era presente tra i vini della masterclass; forse è la sola Ribolla Gialla a non esprimersi ancora su grandi livelli, ma questo discorso meriterebbe un approfondimento.

    Ovviamente non sto parlando della Ribolla Gialla di Oslavia perché quello è un microcosmo a sé. Su ottimi livelli anche il Collio Rosso. In questo caso parliamo di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot, ovvero i vitigni che vanno a comporre gli assemblaggi dei vini degustati. I vitigni bordolesi, che ormai potremmo definire autoctoni, in Collio si esprimono su grandi livelli, è un dato incontrovertibile. La vera perla identitaria, se così si può definire, resta però il Collio Bianco e qui si apre un discorso piuttosto delicato.

    Alcuni sono convinti che il territorio sia talmente espressivo da prevalere sempre sulla varietà e pertanto per fare il Collio Bianco, anche per non destabilizzare il consumatore, ha senso utilizzare tutte le uve a bacca bianca previste dal Disciplinare: chardonnay, malvasia istriana, picolit, pinot bianco, pinot grigio, riesling italico, riesling renano, ribolla gialla, sauvignon, friulano e con un massimo del 15% degli aromatici traminer e müller thurgau. Invece, per quanto mi riguarda, trovo molto più affascinante l’idea di ottenere il Collio Bianco solo da uve autoctone.

    Mappa del Collio

    Già nel 2017 mi appassionò l’idea, purtroppo poi tramontata, del Collio Bianco Gran Selezione, che doveva essere realizzato con le varietà autoctone storiche: friulano (dal 40% al 70%), ribolla gialla (max 30%) e malvasia (max 30%). Sembrava che questo progetto dovesse trovare la strada spianata grazie all’approvazione del nuovo Disciplinare che prevedeva, tra l’altro, oltre al recupero dell’uvaggio storico, l’uscita sul mercato dopo almeno 24 mesi d’invecchiamento e con una riconoscibilità evidente dovuta alla “Bottiglia Collio”, pensata qualche anno prima da Edi Keber.

    Era l’idea vincente per riposizionare il Collio tra i grandi terroir del mondo. Come spesso succede, quando si tratta di mettere d’accordo più teste che la pensano in modo diverso, l’idea rimase al palo, preferendo il mantenimento dello status quo. In realtà, questo pensiero non ha mai abbandonato un manipolo di produttori che in quel disegno, marcatamente identitario, vedevano e vedono una straordinaria possibilità per il rilancio del Collio tout court e che hanno dato vita, per l’appunto, al progetto “Collio Bianco da uve autoctone”.

    Il convegno “Collio, un viaggio lungo 60 anni”

    Nessuno mette in dubbio che in Collio gli internazionali diano grandi vini e che questi già trovino e possano continuare a trovare in futuro la loro strada nella DOC; ma alla fine qual è il vero tratto distintivo del Collio? Non può bastare il solo fatto che qui si facciano grandi vini bianchi. In una fase piuttosto delicata del comparto vino, e con altri areali sia italiani che internazionali pronti ad insediare il primato bianchista del Collio, è necessario distinguersi, è necessario essere unici e il Collio Bianco ottenuto da sole uve autoctone con l’uvaggio tradizionale (friulano in prevalenza, malvasia e ribolla gialla) va sicuramente in questa direzione.

    Il termine tradizione deriva direttamente dal sostantivo latino “traditio”, il cui primo significato era “consegna”; si legava infatti al verbo “trado” che voleva dire appunto “consegnare, porgere, trasmettere”. Spesso capita che la parola tradizione sia associata a una sorta di immobilismo, di conservatorismo; in realtà è vero l’opposto. Tradizione significa trasmettere ad altri affinché vadano avanti, nel percorso di vita che gli spetta, senza fermarsi e così all’infinito.

    Il Collio è vivo, evviva il Collio! LEGGI TUTTO

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    Ai blocchi di partenza la terza edizione di Red Montalcino

    Il Consorzio del vino Brunello di Montalcino venerdì 21 giugno torna ad ospitare nella Fortezza medievale del borgo toscano Red Montalcino, l’evento sarà anche l’occasione per festeggiare i primi quarant’anni della denominazione. Espressione versatile e contemporanea di un territorio enoico conosciuto in tutto il mondo, il Rosso di Montalcino – che quest’anno spegne quaranta candeline – sarà protagonista di momenti di confronto, assaggi, degustazioni e food pairing.

    Ad aprire il programma della terza edizione della manifestazione, “Red Evolution: origini e futuro del Rosso di Montalcino”, il talk moderato dalla caporedattrice di Rainews24 Barbara Di Fresco (riservato su invito, ore 11 | Chiostro di Sant’Agostino) che attraverso le voci di Enzo Tiezzi, Andrea Costanti e Francesco Ripaccioli ripercorre i primi quarant’anni della denominazione e fa il punto sulle prospettive e le nuove tendenze di un prodotto identitario per uno sguardo che dal passato guarda al futuro della doc.  

    Alle 18 la Fortezza apre i battenti anche agli eno-appassionati per il consueto walk around tasting con 68 aziende. Si prosegue con l’apertura dei food corner che propongono specialità gastronomiche regionali, vegan e fusion (ore 20), dell’enoteca collettiva con servizio sommelier e dell’area mixology con prodotti locali (ore 22). A chiudere Red Montalcino sotto le stelle, il djset firmato di Jay Carol Gigli del duo Jas&Jay.

    Per informazioni, elenco aziende partecipanti e biglietti: https://www.consorziobrunellodimontalcino.it/it/1993/red-montalcino

    In caso di maltempo l’evento è rimandato al giorno successivo. LEGGI TUTTO