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    Alberi ( non solo) amici della vite: i vantaggi dell’agroforestazione

    Una volta si chiamava “agricoltura promiscua”, oggi si preferisce parlare di agroforestazione, ma il presupposto è lo stesso: nel mondo del vino, la viticoltura specializzata non è più la risposta ultima (e vincente) ai problemi odierni.  L’integrazione tra la coltura della vite a quella di alberi da frutto e perfino ortaggi o altre specie vegetali non è un nostalgico tentativo di tornare al passato, ma l’esito di una più profonda comprensione degli stesi meccanismi agricoli e ambientali. Biodiversità, si chiama. Non è una novità, ovviamente. Prima dell’avvento dell’agricoltura intensiva e della specializzazione produttiva, era pratica comune dei contadini coltivare vigneti intercalati da alberi da frutto, ulivi, cereali e ortaggi. Questa pratica si fondava su un principio semplice ma efficace: al di la’ delle esigenze di mera sussistenza, diversificare le colture garantiva ai sistemi agricoli una maggiore resilienza e migliorava la qualità del suolo. In seguito però, con l’industrializzazione dell’agricoltura e la crescente domanda di vino sui mercati globali, molti produttori agricoli scelsero di specializzarsi nella viticoltura e di abbandonare tutte quelle colture che non garantivano un reddito adeguato. Anche il paesaggio cambiò – e in alcune zona continua a cambiare.Se oggi si torna a parlare di agroforestazione, non è tanto per un richiamo alla tradizione, ma per aver capito che questo approccio è maggiormente in sintonia con le moderne esigenze di sostenibilità ambientale e di qualità del prodotto. In campo viticolo, le pratiche agricole che promuovono la biodiversità, migliorano la salute del suolo e riducono la necessità di fitofarmaci stanno diventando sempre più preziose. In un sistema agroforestale ben progettato la diversità di colture e la presenza di alberi contribuiscono a creare un ambiente meno favorevole alla proliferazione di parassiti e malattie, riducendo la necessità di ricorrere ai fitofarmaci. L’integrazione alberi-altre colture, specie se piante perenni, oltre a garantire una maggiore biodiversità, aiuta a mantenere la struttura del suolo, prevenendo l’erosione e migliorando la capacità di trattenere l’acqua, senza contare che la presenza di diverse specie vegetali aiuta a incrementare la materia organica nel suolo, migliorando la fertilità e la capacità di sequestrare il carbonio. E si sa quanto la qualità di un vino sia legata alla salute del suolo, alla disponibilità di acqua e alle interazioni tra le piante e l’ecosistema circostante.Inoltre, alcuni studi suggeriscono che la maggiore biodiversità e la complessità degli ecosistemi agroforestali possono influenzare positivamente anche il profilo aromatico delle uve, perchè le interazioni tra diverse specie vegetali e i microrganismi del suolo possono contribuire allo sviluppo di composti aromatici più complessi, che si riflettono nel vino.I vantaggi dell’agroforestazione insomma, sono numerosi e abbastanza evidenti, ma qual’è il rovescio della medaglia? Passare da un sistema di monocoltura ad uno agroforestale non è cosa che si riesca a fare dall’oggi al domani. Richiede un cambiamento significativo nelle pratiche agricole – e questa è la parte facile – ma soprattutto  nella mentalità degli operatori. E questa è la parte difficile, perchè sappiamo quanto i produttori possano essere recalcitranti davanti alle novità, anche quando novità non sono. Inoltre, i benefici del nuovo sistema non sono immediati, ma si manifestano nel lungo termine. Il sistema però funziona: chi ha già adottato l’agroforestazione sta dimostrando che è possibile produrre vini di eccellenza in modo sostenibile, contribuendo a preservare il paesaggio rurale italiano e a garantire un futuro più verde e prospero per chi verrà dopo di noi. In conclusione, ad oggi l’agroforestazione rappresenta un’opportunità unica per i viticoltori italiani di distinguersi in un mercato globale sempre più competitivo, perchè permetterebbe loro di produrre vini che rispecchiano il loro impegno verso la sostenibilità ambientale e presentano anche una qualità superiore e una maggiore complessità aromatica, in grado di soddisfare i consumatori più esigenti. LEGGI TUTTO

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    Tutto quello che è bene sapere per comunicare il vino italiano negli USA

    Nel business del vino è fondamentale continuare ad aggiornarsi a 360 gradi. Viviamo in un mondo sempre più complesso, e se vogliamo raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati, dobbiamo possedere le competenze e gli strumenti più performanti per i nostri scopi. Uno dei settori più strategici eppure sottovalutati, e in troppi casi il primo a essere depennato dalla lista della spesa delle aziende vinicole quando le cose si fanno difficili, è quello della comunicazione. Tutte le aziende dicono di essere consapevoli della sua importanza, eppure molto poche la prendono davvero sul serio, dotandosi delle persone e degli  strumenti che servono, tecnologici e non. Ecco allora un piccolo strumento davvero utile e attuale: l’ultimo libro edito da Mamma Jumbo Shrimp, ovvero Stevie Kim, che insieme a Gino Colangelo e a un piccolo gruppo di collaboratori ha messo insieme tutto quello che è bene sapere per aiutare i propri vini ad avere successo nel complesso mercato a stelle e strisce. In pratica, due dei più famosi esperti americani del settore della comunicazione nel mondo del vino hanno deciso di sottoporsi a un virtuale question time e rispondere a tutte le domande e le curiosità della gente del vino.“Social, PR e media relations del vino – 100 FAQ per il mercato USA con Stevie Kim e Gino Colangelo” è un libretto agile nel formato (tascabile), ma molto corposo nel contenuto. In 151 pagine sono condensate le risposte alle 100 domande più frequenti che produttori (ma anche responsabili marketing, PR, social media manager e simili) si pongono continuamente quando si tratta di affrontare gli USA. Domande che spesso anche chi scrive si sente rivolgere, e alle quali non si riesce mai rispondere in maniera sintetica ed efficace, perché a dispetto della semplicità della domanda la risposta in genere è molto complessa e articolata. E quel che è peggio, va sempre personalizzata, perché non esiste una taglia unica nella comunicazione contemporanea. Il famoso one-size-fits-all degli anni Sessanta appartiene a un mondo che non esiste più. Così, anche nella comunicazione, quello che funziona per un’azienda non è detto che funzioni per un’altra, nemmeno se fa gli stessi vini e si trova nella stessa DOC. Ecco dunque perché è importante leggere e tenere sempre a portata di mano questo libro: fornisce le basi da cui partire per impostare, correggere, implementare le proprie attività di comunicazione. Il testo è diviso in 12 capitoli, ognuno dei quali affronta in maniera chiara ed esauriente un tema diverso: si parla Marketing e Communication Strategy (con risposte a domande come “Quali sono i migliori canali per comunicare con ai consumatori di vino negli USA?”), di PR (“E’ necessario che la mia agenzia di pubbliche relazioni operi nel settore del vino?”) , Media Relations (“Come posso far apparire il mio vino nelle principali pubblicazioni enologiche statunitensi?”), Critica Enologia e Punteggi (“Come posso usare i punteggi ottenuti dai miei vini per migliorare le mie strategie di marketing negli USA?”), Social Media Marketing, Influencer Marketing, Advertising e sponsorizzazioni, Siti Web, Analytics e performance tracking. Eccetera. Uno sguardo a 360 gradi che non tralascia nulla e da’ una risposta ai principali crucci  di qualsiasi azienda. C’è solo un interrogativo a cui il libro non risponde, perché non può farlo: l’identità dell’azienda. Tutte le risposte infatti partono dal presupposto che la cantina che voglia sbarcare in USA, o voglia migliorare il suo export, sappia benissimo chi è, qual’è il messaggio che trasmettere il suo brand, in cosa consiste la sua UVP (Unique Value Proposition, detta anche Unique Selling Proposition: ciò che la distingue dai concorrenti e la rende unica e irripetibile). Una coscienza di se’ che, alla prova dei fatti, non tutte le aziende sembrano avere ben chiara. Ma questo è un altro problema.“Social, PR e media relations del vino – 100 FAQ per il mercato USA con Stevie Kim e Gino Colangelo” – Mamma Jumbo Shrimp Ed., è in vendita su Amazon. LEGGI TUTTO

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    Notte di Malvasia nell’uliveto

    Per la serie se avete la fortuna di poter essere sul Carso giovedì 22 agosto 2024, dalle 19.30 alle 22.30, nell’uliveto di Damjan Milič, situato accanto alla Chiesa di San Michele Arcangelo a Sgonico (TS), si terrà una manifestazione più unica che rara dedicata alla Malvasia Istriana. L’evento, è proprio il caso di dirlo, organizzato dal Comune di Sgonico, dall’Associazione dei Viticoltori del Carso e dall’associazione regionale Città del Vino si inserisce nel circuito de Le notti del vino.

    Alla serata parteciperanno, con le loro migliori espressioni di Malvasia, le aziende agricole Bajta, Budin, Colja, Fabjan, Milič Zagrski, Ostrouska e Skerlj. Nel pittoresco uliveto, i visitatori potranno anche deliziarsi con la tipica gastronomia carsolina: salumi, carne impanata, tortelloni fatti a mano con formaggio Jamar e basilico, forniti per l’occasione dal pastificio Barone e cucinati dalla trattoria sociale Gabrovec.

    Il numero di posti per l’evento è limitato a 70, e il costo del biglietto è di 35 euro. I biglietti possono essere prenotati via e-mail all’indirizzo carsovinokras@gmail.com. Dopo la prenotazione, i visitatori riceveranno istruzioni per il pagamento tramite PayPal. Il pagamento deve essere effettuato entro tre giorni, dopo i quali la prenotazione scadrà.

    L’evento è sostenuto da Io sono FVG, UNIDOC FVG, Consiglio Regionale FVG, Banca FVG 360, Eno_book festival internazionale della letteratura enogastronomica, pastificio Barone, Trattoria sociale Gabrovec e l’azienda Riciclo system.

    Per informazioni:

    Associazione viticoltori del CarsoDruštvo Vinogradnikov Krasawww.carsovinokras.itwww.mareevitovska.euwww.facebook.com/CarsoVinoKraswww.instagram.com/carsovinokras LEGGI TUTTO

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    Blend simmetrie enoiche e culturali

    Per il comparto vino, innegabilmente, è un periodo complesso. Contrazione nei consumi, salutismo, a volte esasperato, uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico nel raccontare il nettare di bacco, sembrano dipingere un futuro a tinte fosche. Ma è veramente così? Certo, già solo il calo delle vendite darebbe inevitabilmente ragione a questa visione che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori non esita a definire assolutamente realistica, io però sto con Fabio Piccoli di Winemeridian che nel suo articolo  “La solitudine dell’ottimismo”    racconta come  il vino abbia ancora importanti spazi di sviluppo e tante nuove opportunità che si affacciano all’orizzonte, invitando a guardare avanti con fiducia .

    C’è poi un altro aspetto, assolutamente non secondario, che rende unico e immortale il vino: il fatto che è una bevanda culturale. Il vino da secoli è emblema socioculturale ancor prima che un prodotto commerciale. Potremmo scomodare Polifemo che si inebria con il vino di Ulisse o addirittura la transustanziazione, ovvero sostanza del vino che si trasforma nel sangue di Cristo, tanto per fare qualche esempio.

    Eric Culon e Antonio Paolini

    Ed è anche vero che Terroir* di grande espressività, in grado di trasmettere la loro fedele impronta nel vino, consentono di ottenere vini irripetibili, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è prerogativa solo del vino. Certo, l’aspetto commerciale e il marketing sono fondamentali. Tuttavia, per avvicinare o riavvicinare il consumatore al vino, compresi i tanto agognati giovani, è altrettanto fondamentale la comunicazione.

    Giuseppe Carrus, Umberto Cosmo, Olga Verchenko

    Questa deve essere liberata da orpelli e ghirigori, più prosaicamente detti supercazzole, e non può prescindere dalla questione culturale. Cosa che i fratelli Cosmo (Bellenda) fanno da tempo in quel di Carpesica, con la rassegna enoculturale Blend simmetrie enoiche, giunta quest’anno alla sua quinta edizione. Bellenda, oltre a fare vini per proprio conto, è anche un piccolo importatore, che sceglie i produttori siano essi italiani, francesi, spagnoli, croati, per simbiosi, solo se c’è condivisione di filosofia e etica del lavoro.  

    Umberto Cosmo, Eric Culon, Antonio Paolini

    Il pensiero che c’è dietro ad ogni edizione di Blend, questa piccola manifestazione-gioiellino che naviga a vele spiegate nel mare magnum dei tanti eventi italici dedicati al vino, non è mai la mera degustazione, per altro di vini eccellenti, ma diventa luogo di incontro con l’obiettivo di scambiarsi idee, esplicitare proposte, approfondire la propria conoscenza, in poche parole fare cultura del vino.

    Il messaggio finale, perlomeno quello che arriva a me al termine di ogni edizione, è l’acquisizione di una nuova consapevolezza da trasmettere a tutti coloro che di vino si occupano a vario titolo, produttori, giornalisti, comunicatori, enotecari, agenti, ovvero che il fine ultimo per tutti debba essere l’inclusione.

    Diana D’Urso e Fosca Tortorelli

    Spesso invece, sono proprio gli addetti ai lavori ad avere nei confronti del consumatore un atteggiamento di esclusione che lo allontana dal mondo del vino invece che attrarlo; snaturando l’essenza del vino stesso che, per sua natura, dovrebbe portare alla convivialità, alla condivisione. Non saprei come altro definire, se non escludente, il ricorso esasperato a tecnicismi, il dogmatismo e lo snobismo di taluni.

    Visto pero che Blend simmetrie enoiche racconta di vino non solo parlato ma anche bevuto, questa quinta edizione  la ricorderò per gli champagne di Eric Culon (Roger Culon) e Jacques Oudart (Etienne Oudart), per i Cava di Pere Ventura per il Saussignac e il Sauvignon Gris di Isabelle e Thierry Daulhiac (Chateau Le Payral),

    i vini de Lo Jura di Patrick e Sophie Ligeron (Domaine des Carlines), il Magma Pouilly Fumé di Domaine de la Croisee, e poi la stupenda interpretazione del Verdejo in tutte le sue sfumature dei fratelli Sanz (Menade) e Marco Levis con i suoi espressivi  vini delle montagne dell’’Alpago.

    “Il mio interlocutore è la persona che assaggia e beve vino, il cittadino consumatore che appare, e spesso vuole sentirsi, l’anello debole della catena e che invece ha un potere eccezionale per cambiare le cose, cominciando a pretendere sempre più vini interessanti e che lasciano un senso di benessere”

    Sandro Sangiorgi, Il Vino capovolto, Porthos Edizioni, 2017.

    *Il terroir è uno spazio geografico delimitato, nel quale una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere comune per la produzione, fondato su un sistema di interazioni tra un mezzo fisico e biologico e un insieme di fattori umani. Gli itinerari socio-tecnici messi così in gioco rivelano una originalità, conferiscono una tipicità e conducono a una reputazione per un bene originario di questo spazio geografico.

    INAO (Institut national de l’origine et de la qualité, ex Institut National des Appellations d’Origine), 1999 LEGGI TUTTO

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    Da Nord a Sud, la voce di alcuni Consorzi sulla vendemmia 2024

    E’ già tempo di vendemmia, in questo problematico 2024. Ecco allora una veloce carrellata delle situazioni vitivinicole di alcune regioni italiane. Riceviamo e rilanciamo (il grassetto è nostro, n.d.r.)ANTONIO RALLO, PRESIDENTE DEL CONSORZIO DI TUTELA VINI DOC SICILIA”Confermiamo le previsioni annunciate nei giorni precedenti l’avvio della vendemmia, in Sicilia la qualità delle uve è eccellente. La siccità e le temperature più elevate della media hanno generato un sostanziale anticipo dell’inizio della vendemmia. Si prospetta una notevole flessione della quantità prodotta (rispetto alla media dei 5 anni precedenti) che si attesterà sui moderati volumi dello scorso anno”.VITALIANO MACCARIO, PRESIDENTE DEL CONSORZIO BARBERA D’ASTI E VINI DEL MONFERRATO“A livello quantitativo e qualitativo le aspettative per la vendemmia 2024 sono buone, non ci sono stati eventi particolarmente impattanti in quest’annata, fatto salvo un aumento della piovosità che ha intaccato tutto il Nord Italia. L’abbassamento delle temperature in corrispondenza dei mesi di fioritura ha ritardato leggermente la data di inizio vendemmia, che è prevista per le prime settimane di settembre per le uve a bacca bianca per poi passare alla raccolta di uve rosse verso la seconda metà del mese di settembre. Un ottimo risultato che possiamo confermare arrivi anche dall’oculato e corretto approccio delle nostre aziende dal punto di vista dei trattamenti fitosanitari”.MASSIMO SEPIACCI, PRESIDENTE DI UMBRIA TOP“La vendemmia 2024 in Umbria si prospetta buona per quantità e qualità. Del resto, la regione è caratterizzata da un clima continentale con influenze mediterranee: le estati calde e gli inverni freddi, insieme alle colline ben ventilate, creano condizioni ideali per la viticoltura. Sebbene le aree con terreno argilloso soffrano un po’ meno il caldo, rispetto alle aree con terreno sabbioso, la qualità delle uve sarà fortemente influenzata dalle condizioni climatiche estive, perché le piante potrebbero risentire, se dovesse continuare così, della siccità e del caldo che sta contraddistinguendo la stagione in corso. Come elemento a favore sulla resa qualitativa dell’annata in corso, lasciano sicuramente ben sperare l’assenza di elementi patogeni. Si confida quindi in qualche pioggia estiva, ma al momento non si prevede un anticipo sostanziale delle fasi di raccolta”.RAFFAELE LIBRANDI, PRESIDENTE DEL CONSORZIO DI TUTELA VINI DOC CIRÒ E MELISSAQuest’anno i produttori del Consorzio Cirò e Melissa sono fiduciosi per la buona riuscita della vendemmia 2024, in quanto lo stato fitosanitario dei vigneti è ottimo, non si sono sviluppate malattie che hanno intaccato il raccolto. Il lavoro di cura meticolosa portato avanti dai produttori nei mesi precedenti la raccolta per sopperire alla carenza idrica ha portato a risultati soddisfacenti.Rispetto allo scorso anno abbiamo iniziato con la vendemmia dei vitigni internazionali con un anticipo di quindici giorni, di conseguenza i grappoli sono leggermente più piccoli rispetto alla media; tuttavia, la quantità di uva è superiore al 2023 e ci aspettiamo un raccolto con alti standard qualitativi”. LEGGI TUTTO

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    Non la solita vineria

    Non, l’enoteca diversa…sulla cartaSiamo in via Orti, zona Porta Romana, che da via laterale con un paio di locali (Lacerba è a fianco di NON) è diventato un concentrato di diversi locali.Tra questi appunti NON la solita vineria enoteca e non solo che ha aperto da poco meno di un anno.Ingresso sulla strada con un paio di tavolini al coperto, si sviluppa poi nella parte interna con due belle sale con mattoni a vista, soffitto in legno ed arredate in stile industriale.I monitor a vista con il menu ed i vini non ci hanno fatto impazzire, così come gli addetti con il giubbino catarifrangente. Effetto “aeroporto” non il linea con il resto della struttura.Purtroppo poi abbiamo evidenziato un grave difetto appena il locale si riempie un po’: l’insonorizzazione mancante. Difatti se pieno, diventa veramente difficile parlare con la stessa persona al tavolo, pregiudicandone l’esperienza.La scelta dei vini è molto varia, anche se in mescita ci si aspetta forse un numero maggiori di calici (sono disponibili anche calici con coravin), mentre per le bottiglie c’è veramente ampia scelta con molti vini francesi (ma anche tedeschi) e quasi tutti improntati allo stile naturale/biologico.Anche la scelta sul cibo non è male, spaziando dai toast a elementi più ricercati.Sui vini, il personale potrà aiutarvi, ma solo se la sommelier Valentina è disponibile, gli altri al servizio sono molto gentili ma meno ferrati sui vini disponibili.Molto comoda la funzionalità di prenotazione online del tavolo.In definitiva, un locale che potrebbe dire molto di più aggiustando un paio di cose. N. etichette Originalità etichette Competenza e disponibilità Prezzi AmbienteNON la solita vineria  – Sito webVia Orti 4, 20122 Milano – MappaOrario di apertura:Da lunedì al sabato 18-24Visitato a Luglio 2024 LEGGI TUTTO

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    Ca’ di Rajo, Aganis, Bellussera, Friulano, Tai e altre storie

    Non dovremmo mai dimenticare che la ricchezza del patrimonio ampelografico italiano è caratterizzato non solo dai sistemi di allevamento della vite più moderni, ma anche da antichi metodi che persistono ancora oggi, grazie alla dedizione di un gruppo di viticoltori appassionati, che definirei eroici per la loro straordinario impegno. Questi antichi sistemi di allevamento hanno attraversato i secoli e rappresentano una testimonianza concreta della capacità dell’umanità di modellare la natura e l’agricoltura in forme più adatte ai nostri ambienti di vita. Uno degli esempi più vividi in tal senso è la Bellussera, metodo di allevamento della vite basato su un sistema a raggi, messo a punto dai fratelli Bellussi alla fine dell’800.

    Allevamento a Bellussera

    A San Polo di Piave, in provincia di Treviso, c’è chi non solo preserva, ma addirittura rilancia con nuovi progetti questa forma di allevamento storica per la viticoltura italiana che è la Bellussera. Si tratta dell’azienda Ca’ di Rajo, guidata dalla famiglia Cecchetto. Nonostante l’impossibilità di meccanizzarne le operazioni di potatura e vendemmia, Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, non hanno mai nemmeno lontanamente pensato di estirpare i 15 ettari di viti di oltre 70 anni, anzi, hanno difeso a spada tratta un metodo di allevamento tipico di quest’area di risorgiva che si snoda lungo le terre del fiume Piave.

    Simone, Fabio e Alessio Cecchetto

    La viticoltura in questo vigneto si può condurre esclusivamente a mano: la vendemmia si compie a circa 3 metri da terra, sotto le viti disposte a raggiera e lo stesso vale per la potatura. Le operazioni di raccolta delle uve si svolgono grazie a un rimorchio e a un pianale che consentono di raggiungere l’altezza necessaria. La Bellussera, infatti, prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera.

    Nei 15 ettari a Bellussera Ca’ di Rajo coltiva le varietà raboso, glera, chardonnay, pinot bianco, sauvignon, verduzzo, merlot. A queste si aggiungono il manzoni rosa, autoctono ormai raro. Ma è grazie alla famiglia Paladin di San Polo di Piave, loro conferitore e proprietaria del vigneto, che i Cecchetto sono venuti a conoscenza dell’esistenza di una Bellussera coltivata a tai (tocai friulano). Ovviamente, visto l’impegno per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo del territorio del Piave, i Cecchetto hanno adottato il vigneto con l’intento di dare il via a un progetto di vino davvero unico: Iconema, un Tai da Bellussere centenarie.

    i vigneti di Aganis circondati dalle Alpi Giulie

    Muoversi su vecchi percorsi, magari tracciati dai propri antenati, nonostante le difficoltà, è di sicuro confortevole ma alla lunga potrebbe diventare poco stimolante. Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, decidono così nel 2012, ma con un progetto che si concretizza nel 2021, di reiventarsi da capo su strade nuove, nasce così Aganis, cantina nata dalle ceneri di una realtà dismessa da tempo nei pressi di Borgo Salariis a Treppo Grande in provincia di Udine, siamo nella punta estrema dei Colli Orientali del Friuli. Le Agane (Lis Aganis) sono antichi spiriti dei fiumi friulani che prendono spesso le sembianze di giovani donne. Il mito le considera protettrici dei pescatori e degli agricoltori.

    vigneti di Aganis nei Colli Orientali del Friuli

    Nella proprietà friulana dei Cecchetto c’è grande attenzione per gli autoctoni, ribolla gialla, malvasia, refosco dal peduncolo rosso e, least but not last, l’autoctono per eccellenza, il friulano (ex tocai). Nasce da qui l’idea di mettere confronto in un viaggio/testing, tra Veneto e Friuli, il friulano e il tai, non solo due territori diversi ma anche due metodi di allevamento della vite diversi: da un lato La Bellussera centenaria per Iconema, il Tai Doc Piave di Ca’ di Rajo e dall’altro il guyot per Incjant Friulano DOC. Visto che poi il progetto Aganis è fortemente incentrato anche sulla produzione di tre spumanti, ottenuti da uve malvasia, ribolla gialla e pinot nero, la degustazione ha allargato i suoi orizzonti al Balsim, uno charmat lungo ottenuto da uve 100% malvasia istriana. Vediamo com’è andata.

    La degustazione

    Balsim Malvasia Millesimato 2021 Brut

    È dalle bottiglie che apri senza grandi aspettative che spesso arrivano le sorprese. Da uve 100% malvasia istriana. Charmat lungo, che sosta in autoclave 10/12 mesi, davvero notevole, anzi mi sbilancio, per tipologia sicuramente uno dei più intriganti assaggiati negli ultimi anni. Balsim, che in friulano significa toccasana per l’appunto, è spumante di grande freschezza con un olfatto di frutta matura/candita di grande impatto. Vino di bella piacevolezza per chi è in cerca di una bollicina diversa.

    Incjant Friulano 2022

    Mi immagino la trepidazione dei Cecchetto nel misurarsi con uno dei vini simbolo del Friuli, diciamo subito che la sfida è vinta, bravi, ottimo tocai, sapido e profondo con una leggera nota fumé che ne amplifica l’eleganza. Aganis sta lavorando a delle riserve, le attendo con grandi aspettative.

    Iconema Tai Doc Piave 2020 (Bottiglia 21 di 1200)

    Tai ottenuto da uve di un vigneto, allevato a Bellussera, che risale ai primi anni del Novecento. Un vigneto di proprietà della famiglia Paladin di San Polo di Piave che la cantina ha “adottato” sostenendone la salvaguardia.  Le uve, vendemmiate a mano, vengono adagiate su graticci e selezionate per un appassimento di circa 25 giorni. Il 30-40% del mosto fermenta in tonneaux. Per l’affinamento successivo una parte sosta in acciaio, una parte in ceramica e una parte in barrique per poi arrivare al blend e uscire in bottiglia, almeno dopo un ulteriore anno, in edizione limitata e numerata. Un Tai davvero unico, ancora una volta capace di confermare tutta la grandezza delle uve tocai friulano che in questo vigneto allevato a Bellussera si esprimono con caratteristiche davvero uniche, soprattutto in quanto a sapidità. Un vino da consigliare a tutti i bianchisti incalliti alla ricerca di novità.  LEGGI TUTTO

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    Annalisa Zorzettig scelta tra le “100 donne di successo 2024” di Forbes Italia

    Annalisa Zorzettig, produttrice e titolare della storica azienda vitivinicola friulana, è stata inserita tra le 100 donne 2024 di Forbes Italia. Ogni anno il magazine più famoso al mondo su cultura economica, leadership imprenditoriale, innovazione e lifestyle dedica questa classifica alle figure femminili che nell’ultimo anno hanno contribuito alla crescita del Paese, dal punto di […] LEGGI TUTTO