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    USA – consumi e mercato del vino – aggiornamento 2022

    I dati pubblicati recentemente dal Wine Institute di San Francisco restituiscono una immagine del mercato americano del vino coerente con quanto stiamo osservando nelle nostre serie di esportazione. Ossia, un mercato in cui dopo il boom legato al Covid i consumi di vino sono calati, pur mantenendo un dato stabile in termini di valore al dettaglio. In particolare, il consumo di vino 2022 è stimato in 964 milioni di galloni, che sarebbero 36.5 milioni di ettolitri, contro un consumo stimato per il 2021 di 1.1 milioni di galloni, quindi oltre 41 milioni di ettolitri. I dati possono essere volatili e gli anni anormali che abbiamo affrontato possono portare a conclusioni errate. Di certo, come potete vedere dal grafico qui sopra, i tassi di crescita del vino in USA si stanno normalizzando. Su un orizzonte quinquennale parliamo di +0.4% per i volumi e +2.6% per il valore, su base annua. Ciò si confronta con un dato del +2/3% per volumi e circa +5% annuo per il valore del decennio precedente (2007-17). Il quadro applica poi anche allo specifico del vino californiano, che è poi il focus dell’istituto da cui abbiamo preso i dati. Le spedizioni di vino sono calate del 9% circa a 22.4 milioni di ettolitri, di cui quasi 20 sono comunque dedicati al mercato americano. Nel resto del post qualche ulteriore dettaglio.

    I consumi di vino americano a volume sono stati di 36.5 milioni di ettolitri nel 2022, con un calo apparente del 12% sul 2021. Il dato 2021 comunque diverce in modo sensibile da quanto stimato da OIV, che invece dice 33 milioni di ettolitri (34 per il 2022).
    Il valore al dettaglio non viene rilevato, ma viene stimato intorno a 79 miliardi di dollari, con un incremento dell’1% sul 2021, il che implica un aumento del valore medio al litro del 15%, da 19 a 22 dollari.
    I dati per il vino californiano sono coerenti con questo quadro, con spedizioni calate dell’8.4% nel mercato americano e del 12% in quello internazionale dal punto di vista dei volumi, per un retail value che però secondo il Wine Istitute sale a 58 miliardi di dollari. Trovo il dato piuttosto strano e da controllare, essendo in incremento del 20%.
    Vi lascio ai grafici e alle tabelle. LEGGI TUTTO

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    Il valore della produzione di vino in Italia – dati ISTAT 2022 per regione

    Istat ha pubblicato in giugno l’aggiornamento 2022 sul valore della produzione di vino ai prezzi di base, cresciuto del 10% a 4.6 miliardi di euro essenzialmente grazie al contributo delle regioni delle regioni del mezzogiorno, in crescita di oltre il 20%. Il dato va però “preso con le molle” perché il 2022 è un anno di inflazione elevata e, in effetti, se invece dei dati nominali che vedete nelle tabelle passiamo ai dati reali (ossia “concatenati ai prezzi 2015”), il segno “+” scompare e il dato 2022 è stabile rispetto al 2021 (3.75 miliardi di euro, se consideriamo i prezzi 2015). Seppur ci saranno delle revisioni sui dati del’ultimo anno, il senso è chiaro. Il 2022 non è stato un anno di crescita per il vino italiano. Il secondo punto che emerge comparando i dati del vino con i dati dell’agricoltura è che dal 2019 il valore della produzione vinicola cresce meno di quello dell’agricoltura in generale. In altre parole, se negli anni fino al 2018 il vino cresceva di peso sul totale agricoltura fino al 16%, negli ultimi quattro anni è gradualmente calato fino al 12.4%. È un ulteriore segnale (oltre alle esportazioni) che il settore del vino va bene ma non così tanto bene (o forse meglio di altri segmenti della nostra produzione agricola più in ombra). Passiamo a commentare qualche dato, con dettaglio regionale, insieme.

    Il valore della produzione di vino in Italia ai prezzi correnti di base è stato di 4.6 miliardi di euro secondo i dati ISTAT pubblicati a giugno 2023. Di questi, 0.7 miliardi sono nel Nord Ovest (-8%), 1.7 miliardi nel Nord Est (+7%), 0.8 miliardi nel centro Italia (+16%) e 1.1 miliardi nel Mezzogiorno (+22%).
    L’andamento su base decennale segna un +5% annuo e vede sempre il NordEst (+6%) e il Mezzogiorno (+7%) davanti alle altre zone (NordOvest +2% e Centro +3%).
    Dal punto di vista regionale i numeri diventano ancora più dettagliati e “volatili”. Se teniamo lo sguardo sul lungo termine, 10 anni su base annua, Sardegna (+10%), Puglia (+9%), Liguria, Abruzzo, Veneto (tutte intorno al +7%) e FriuliVeneziaGiulia (intorno a +6%) sono le regioni in cui il valore della produzione è cresciuto maggiormente.
    Le regioni del Nord Ovest con Lombardia (+1%), Piemonte e Valle d’Aosta (+2%), insieme al Lazio (+2%) sono invece le regioni secondo Istat dove la crescita è inferiore, mentre solo in una regione (Basilicata) viene rilevato un dato negativo.

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    Germania – esportazioni di vino 2022

    Le esportazioni di vino tedesco sono cresciute del 6% nel 2022 a 1.07 miliardi di euro, il livello più elevato degli ultimi anni. Come ben sapete la Germania è un mercato di importazione più che di esportazione: a fronte dei 3.5 milioni di ettolitri esportati nel 2022, oltre 13 milioni sono importati, per una “bilancia” negativa di 10 milioni di ettolitri e, in euro, di 1.6 miliardi di euro. Un’altra curiosità è il fatto che la Germania esporta a 300 euro per ettolitro e importa a 200, quindi mediamente vende vino più pregiato (o a maggior prezzo) di quello che compera. Passando invece ai dati che abbiamo sottomano oggi, credo che la considerazione più interessante sia il progresso strutturale che il vino tedesco sta avendo nei paesi dell’Est Europa, che non sono ancora considerati o messi nel mirino da altre nazioni esportatrici. La Polonia, per esempio, è il terzo mercato per il vino tedesco già dallo scorso anno (forse il secondo, dato che il dato olandese è probabilmente falso e influenzato dalla riesportazioni), con un ulteriore progresso a doppia cifra e un valore delle esportazioni di 83 milioni di euro; ma potete notare più in basso anche il progresso della Repubblica Ceca, +10% sul 2022 e +10% annuo dal 2017. Bene, passiamo a un breve commento dei dati.

    Il totale delle esportazioni di vino tedesco è aumentato di 60 milioni tra il 2021 e il 2022, passando a 1066 milioni di Euro, +6%. Il volume esportato è invece calato del 5% a 3.5 milioni di ettolitri.
    I Paesi Bassi restano il principale mercato di esportazione per il vino tedesco in termini di valore e ancor più di volume, ma hanno registrato una diminuzione passando da 176 milioni a 157 milioni (-11%). In termini di volume siamo passati da 950 a 750mila ettolitri, -21%.
    La Norvegia e l’Austria sono i paesi che hanno mostrato la maggiore crescita con un aumento del 36%. La Norvegia ha aumentato le sue importazioni da 49 milioni a 66 milioni. L’Austria ha aumentato a 48 milioni di EUR.
    Altri paesi che hanno aumentato le importazioni di vino tedesco sono come dicevamo la Polonia (+15% a 83 milioni), con un volume a +5% e il Regno Unito (+14% a 82 milioni).
    Resta invece stabile il mercato USA, probabilmente il principale “vero” importatore di vino tedesco: con 87 milioni, resta ancora ampiamente sotto il livello raggiunto nel 2016-17 di 100 milioni di euro.

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    Yantai Changyu Pioneer Wine – risultati 2022

    I dati 2022 di Yantai Changyu Pioneer Wine confermano l’attuale difficoltà del mercato cinese del vino. Gli amministratori scrivono nel (vergognoso) riassunto del bilancio in inglese: “Nel 2022, il mercato del vino domestico ha continuato a declinare a causa dell’impatto della situazione economica e della pressione di altri liquori come il Baijiu e le birre. Le vendite sia di vino importato e di vino domestico sono calate a doppia cifra (oltre il 10%), e l’aumento dei costi delle materie prime e del packaging ha ulteriormente trascinato [al ribasso] la redditività delle imprese. La stragrande maggioranza delle imprese vinicole è in difficoltà e l’industria del vino domestica è ancora sull’orlo della perdita.” In questo contesto l’azienda pubblica un bilancio sempre più striminzito (le caselle vuote sono più di quelle piene, come potete vedere), ma che nei grandi numeri rende l’idea: vendite in leggero calo (-1%, quindi apparentemente meglio dell’andamento generale del mercato), margini di profitto che scendono. Dunque per darvi un’idea, il fatturato della principale azienda vinicola cinese è di circa 550 milioni di euro e l’utile netto di 58, con un patrimonio netto di 1.5 miliardi di euro. Trovate nel resto del post il tabellone e un altro grafico.

    Le vendite sono calate dell’1% nel 2022. Secondo una nuova reportistica le vendite alla distribuzione sono state stabili a 3.3 miliardi di yuan, mentre le vendite dirette calano del 6% a 650 milioni, per un totale di 3.91 miliardi di yuan (553 milioni di euro a cambio medio 2022), -1%.
    Viene fornito un “gross margin” di 2.27 miliardi di yuan, che corrisponde al 58%, come nel 2021 ma non ancora come pre-covid (62% 2019 e molto di più negli anni precedenti).
    L’utile netto “aggiustato” è di 414 milioni di yuan, rispetto ai 472 del 2021, quasi al livello dei 400 milioni dell’anno del Covid, ma ben al di sotto degli 800-1000 milioni a cui il gruppo aveva abituato i suoi azionisti (tra cui ILLVA Saronno, che detiene il 17%) in passato.
    Purtroppo non sono disponibili altri dati, a meno di non chiedere a Google Bard che provvederà a inventarne un po’ di sana pianta (pazzesco).

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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2022

    La strategia di premiumizzazione di Laurent Perrier sta arrivando all’estremo, tanto che nel secondo semestre del 2022 (ottobre-marzo) l’azienda ha visto un calo del fatturato del 13% (ad essere onesti, dopo un +44% del periodo corrispondente precedente) e anche i margini si sono ristretti, tornando sotto il livello anche di due anni fa. Ricapitolando: l’anno è stato comunque buono ma il secondo semestre, che come sapete è spostato di 3 mesi rispetto agli altri, mostra un “riflusso” dopo l’ubriacatura dei mesi precedenti. E gli azionisti non sono stati tanto contenti. Da inizio anno le azioni sono calate del 3% circa (dato al 27 luglio), peggio delle altre aziende concorrenti, di nuovo in onestà dopo anni di grande performance. L’azienda ha spiegato nella presentazione che “I volumi in crescita molto rapida nel primo semestre ha richiesto una diminuzione nel secondo per mantenere la qualità dei vini e garantire il futuro”. Quindi il +12% a volume del primo semestre si è trasformato in -7% alla fine dell’anno, con i prodotti “high-end” che sono tornati al 44% del fatturato dopo la parentesi al 42% del 2021. In ragione d’anno con vendite quasi stabili, i margini sono ulteriormente migliorati (ma non nel secondo semestre) e il bilancio chiude a quasi 60 milioni di utile, +17%, con un ulteriore calo del debito a 175 milioni, ben sotto il valore delle scorte di quasi 600 milioni. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite di 302 milioni crescono del 3%, con la Francia in calo del 14% a 60, l’Europa stabile a 138 milioni e il resto del mondo in crescita a 104, +21%. I driver sono stati +9% per il prezzo-mix (come nel primo semestre), i volumi a -7.4% (+12% nel primo semestre) e l’effetto cambi che da +2% nel primo semestre scende a +1% a fine anno, quindi con un secondo semestre presumibilmente leggermente negativo.
    Il margine industriale tocca il massimo storico al 57.4% (quasi a livello delle aziende degli spiriti), nonostante l’inflazione dei costi, mentre l’EBITDA arriva a 92 milioni e l’utile operativo a 84, con una crescita del 9-10% nell’anno ma un calo del 20% circa nel secondo semestre (19% e 23% rispettivamente).
    Avendo parlato dell’utile netto sopra passiamo alla parte finanziaria, con il debito sceso da 221 a 176 milioni dopo aver pagato 12 milioni di dividendi (il doppio del 2021) e ricomprato azioni per due milioni. Nel frattempo il valore delle scorte sale da 554 a 593 milioni, nuovo massimo storico per l’azienda.

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    Vranken Pommery – dati di bilancio 2022

    I dati 2022 di Vranken Pommery rispecchiano i commenti e i dati trionfali relativi allo Champagne nel 2020, soprattutto nel secondo semestre, quando l’azienda ha messo a segno dei dati incoraggianti, migliori di quelli del primo semestre. L’anno si chiude con un incremento del fatturato dell’11% a 334 milioni, con un recupero in Francia e un forte sviluppo al di fuori dell’Europa, un MOL stabile (ma qui contano alcune revisioni contabili) e un utile operativo in crescita del 5%. Nel secondo semestre soltanto, tutti gli indicatori segnano una evoluzione positiva, salvo una leggera diluzione dei margini in percentuale alle vendite. Dove la situazione non migliora molto è nel livello del debito, sceso soltanto marginalmente, anche se finalmente si pareggia con il livello del magazzino. Se diamo un occhio ai risultati degli altri piccoli operatori quotati, risaltano certamente i dati di Lanson, mentre la strategia di premiumizzazione molto spinta di Laurent Perrier ha avuto un impatto molto negativo sui volumi. Passiamo a un commento di maggior dettaglio.

    Le vendite crescono dell’11%, con un recupero della Francia del 13% a 134 milioni, quasi al livello pre-Covid e un deciso balzo delle vendite extraeuropee, ancora piuttosto limitate, a 70 milioni, +18% ma oltre il doppio rispetto al 2019. Le vendite nel resto d’Europa sono salite del 5% a 128 milioni, anch’esse su livelli mai toccati dal gruppo. Tutta la crescita viene dalla divisione Champagne, +12% a 309 milioni, mentre i Vin de Sable sono stabili a 26 milioni.
    I margini di profitto scendono dal 16% del 2021 al 15% del 2022 per un EBITDA stabile, mentre l’utile netto annuale sale del 22% a 10 milioni di euro, un livello ancora poco soddisfacente.
    Se però restringiamo il confronto al secondo semestre, se le vendite crescono meno (+7%), l’andamento dei profitti operativi è migliore, con un EBITDA in crescita del 3% e un utile operativo a +9%, contro il +5% del dato annuale.
    A livello finanziario Vranken Pommery resta l’azienda più indebitata, con 646 milioni di debito, leggermente meno dello scorso anno e un magazzino che è pari a 646 milioni, stesso numero. Il rapporto debito su EBITDA resta molto elevato (13x) ma come ben sapete qui a fare testo è il livello del magazzino.
    Appuntamento con i commenti sulle altre aziende della Champagne nelle prossime settimane di agosto.

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    Gruppo Italiano Vini (GIV) – risultati 2022

    Presentiamo oggi I dati 2022 di GIV presi dal bilancio consolidato. Si tratta ovviamente un anno di recupero per la principale azienda vinicola italiana per fatturato (per ora visto che Argea+Zaccagnini sarà molto vicina nel 2023), come ovviamente c’era da aspettarsi: le vendite crescono dell’8% a 466 milioni di euro. Restiamo però ancora una volta un po’ delusi dal fatto che l’andamento in Italia sia stato marcatamente negativo (-6%) rispetto a quanto fatto vedere dai principali concorrenti del gruppo, spiegato nella relazione degli amministratori con un andamento non positivo nella GDO. I margini migliorano rispetto al 2021, nonostante un aggravio delle spese per la materia prima: ricordiamo che GIV acquista parte delle proprie materie prime (vino) dalla controllata Cantine Riunite/CIV, “a condizioni normali di mercato” secondo il bilancio. Nel dettaglio, l’EBITDA torna al 5% delle vendite (6% medio nei 5 anni pre Covid) e l’utile netto chiude a 5 milioni, ancora largamente sotto alla media pre Covid (7 milioni circa). L’indebitamento si riduce leggermente, passando da 113 a 100 milioni di euro. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite sono cresciute dell’8% a 466 milioni di euro, con un incremento del fatturato estero del 13% a 359 milioni di euro e un calo dell’attività italiana del 6% a 108 milioni di euro.
    I costi di acquisto delle materie sono in crescita dal 60% al 61% del fatturato e sono compensati da un calo delle spese per servizi, mentre i costi del personale tornano sui livelli pre-Covid nel 2022. Alla fine il margine operativo lordo (EBITDA) sale da 18 a 23 milioni, +25%, con un margine che passa dal 4.3% al 4.9%. Il tutto si confronta con un valore assoluto nel 2019 di 21 milioni di euro e un margine del 5.2%.
    Gli ammortamenti e gli oneri finanziari aumentano leggermente (nonostante l’incremento dei tassi GIV paga un tasso medio piuttosto contenuto circa l’1.9%), mentre sono terminati gli sgravi fiscali che avevano aiutato l’utile nel 2021 e quindi la riga finale del bilancio chiude a 4.8 milioni di euro, contro oltre 8 dell’anno scorso.
    Dal punto di vista finanziario l’indebitamento che era sceso fortemente nel 2021 segna un ulteriore leggero progresso di 3 milioni nel 2022 a 110 milioni di euro, nonostante la normalizzazione del capitale circolante (114 milioni contro 107 del 2021).
    Vi ho aggiunto un grafico che mostra l’andamento GIV contro campione Mediobanca delle vendite tra il 2005 e il 2021, che mostra lo “scollamento” tra GIV e il settore vinicolo italiano nell’ultimo decennio.

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    L’andamento degli indici Liv-ex – aggiornamento 2022/23

    Torniamo oggi a discutere dell’andamento degli indici Liv-Ex relativi ai grandi vini e lo facciamo con rinnovato interesse visto l’inversione di tendenza osservata negli ultimi mesi. La crescita che sembrava senza fine e che aveva fatto aleggiare considerazioni sulla superiorità dell’investire in vino rispetto ad altre forme di investimento sembra essersi fermata. Intendiamoci: come tutti i beni a offerta fissa, il vino (o meglio “un vino”) ha un prezzo che può arrivare a qualsiasi cifra. Però dal picco toccato ad agosto 2022, l’indice più rappresentativo, il Liv-Ex 1000, è calato del 7% (come sempre prendiamo i dati in euro e non in sterline). Nello stesso periodo la borsa americana (S&P500) è cresciuta del 4%, mentre quella europea è scesa del 2%. L’inflazione osservata nel periodo è stata del 5% circa.
    Preoccupati? No, per nulla. Per una serie di ragioni. Vediamole nel resto del post.

    Anzitutto, non tutti i vini sono cresciuti nella stessa maniera. Il calo dell’indice generale, che è stato del 6% da inizio anno è soprattutto determinato dalla correzione dei prezzi dei vini che erano cresciuti di più. Da inizio anno i vini di Borgogna sono giù del 7%, gli Champagne del 9%. Fa eccezione, se vogliamo, il Rodano che non è mai cresciuto più degli altri ed è crollato del 14% (buon per me, che amo quei vini).
    In secondo luogo, dobbiamo anche considerare qualche aspetto di contorno, “è tutto un complesso di cose” come direbbe il grandissimo Paolo Conte. Veniamo da due anni di euforia post-Covid, che nemmeno una guerra molto vicina a noi e un’inflazione galoppante sono riuscite a scalfire. Potremmo essere di fronte a una normalizzazione. Negli ultimi mesi il mercato americano è rallentato pesantemente nei consumi di beni di lusso e i cinesi sono alle prese con una situazione non facile a casa loro: finchè non riprenderanno a viaggiare (forse manca poco), difficilmente potranno fare sentire il loro peso.
    In secondo luogo, le vendemmie 2020 e 2021 in Francia sono state molto scarse (ma non cattive per qualità) e questo ha certamente contribuito all’aumento dei prezzi, mentre la vendemmia 2022 è stata molto abbondante. È plausibile che molti investitori stiano aspettando l’ondata dell’annata 2022 per vedere l’effetto che fa* sui prezzi (*cit. Enzo Jannacci).
    Tornando ai dati, ci sono buone notizie per i vini italiani, almeno in termini relativi. Se il loro andamento è stato meno spumeggiante negli ultimi anni, ora l’inversione di tendenza si fa sentire decisamente di meno. Il calo dei prezzi da inizio anno è soltanto del 2% e non si arriva al 3% se partiamo dal picco dei prezzi, che per i vini tricolori è stato novembre 2022.
    Se la diagnosi di sopra è corretta, potrebbe durare un po’. D’altronde oggi una bottiglia della Borgogna costa ancora 8 volte quanto costava nel 2003, e mediamente una bottiglia di vino pregiato costa più di 4 volte tanto. I vini italiani? Leggermente meno di 4 volte.
    Buone vacanze.

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