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    Masi – risultati primo semestre 2020

    I conti del primo semestre di Masi mostrano chiaramente l’impatto del COVID sul segmento alto del vino, più esposto al canale della ristorazione. Le vendite che erano calate solo del 2% nel primo trimestre sono invece crollate del 47% nel secondo, per chiudere con un calo del 27% nel semestre. È evidente il “peggioramento” del mix delle vendite, visto lo scivolone dei “top wines” (Amarone e poche altre referenze) a vantaggio dei “classical wines”, cioè i vini base della gamma. Ma negli ultimi tempi Masi ha compiuto diversi passi importanti. Dal punto di vista dell’attività sono cambiati i distributori in Germania e Stati Uniti (Santa Margherita). Questi sono due mercati un po’ scoperti per Masi, perlomeno considerando quanto sono importanti per il settore in Italia. Masi ha poi lanciato l’ecommerce. Dal punto di vista dell’azionariato è finalmente terminata l’esperienza del private equity che ha venduto le proprie azioni ad altri investitori (qualche investitore di borsa e una quota del 5% alla finanziaria di Renzo Rosso). Le azioni in Borsa sono scivolate intanto al minimo storico di 2 euro circa, che valutano l’azienda poco più di 64 milioni di euro. Considerando il poco debito, si può certamente dire che la valutazione è oggi inferiore al combinato del valore delle terre e del vino in fase di invecchiamento in cantina… passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Le vendite calano del 27% nel primo semestre a 22 milioni di euro, con un -30% in Europa, -19% in Nord America e -48% nel resto del mondo (Asia principalmente).
    I margini tengono a livello industriale (dal 67% al 66.5%), ma si fanno poi sentire i costi fissi del personale e di struttura, che portano l’EBITDA a EUR1.8 milioni e l’utile operativo a poco meno del punto di pareggio.
    Con molti meno oneri finanziari del 2019, la perdita netta viene contenuta solo 0.6 milioni di euro.
    Le cose vanno decisamente meglio a livello finanziario. Con un miglioramento del capitale circolante di circa 1 milione di euro, la decisione di sospendere il dividendo e il contenimento degli investimenti (Masi sta predisponendo una nuova sede e visitor center in Valpolicella), il debito cresce solo di 0.6 milioni rispetto a fine anno euro a 9.3 milioni, ed è addirittura più basso del giugno 2019 (10 milioni). Per proteggersi dal potenziale ulteriore calo dell’attività nei prossimi mesi (anche se l’Italia a luglio è girata in positivo), Masi ha predisposto nuovi prestiti per 12 milioni di euro che hanno ulteriormente rafforzato la già sana struttura finanziaria.
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Treasury Wine Estates – risultati 2019/20

    TWE ha la fortuna di chiudere l’anno a giugno e quindi i numeri che presentiamo oggi non danno l’idea dell’impatto del virus sui conti, nonostante la forte esposizione dell’azienda alla Cina: le vendite sono calate “solo” del 6% e l’utile operativo del 23% con volumi a -8%. Se però restringiamo il confronto al solo secondo semestre dell’anno ci accorgiamo di una realtà ben diversa, fatta di un -16% di fatturato (che comunque non è così drammatico) ma un -59% in termini di utile operativo. Nelle due aree più importanti per il gruppo, Asia e America, TWE ha subito un calo degli utili di oltre il 50% nel semestre gennaio-giugno (il secondo per loro). In America ha però subito il “de-stocking” dei distributori, quindi ha venduto di meno di quanto hanno venduto a loro volta i loro clienti (per circa il 7%), mentre in Cina dopo cali del 50% e più in febbraio-marzo, l’attività è migliorata per chiudere con un +40% in giugno sull’anno scorso. Forte di una struttura finanziaria stabile e di un rapporto debito/EBITDA di poco superiore a 1x, TWE non cambia strategia, anzi rilancia: sta comperando vigneti in Europa (Francia, per ora) per arricchire la sua offerta di vini di “lusso” sotto il marchio Penfolds. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite 2019/20 sono scese del 6% a 2.65miliardi di dollari australiani, con un contributo positivo dei cambi del 3% circa. Il calo a cambi costanti sarebbe dunque stato del 9%, sostanzialmente dovuto al -9% dei volumi venduti, passati da 35 a 32 milioni di casse.
    Se restringiamo al secondo semestre, il calo delle vendite è del 16%.
    L’anticipo del COVID in Asia ha fatto sì che questa sia la regione più impattata del gruppo, con un calo del 29% dei volumi (-41% secondo semestre) e del 18% delle vendite (-41%). L’Americ è calata del 6% nell’anno e del 14% nel secondo semestre, causa calo dei volumi anche legati al processo di cui dicevamo sopra.
    L’utile operativo cambia un po’ dall’anno scorso causa l’implementazione del principio contabile IFRS16 che aumenta del 2-3% gli utili, distorcendo l’analisi del bilancio (suggerisco ai promotori di rimanere nell’ombra per evitare il linciaggio). Comunque, l’utile operativo cala del 23% a 492 milioni nell’anno e del 59% a 128 milioni nel solo secondo semestre. Asia e America sono le due divisioni più colpite, con un calo dell’utile operativo del 17% e 33% rispettivamente (51% e 54% nel solo secondo semestre), mentre hanno subito cali meno pesanti il mercato locale (-15% nell’anno) e l’Europa (addirittura stabile nell’anno, -21% nel secondo semestre, ma conta poco).
    Il debito finanziario (escluso quindi quello falso di IFRS16) rimane quasi stabile a 736 milioni di dollari, il che si confronta con circa 700 milioni di EBITDA, con una posizione finanziaria molto solida. Nell’anno TWE ha investito 190 milioni (160 nel 2018/19), ha venduto attività per 100 milioni (102 l’anno prima) e ha pagato dividendi per 276 milioni, contro 245 dell’anno precedente.
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    LVMH – risultati primo semestre 2020

    Con un calo del 20% delle vendite e del 23% dell’utile operativo nei primi 6 mesi del 2020, la divisione wine&spirits di LVMH è passata da essere il fanalino di coda del gruppo alla parte più resistente alla crisi. Infatti, l’interruzione dei flussi turistici ha avuto un impatto ben più devastante sulle altre divisioni di quanto non abbia avuto lo stop di bar e ristoranti per i vini, Champagne e Cognac del gruppo. Giusto per fare qualche esempio, i beni di lusso sono giù del 46% come utile operativo (parliamo di Louis Vuitton, Balenciaga, Loro Piana e via dicendo), i profumi e cosmetici, ma anche gli orologi e la gioielleria (Bulgari, Tag Heuer, Hublot) sono passati direttamente a una perdita operativa, il retail (Sephora e DFS negli aeroporti) sono in profondo rosso. Ovviamente non c’è da rallegrarsi, anche se la distribuzione globale di LVMH, con un rapido spostamento dall’Asia al Nord America delle vendite ha aiutato. In tutto questo, cognac meglio di Champagne, soprattutto dal punto di vista dei margini. Passiamo ai numeri.

    Le vendite di vino e champagne sono calate del 21% nel primo semestre 2020 a 755 milioni, a fronte di un calo del 30% dei volumi di Champagne (17 milioni di bottiglie) ma di un incremento dei volumi di vendita degli altri vini del 20% a 18 milioni di bottiglie, anche grazie alle acquisizioni di Château d’Esclans e di Château du Galoupet.
    Se mettiamo i due gruppi insieme, arriviamo a circa 36 milioni di bottiglie, -11% con un calo del prezzo medio di vendita del 10% circa.
    La divisione Cognac e spirits ha fatto leggermente meglio sul fatturato (-19% a 1230), ma la differenza tra le due sottodivisioni emerge quando si guarda all’utile operativo. Champagne e vini passano da 214 a 103 milioni di euro, quindi dal 22% al 14% di margine operativo, il cognac incredibilmente tiene sul margine al 36-37% e vede un calo degli utili quindi molto simili al calo del fatturato.
    Come sapete il primo semestre conta meno del secondo nel settore del vino e quindi sarà importante vedere come si esce dalla crisi. La strategia chiaramente non cambia, i prezzi non si tagliano ma semmai si aumentano per cercare di compensare la perdita di volumi, perchè poco di quello che produce LVMH “va a male” e anche dal punto di vista finanziario il gruppo ha la forza di supportare gli investimenti (+38% nel primo semestre a 155 milioni) e il capitale investito (calato da 16 miliardi a 14 miliardi per via della svalutazione di alcuni marchi).
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    Botter – risultati e analisi di bilancio 2019

    Botter ha chiuso il 2019 con una crescita a doppia cifra delle vendite e ha ulteriormente arricchito la dotazione di cassa, ma ha deciso di effettuare un accantonamento straordinario di 10 milioni di euro, sia come mossa preventiva nell’ottica delle crisi COVID che in considerazione di una serie di potenziali oneri che potrebbero emergere nell’ambito dell’evoluzione della struttura societaria. Non ci sono ulteriori specifiche salvo che l’accantonamento “si lega ad un evento (in se’ positivo) del tutto eccezionale e non destinato a ripetersi”. Comunque, tornando ai numeri, le vendite crescono del 12% a 218 milioni di euro e l’utile operativo cala da 24 milioni a 21 miloni, ma sarebbe stato 31 senza l’accantonamento. Gli investimenti restano molto contenuti, anche se l’azienda ha messo a segno una piccola acquisizione nel Prosecco Bio (crediamo per 2 milioni di euro) e ha degli obiettivi ambiziosi, purtroppo per nulla specificati nella relazione degli amministratori (striminzita e poco curata rispetto a quello di altre aziende vinicole, pur potendo contare su eccellenti risultati). Passiamo ai numeri.

    Le vendite crescono del 12% a 218 milioni di euro. L’Italia resta un mercato marginale a 13 milioni anche se in crescita del 38% sul 2018. Sono calate le vendite in Europa da 111 a 90 milioni di euro (-19%), mentre crescono del 50% quelle nei paesi extraeuropei (+52%). Purtroppo nessuna spiegazione viene fornita e nessun confronto con il 2018 viene proposto nella nota integrativa del bilancio.
    Il margine operativo lordo cala da 28 a 24 milioni di euro, per un margine dell’11% contro il 14%, ma sarebbe stato del 16% (34 milioni di euro) senza l’accantonamento straordinario. Intendiamoci, questi sono costi che emergeranno in futuro e quindi sono straordinari perchè tutti caricati nel 2019 ma sarebbero dovuti magari essere contabilizzati negli anni precedenti o futuri.
    L’utile netto passa da 17 a 15 milioni di euro, anche qui colpito dall’accantonamento non deducibile di 10 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario le cose sono più semplici da leggere: la cassa netta cresce da 9 milioni a 30 milioni. Considerato i 5 milioni di dividendi distribuiti questo significa che la generazione di cassa nel 2019 per gli azionisti è stata di 26 milioni di euro, beneficiata tra l’altro da un calo da 35 a 31 milioni del capitale circolante. Un risultato molto simile al 2018 quando la cassa generata fu di 27 milioni di euro.
    Dal verbale degli azionisti si evince la struttura del capitale: famiglia Botter 39%, Dea Capital 39%, Lutob investments 22%. Ci sono tante azioni proprie ed è probabile che questo assetto possa notevolmente cambiare di qui in avanti.
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    Sartori – risultati e analisi di bilancio 2019

    I risultati 2019 di Sartori sono un po’ la continuazione di quanto visto nel 2018, con alcuni aspetti positivi (l’andamento in Italia, la riduzione del debito) e altri negativi (lo stallo delle vendite all’estero, piuttosto che la costante pressione dei costi delle materie prime sui margini). L’azienda giunge alla sfida della crisi COVID potendo fare leva sull’esposizione nel canale distributivo della grande distribuzione (80% delle vendite italiane), che rappresenta una sfida dal punto di vista dei margini (visto il potere negoziale della controparte) ma che in questa fase di chiusura totale del canale Ho.Re.Ca. ha avuto un andamento migliore. E in effetti, anche per Sartori le cose fino ad ora non sembrano essere andate male, visto che le vendite sono fino ad ora calata di meno del 10%. Andiamo dunque ad analizzare più da vicino il 2019.

    Le vendite sono stabili a 52 milioni di euro con un andamento positivo dell’Italia (+6% secondo il bilancio, +9% nella relazione) e un calo del 3% delle vendite esteri, per rispettivamente 15 e 37 milioni di euro. Le vendite nella GDO italiana sono in crescita del 4%.
    All’estero si combinano i progressi in diversi paesi (Germania, Austria e Francia a +8/9%, Regno Unito e Giappone +11%, oltre a forti progressi in mercati meno rilevanti in valore assoluto come la Russia e la Corea del Sud), con il calo nel mercato americano (-20%) dovuto anche al cambio di distributore. Anche in Cina (non vengono forniti numeri) le cose sembrano non andare per il verso giusto.
    I margini sono in ulteriore contrazione. L’utile operativo cala del 7% a 2.5 milioni di euro, per un margine del 4.8% rispetto al 5.1% dello scorso anno. Sia in termini assoluti che percentuali è il livello più basso dal 2013 a questa parte. Il calo del 2019 è determinato per 10 punti base dalle materie prime (che però erano cresciute molto nel 2018) e per 20 punti base per il costo del personale. L’utile netto scende del 6% a 1.3 milioni, con oneri finanziari in calo e un’aliquota fiscale in leggerissimo miglioramento al 28%.
    Nella parte finanziaria, come dicevamo sopra il debito netto cala da 12.6 a 11.1 milioni di euro. Contribuiscono al miglioramento il calo di circa 1 milione di euro del capitale circolante (peraltro la principale causa del balzo del debito nel 2018) e il calo degli investimenti (solo 0.4 milioni nel 2019). Come lo scorso anno, Sartori ha distribuito 1 milione di euro di dividendi ai propri azionisti.
    Il rapporto debito/EBITDA migliora leggermente da 4.7 a 4.4 volte, mentre il ritorno sul capitale cala al 10% (11% nel 2018), nonostante la leggera contrazione del capitale investito (da 25 a 24 milioni di euro).
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    Naked Wines – risultati 2019/20

    In questo inizio di weekend estivo parliamo di Naked Wines, che risorge dalle ceneri di Majestic Wine. Come forse ricorderete lo scorso anno abbiamo commentato il progetto di disfarsi della catena di negozi fisici per concentrarsi sull’ecommerce attraverso l’originale business model di Naked Wines, una specie di negozio online con abbonamento (20 sterline al mese) e con un assortimento quasi completamente alternativo acquistato nel 2015. Nella nuova configurazione Naked Wines ha un fatturato di circa 200 milioni di sterline (erano quasi 500 prima), un utile operativo in pareggio (prima ne guadagnava 15-20 all’anno) ma ha una posizione finanziaria molto migliorata (55 milioni di cassa) e cresce del 15% all’anno. Hanno fatto bene o male? Mah, a guardare l’andamento di borsa si direbbe di no. Ma ovviamente l’avvento del COVID ha cambiato completamente le carte in tavola. Naked Wines vince (crescita accelerata, costi unitari in calo per l’effetto scala), se fosse rimasta con i negozi fisici sarebbe stato un vero disastro. Secondo i dati presentati, nel mercato americano la quota online delle vendite al dettaglio di vino è cresciuta dal 5% pre-crisi al 20% del totale a metà Aprile.  Commentiamo brevemente i numeri.

    Le vendite 2019 (chiusura Marzo 2020) crescono del 14% a 203 milioni di sterline. A trainare la crescita è il mercato americano, +20% a 91 milioni (anche grazie al cambio), mentre il Regno Unito fa +11% (80 milioni) e l’Australia +3%. I clienti pre-esistenti hanno contribuito con 174 milioni di euro di vendite, quelli acquisiti nell’anno (a caro prezzo) 29 milioni di sterline.
    Va però detto che questo investimento nei nuovi clienti (che costa circa 10 milioni di sterline per fatturarne 29) ha un piano di rientro ben preciso sulla base degli acquisiti che questi clienti faranno negli anni futuri.
    A livello operativo le cose sono ovviamente cambiate in peggio, visto che pur in declino l’attività “fisica” generava margini positivi. L’attività è fondamentalmente in pareggio (1 milione di sterline in perdita, 3 milioni lo scorso anno). C’è un ulteriore aggiustamento che Naked Wine fa, togliendo il costo di acquisizione dei nuovi clienti: in questa ulteriore configurazione l’utile operativo sale a 10 milioni di sterline, il 5% dei 200 milioni di fatturato (o forse sarebbe meglio calcolarlo sul fatturato soltanto dei vecchi clienti? Ossia 174 milioni).
    La vendita dei negozi fisici ha consentito di cancellare il debito. Naked Wines ha oggi 55 milioni di sterline in cassa, contro 15 milioni di debito dello scorso anno.
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    Santa Margherita – risultati e dati di bilancio 2019

    Il 2019 è stato ha visto un cambio di leadership in Santa Margherita con l’avvicendamento dell’amministratore delegato (Beniamino Garofalo ha preso il posto di Ettore Nicoletto). I dati di bilancio mostrano un progresso rispetto al 2018 soprattutto per quanto riguarda il fatturato, cresciuto del 7%, ma i margini non sono migliorati e a livello di […] LEGGI TUTTO

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    Constellation Brands – risultati primo trimestre 2020

    Constellation Brands è una delle prime aziende che pubblica i risultati trimestrali in piena crisi COVID, essendo il suo primo trimestre un Marzo-Aprile-Maggio. Avendo il baricentro americano, ha poco più di due mesi immersi nel lockdown. I dati sono meno peggio di quello che ci si potesse immaginare, soprattutto dal punto di vista dei margini. […] LEGGI TUTTO