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    Banfi – risultati e dati di bilancio 2019

    Nel 2019, Banfi ha continuato a investire in modo intenso sulla struttura produttiva. Il ciclo di investimenti che ormai continua quasi ininterrotto dal 2015 sta però cominciando a dare qualche frutto in termini di andamento aziendale: l’aumento delle superfici vitate riducono il bisogno di acquisti dall’esterno e i reimpianti stanno migliorando le rese (nel 2019 la produzione è stata superiore al 2018). Nonostante il calo registrato nel mercato americano, il più importante per Banfi, le vendite sono stabili poco sotto i 70 milioni e si cominciano a intravedere alcuni segnali positivi in termini di margini di profitto, con l’EBITDA tornato al 14% delle vendite. Bisogna immaginare che il 2020 subirà un impatto pesante dal COVID, tanto più considerato il posizionamento di Banfi nell’alto di gamma e nella ristorazione. L’azienda ha però, sia nella parte commerciale che in quella agricola, un attivo materiale importante (circa 85 milioni di euro) a fronte di un debito di soli 30 milioni di euro (in crescita dai 24 dell’anno scorso a causa degli investimenti). Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite sono stabili a 69 milioni di euro (di cui 2.4 milioni derivante dalle prugne), con un andamento abbastanza variegato tra le diverse aree. Per il secondo anno consecutivo calano le vendite in Italia a circa 24 milioni di euro, compensate da un incremento del 5% circa di quelle nel resto d’Europa, che lasciano il totale europeo invariato. Sono invece scese di nuovo da 24 a 22 milioni di euro le vendite nel mercato americano.
    I margini sono in miglioramento a livello di EBITDA grazie soprattutto alla parte agricola che rappresenta circa 7 dei 9.5 milioni di euro da noi ricalcolati come valore consolidato. Il margine risale al 14% dal (minimo) del 13% dello scorso anno.
    I forti investimenti determinano un incremento degli ammortamenti e quindi a livello di utile operativo e di utile netto si perde un po’ del beneficio. L’utile operativo risale a 2.5 milioni (2.2 nel 2018), l’utile netto torna al livello del 2017 di 1.6 milioni.
    Dal punto di vista finanziario, Banfi vede un incremento del debito netto da 24 a 30 milioni di euro a fronte di un incremento del patrimonio da 119 a 121 milioni. Il rapporto tra debito e EBITDA sale da 2.7 a 3.1 volte.
    Gli investimenti sono stati 12 milioni di euro, ben oltre i 10 dello scorso anno, contro una generazione di cassa stimata intorno a 9 milioni di euro. Oltre a questi due elementi, nel 2019 ha giocato contro il capitale circolante, cresciuto di circa 2 milioni di euro (sommando le variazioni delle due unità del gruppo). Come negli anni scorsi, gli azionisti di Banfi non hanno prelevato alcun dividendo.
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Esportazioni di spumante Italia – aggiornamento primo semestre 2020

    Come accennavamo un paio di giorni fa, la combinazione di esposizione geografica (Regno Unito) e tipologia di consumo/posizionamento (ristorazione e bar più importanti nel mix di vendite) hanno creato delle condizioni difficili per i nostri spumanti, che sono calati dell’8% a 631 milioni di euro. Anche se i dati negativi sono negativi e basta, bisogna però considerare il contesto e anche cosa hanno fatto gli altri grandi paesi esportatori di spumanti: la Spagna è calata del 15% (rispetto a dati non eccitanti come lo sono stati i nostri nel recente passato), mentre in Francia lo Champagne ha subito un calo a dir poco fragoroso (-30%) e gli altri vini spumanti sono comunque calati dell’11%. Il nostro cavallo di battaglia, il Prosecco, resta in crescita nella maggior parte dei mercati. Il -4% del primo semestre sconta la debolezza nel Regno Unito. Passiamo ai dati.

    Le esportazioni di spumante calano del 12% in giugno a 102 milioni, il che porta il saldo del primo semestre a -8% (631 milioni) e quello degli ultimi 12 mesi a 1531 milioni (-1%).
    I volumi cominciano a dare qualche segnale di cedimento (-7% in giugno) in un contesto di eccezionale positività nonostante il virus. Nei 6 mesi abbiamo esportato 1.8 milioni di ettolitri di spumante, il 3% in più dello scorso anno. Ne consegue che nel primo semestre il nostro prezzo medio di esportazione è calato del 10% a 3.45 euro.
    Dal punto di vista geografico, i nostri mercati chiave restano gli USA e il Regno Unito, che cubano il 50% delle esportazioni del primo semestre, con andamenti molto diversi: ancora in leggera crescita in America, +2%, in calo del 20% nel Regno Unito. Abbiamo poi una serie di mercati piuttosto importanti, i principali europei (Germania, Francia, Svizzera, paesi nordici, Russia) e il Giappone, dove il saldo del semestre è circa -2% (tutti insieme 197 milioni contro 201 del primo semestre 2019. Il diavolo si nasconde poi nella “coda lunga” di tutto il resto del mondo (quindi tutti quelli fuori dalla “top 10”), dove le esportazioni sono calate del 13%, da 154 a 134 milioni di euro.
    Passando alle categorie, il Prosecco cala del 4% da 458 a 440 milioni di euro nel semestre. Di questi 18 milioni, 14 milioni sono persi nel Regno Unito, da 130 a 114 milioni, dunque -11%. Il repentino indebolimento in giugno del mercato americano ha portato però anche a un -2% a fine semestre in USA, mentre restano stupefacenti i dati di vendita nel mercato francese (terzo mercato per importanza). Sono stabili le esportazioni in Germania, quarto mercato per il Prosecco.
    In chiusura una nota sui dati molto positivi dell’Asti, cresciuto dell’8% a 46 milioni di euro nel semestre, come sempre con una forte volatilità tra mercati. A questo giro, è il +150% in USA a determinare l’incremento del dato totale. “tutti gli altri spumanti DOP” sembrano ormai una categoria in via di estinzione (nel senso che resteranno Trento e Franciacorta probabilmente), con un calo del 38% nel semestre, presumibilmente assorbito dalle altre categorie.
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    Esportazioni di vino italiano – aggiornamento primo semestre 2020

    Dopo il tonfo di Maggio (-24%) le esportazioni di vino italiano riportano un ulteriore calo del 4% in giugno. Il quadro dei primi 5 mesi dunque non si aggrava ulteriormente, anche grazie a una base di confronto molto meno sfidante (giugno 2019 segno un calo dell’8%, contro il +6% di maggio). Il dato finale secondo ISTAT è di esportazioni in calo del 4.1% a 2892 milioni di euro. Due sono le aree di debolezza che si possono riscontrare in questi dati: primo, l’andamento in alcuni paesi dell’Europa continentale; secondo, i vini spumanti che dopo aver “guidato” la crescita del nostro export stanno calando più velocemente (-8%) a causa della loro maggiore esposizione al canale della ristorazione, al consumo nei bar e, geograficamente, all’area del Regno Unito. Dando un piccolo sguardo fuori dai confini, non ci dobbiamo però lamentare. Se è vero che gli spagnoli sono andati più o meno come noi, è vero anche che i francesi hanno fatto un vero e proprio buco, con un calo del 21% delle loro esportazioni, che sarà oggetto di commento in un post dei prossimi giorni. Passiamo a commentare i dati.

    Giugno chiude con un calo del 4.3% a 459 milioni di euro, che si compone di un -2.6% per il vino in bottiglia a 323 milioni, un calo del 12% dei vini spumanti a 102 milioni e un incremento dell’8% delle esportazioni di vini sfusi e altro a 35 milioni. I volumi nel mese sono stati stabili a 1.6 milioni di ettolitri, con un bilanciamento tra un incremento del 2% dei vini fermi e un calo del 7% dei vini spumanti.
    A livello semestrale come abbiamo detto il calo è quasi uguale, 4.1%, con gli spumanti in calo del 7.6% (631 milioni) e i vini fermi in bottiglia a -3.5%, 2039 milioni. Come vedete dalla tabella riassuntiva, a livello annuo il primo semestre 2020 si è “mangiato” l’incremento del secondo semestre 2019.
    Geograficamente la situazione è molto variegata, essendo guidata da differenti tempistiche di diffusione del virus ma anche diverso tipo di esposizione ai prodotti italiani. Sono dunque molto deboli mercati come il Regno Unito, la Svizzera e la Francia (-10/12%) dove i nostri spumanti sono importanti, vanno meglio paesi più esposti al “basso di gamma” come la Germania o gli USA (rispettivamente stabile e -2%), ci sono poi alcune eccezioni positive come l’Olanda (ipotizzo per nuovi canali di esportazione dall’Olanda stessa) o il Canada (+3%, il migliore tra i mercati di peso) o i paesi scandinavi, dove il virus ha attecchito con meno vigore.
    Degli spumanti parliamo in dettaglio martedì, ma è evidente a spiegare questo maggior calo sicuramente va sottolineato l’esposizione al Regno Unito (il 22% del totale contro l’8% per i vini fermi in bottiglia), il cui calo da solo spiega 4 dei quasi 8 punti di calo delle esportazioni semestrali.
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    Il colore della crisi – di Angelo Gaja

    E se fosse il 2021 la continuazione dell’anno orribile del vino italiano?  Le premesse non mancano. In Italia si suonano le trombe per la vendemmia 2020 che promette di essere la più ricca di uva al mondo.  Non è un primato invidiabile in presenza di una crisi dei consumi senza precedenti che si abbatte su tutti i mercati e coinvolge TUTTE le cantine del mondo gonfiandone le giacenze.  Per fronteggiare la quale il ministro Bellanova aveva stanziato misure di distruzione dell’uva e del vino (distillazione) finanziabili con 150 milioni di euro di denaro pubblico, giunti però in ritardo ed utilizzati appena per un terzo. L’errore, però, non è affatto della Bellanova, bensì dei suggeritori esterni che fanno capo ad associazioni varie e presenziano alle tavole di concertazione. Quelli che dapprima non volevano sentire parlare di distillazione, per poi concederla ai soli vini da tavola mentre ad averne necessità sono i vini IGP e DOP. Quelli che preferivano misure in favore dello stoccaggio, incoraggiando ad accumulare scorte in cantina confidando nella rapida fine della crisi e pronta ripresa dei consumi, che invece non ci saranno e si prolungherà l’agonia. Quelli che avanzavano mille riserve, rallentando e rendendo intempestiva l’entrata in vigore delle misure di intervento pubblico facendole perdere di efficacia. Il comparto del vino conoscerà una crisi più lunga legato com’è all’Ho.Re.Ca ed al turismo. Fino ad ora è stata una pioggia di numeri reali-stimati-probabili-farlocchi, anche da fonti autorevoli, a commentare il procedere della crisi. Solo a fine anno si conosceranno le giacenze totali di vino nelle cantine italiane e si attendono pessime notizie in merito. Sempre a fine anno, a fronte del preoccupante calo in volume, si registrerà il più drammatico e vistoso calo in valore dell’export del vino italiano. A piangere saranno i fatturati. Quando nella primavera 2021 verranno resi pubblici i bilanci delle mega cantine italiane e verranno svelati i numeri veri, si evidenzierà che per molte di esse le perdite di fatturato rispetto al 2019 supereranno il 20%.  A perdere di più, però, saranno i viticoltori venditori di uva e le cantine artigianali dalle dimensioni piccole e medio piccole, il settore più numeroso e fragile. E’ a questi che il ministro Bellanova deve pretendere di destinare maggiori risorse durante il confronto che condurrà con i suggeritori esterni.
    In questo momento di grave emergenza occorrono misure straordinarie. La prima preoccupazione deve essere quella di cercare di riequilibrare il mercato dando la priorità ad un ampio-e-mai-visto-prima progetto di distillazione che includa anche i vini IGP e DOP, da avviare SUBITO per consentire il recupero già entro il 2020 dei quasi 100 milioni non spesi nella misura precedente, per poi concluderlo nel 2021. Prendendo ispirazione da quanto saggiamente aveva già fatto prima di noi la Francia.
    Sarebbe utile inoltre introdurre in Italia per i prossimi due-tre anni il divieto di impiego del Mosto Concentrato Rettificato, che costituisce per chi ne fa uso l’incentivo per eccellenza a produrre maggiori volumi di uva in vigneto.
    Bene la richiesta di maggiori finanziamenti per la promozione consentendone l’accesso anche ai progetti di investimento contenuto.  Non scordando che, nei prossimi due-tre anni, sarà baraonda sui mercati internazionali perché le cantine di tutto il mondo avranno il vino che uscirà loro dalle orecchie e saranno sui mercati per cercare di collocarlo. Occorrono idee nuove, pensare di utilizzare solamente gli strumenti del passato non sarà di grande giovamento prima del ritorno alla normalità.
    Angelo Gaja
    7 settembre 2020 LEGGI TUTTO

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    Lombardia – produzione di vino e superfici vitate 2019 – dati ISTAT

    ISTAT ha rilevato una produzione di vino in forte calo nel 2019 in Lombardia a 1.3 milioni di ettolitri. Il dato si confronta con un 2018 eccezionale nella regione (1.7 milioni di ettolitri) ma è comunque circa il 5% sotto la media storica. Va ricordato che la Lombardia è una delle regioni dove la produzione vinicola ha mostrato negli ultimi anni uno sviluppo costante, determinato dalla crescente focalizzazione sui vini di qualità bianchi (Franciacorta) e da una graduale sostituzione di vini da tavola con vini IGT. La produzione resta per oltre il 50% nella categoria dei vini DOC e per l’85% realizzata in due province: Pavia e Brescia. Passiamo all’analisi dei dati.

    La produzione 2019 si è attestata a 1.3 milioni di ettolitri, -24% sul 2018 e del 5% inferiore alla media 2009-18 di 1.37 milioni. Il calo produttivo è ben più marcato di quello italiano (-9% e +9% rispettivamente nei due confronti.
    La produzione per categoria mostra andamenti molto simili nelle tre categorie ma per via delle evoluzioni del passato si conferma un incremento della produzione di vini IGT (489mila ettolitri, il 38% del totale e circa il 15% in più rispetto alla media storica) rispetto ai vini DOC (681mila ettolitri, il 52% del totale e circa il 10% sotto la media storica) e ai vini da tavola. Se mettiamo insieme IGT e DOC arriviamo al 90% in totale, il livello più alto di sempre in linea con quanto raggiunto già nel 2018.
    La produzione di vino bianco e rosso è molto simile, circa 650mila ettolitri ciascuno. Di nuovo, rispetto al passato i vini bianchi sono su livelli più elevati. Quindi nonostante la vendemmia scarsa i vini bianchi sono in linea con la media storica, mentre i rossi sono del 10% sotto.
    Le superfici vitate sono cresciute secondo ISTAT da 21580 a 22090 ettari tra il 2018 e il 2019, quindi +2.4%. Ovviamente qui il gioco è tra Pavia (12130 ettari, +1.7%) e Brescia (6360 ettari, +4%), dato che tutte le altre province hanno un peso molto molto limitato (solo Mantova supera i 1000 ettari vitati a livello provinciale).
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    Abruzzo – produzione di vino e superfici vitate 2019 – dati ISTAT

    La produzione di vino in Abruzzo nel 2019 è stata in linea con la media storica (+3%) e del 7% inferiore a quella del 2018. Entrambi i dati, come abbiamo visto qualche giorno fa per la Campania, sono peggiori della media italiana, che vede un calo leggermente più marcato (-9%) ma un livello del 9% superiore a quello del 2009-2018. Nel complesso, sono più resilienti i vini bianchi dei rossi e i vini di bassa qualità (vini da tavola) rispetto ai vini DOC. L’Abruzzo mantiene una forte connotazione nelle DOC rosse (principalmente Montepulciano d’Abruzzo, il 41% della produzione di vini rossi è DOC), mentre nel segmento dei bianchi il Trebbiano fa più fatica a imporsi (solo il 14% dei bianchi è classificato DOC). Passiamo ai dati.

    La produzione di vino 2019 è stata di 2.89 milioni di ettolitri, cui si aggiungono 58mila ettolitri di mosto. In totale l’Abruzzo rappresenta il 6% della produzione di vino italiana, l’8% nel segmento dei vini rossi e il 10% dei vini da tavola. Più limitata la rappresentatività nel segmento dei vini DOC, soltanto il 4% nonostante Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo siano tra le più rilevanti denominazioni italiane.
    Così come la vendemmia 2018 non è stata un record (quello è stato nel 2016), quella del 2019 è calata un po’ meno che nel resto d’Italia: -7%. Il 2019 è stato dunque una vendemmia in linea con la media storica.
    La tendenza alla crescita dei vini bianchi sui rossi continua, con un -6% a 1.2 milioni di ettolitri per i bianchi contro un -8% per i rossi (1.7 milioni). Se confrontati con i dati del passato i bianchi sono il 15% in più di prima, i rossi il 4% in meno.
    Questo spostamento è anche responsabile della mancata crescita dei volumi DOC, visto che i bianchi sono principalmente vini da tavola (62%) e IGT (24%) e la categoria DOC è soltanto il 14% del totale contro il 41% dei rossi. Anche nel 2019, i vini DOC sono stati 0.84 milioni di ettolitri, -11% e il 18% sotto la media storica, due dati peggiori della media totale.
    Chiudo con un breve cenno alle superfici vitate, lasciandovi alle numerose tabelle e grafici. In Abruzzo ci sono 29530 ettari di vigneto secondo ISTAT, in crescita dell’1% sul 2018. Sono concentrati in provincia di Chieti (22940). Ne consegue una resa per ettaro molto elevata, 153 quintali per ettaro, contro i 109 segnati dall’Italia nel 2019.
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    L’andamento degli indici Liv-ex – aggiornamento 2019/20

    I prezzi dei grandi vini del mondo sono andati via via indebolendosi nel corso del 2019. La tendenza è stata poi accentuata durante i primi mesi del 2020, anche in relazione alla grande crisi che stiamo vivendo. Questo ci dicono i dati raccolti sul blog Liv-Ex: a fronte di un incremento dei prezzi in Euro del 5% circa negli ultimi 5-6 anni per l’indice generale dei 1000 vini più trattati (Liv-Ex 1000), nel 2019 l’andamento è stato soltanto marginalmente positivo (+1.5%) e da gennaio a luglio siamo giù del 7%. In questo contesto, il vino italiano si è comportato meglio di tutti gli altri come potete ben vedere nel grafico qui sopra e approfondire nel resto del post, anche se bisogna sottolineare che si tratta di un recupero del terreno perso rispetto agli altri grandi vini (Borgogna e Champagne in particolare), durante il periodo tra il 2016 e il 2018. Passiamo a qualche dato.

    Come vedete dalle tabelle di dati, l’andamento in euro e in sterline è piuttosto difforme, con una differenza di 6 punti percentuali in meglio per l’euro (rivalutazione della sterlina) nel 2019 e di 6 punti in peggio nel 2020 fino a luglio (svalutazione della sterlina fino al livello di fine 2018). Proseguiamo l’analisi con i dati tradotti in euro.
    Ad ogni modo, l’indice generale nel 2019 è salito dell’1.5%, con tutte le categorie in positivo salvo la Borgogna che ha perso il 3%, dopo la crescita esponenziale degli ultimi anni. L’andamento più positivo è quello dei vini italiani (le prime 100 referenze), +11%, seguito dagli Champagne (+8%).
    Il trend si è invertito nel 2020, in realtà già da gennaio, quindi prima dell’esplosione della crisi del COVID. L’indice generale ha perso il 7% sino a luglio, con un minimo a marzo a -8%: si tratta di un andamento molto meno volatile di quello che abbiamo visto nei mercati finanziari, probabilmente legato alla minore liquidità degli investimenti in vino. Curiosamente nei primi 7 mesi del 2020 l’andamento meno negativo è dello Champagne, -3%. I vini italiani sono ancora una volta meglio della media, con un calo del 4% fino a luglio, mentre sono giù del 7-8% sia i vini di Bordeaux che quelli di Borgogna.
    Se i vini italiani vanno bene, bisogna dire che si tratta di un “recupero”. Su queste pagine abbiamo commentato negli scorsi anni l’andamento positivo ma chiaramente inferiore a quello di altri vini (Borgogna e Champagne su tutti) negli ultimi 4-5 anni. Quando leggete questi indici, fate attenzione al valore assoluto. Si tratta di un indice “base 2003”. A luglio 2020, i grandi vini di Borgogna valevano “589” in euro, quindi quasi 6 volte quanto valevano nel 2003. Gli Champagne sono a “409”, quindi quattro volte tanto. I 100 vini italiani sono a 336, quindi 3.3 volte tanto… una ottima rivalutazione, ma ancora lontana dai migliori e ancora sotto la media (389 per l’indice dei 1000 vini).
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    Masi – risultati primo semestre 2020

    I conti del primo semestre di Masi mostrano chiaramente l’impatto del COVID sul segmento alto del vino, più esposto al canale della ristorazione. Le vendite che erano calate solo del 2% nel primo trimestre sono invece crollate del 47% nel secondo, per chiudere con un calo del 27% nel semestre. È evidente il “peggioramento” del mix delle vendite, visto lo scivolone dei “top wines” (Amarone e poche altre referenze) a vantaggio dei “classical wines”, cioè i vini base della gamma. Ma negli ultimi tempi Masi ha compiuto diversi passi importanti. Dal punto di vista dell’attività sono cambiati i distributori in Germania e Stati Uniti (Santa Margherita). Questi sono due mercati un po’ scoperti per Masi, perlomeno considerando quanto sono importanti per il settore in Italia. Masi ha poi lanciato l’ecommerce. Dal punto di vista dell’azionariato è finalmente terminata l’esperienza del private equity che ha venduto le proprie azioni ad altri investitori (qualche investitore di borsa e una quota del 5% alla finanziaria di Renzo Rosso). Le azioni in Borsa sono scivolate intanto al minimo storico di 2 euro circa, che valutano l’azienda poco più di 64 milioni di euro. Considerando il poco debito, si può certamente dire che la valutazione è oggi inferiore al combinato del valore delle terre e del vino in fase di invecchiamento in cantina… passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Le vendite calano del 27% nel primo semestre a 22 milioni di euro, con un -30% in Europa, -19% in Nord America e -48% nel resto del mondo (Asia principalmente).
    I margini tengono a livello industriale (dal 67% al 66.5%), ma si fanno poi sentire i costi fissi del personale e di struttura, che portano l’EBITDA a EUR1.8 milioni e l’utile operativo a poco meno del punto di pareggio.
    Con molti meno oneri finanziari del 2019, la perdita netta viene contenuta solo 0.6 milioni di euro.
    Le cose vanno decisamente meglio a livello finanziario. Con un miglioramento del capitale circolante di circa 1 milione di euro, la decisione di sospendere il dividendo e il contenimento degli investimenti (Masi sta predisponendo una nuova sede e visitor center in Valpolicella), il debito cresce solo di 0.6 milioni rispetto a fine anno euro a 9.3 milioni, ed è addirittura più basso del giugno 2019 (10 milioni). Per proteggersi dal potenziale ulteriore calo dell’attività nei prossimi mesi (anche se l’Italia a luglio è girata in positivo), Masi ha predisposto nuovi prestiti per 12 milioni di euro che hanno ulteriormente rafforzato la già sana struttura finanziaria.
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