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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

    I produttori presenti a Sicily on Wine LEGGI TUTTO

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

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    Nel segno del tempo: Aquileia e i vini che raccontano la storia

    Pochi vini al mondo possono vantare un legame tanto profondo con la storia quanto quelli della DOC Friuli Aquileia. In nessun altro luogo la viticoltura affonda le radici nel cuore di una civiltà millenaria come quella dell’antica Aquileia, snodo commerciale dell’Impero romano, crocevia di culture e custode di saperi. Qui, il vino non è solo prodotto agricolo, ma simbolo di continuità: testimone silenzioso di epoche lontane, oggi capace di raccontare con autenticità l’identità di un territorio che si rinnova senza perdere sé stesso.

    Nel 2025, l’appuntamento con Esplorâ — giunto alla quarta edizione — diventa l’occasione per svelare la vitalità contemporanea di questa denominazione. La Selezione dei vini, giunta alla 62ª edizione, premia le etichette più rappresentative e introduce il nuovo Sigillo d’Argento, riconoscendo la costante crescita qualitativa delle aziende. Ma Esplorâ è soprattutto un invito a guardare da vicino un mosaico fatto di vigne, paesaggi, storie e persone. Un’esperienza che, come la città da cui prende nome, coniuga passato e futuro in un racconto che non smette di sorprendere.

    Una storia millenaria tra viti e pietre

    Aquileia fu fondata nel 181 a.C. come colonia romana e divenne ben presto uno dei centri nevralgici dell’Impero. Crocevia di traffici tra Adriatico, Alpi e Danubio, la città vide nella vite una delle colture simbolo della sua prosperità. A testimoniarlo sono le numerose raffigurazioni musive e i reperti archeologici che collegano la viticoltura all’economia, alla religione e alla vita quotidiana di Aquileia romana.

    La Basilica di Aquileia

    È un’eredità tangibile, che non si è mai spezzata. La presenza continua della vite sul territorio — dalle bonifiche medievali alle sistemazioni ottocentesche — racconta una cultura agricola che ha saputo attraversare i secoli. E oggi, in un contesto di rinnovata attenzione al paesaggio e alla qualità, diventa valore fondante della DOC Friuli Aquileia.

    Roberto Marcolini (Presidente Consorzio Friuli Aquleia) con Giovanni Donda

    I vitigni: autoctoni e internazionali in dialogo

    Il patrimonio ampelografico della denominazione si fonda su un equilibrio tra vitigni storici e varietà introdotte nel Novecento. Accanto ai classici friulano, refosco dal peduncolo rosso, verduzzo friulano e malvasia istriana, si distinguono interpretazioni raffinate di merlot, cabernet franc, sauvignon blanc, chardonnay e pinot grigio. Una compresenza che non è contraddizione, ma cifra stilistica: la DOC Friuli Aquileia rivendica con naturalezza la propria vocazione internazionale, alimentata da secoli di scambi, ma sempre ancorata a un’identità chiara.

    Gli stili produttivi si muovono nel segno dell’equilibrio: vini freschi, nitidi, con una lettura moderna della maturità del frutto, capaci di raccontare la varietà dei suoli e la cura dei vignaioli.

    Terre antiche, clima gentile

    La DOC Aquileia si estende tra il corso dell’Isonzo e quello del Tagliamento, in una pianura disegnata dal tempo e dal lavoro dell’uomo, dove le bonifiche romane e moderne hanno restituito spazio alla vite. I terreni affondano le loro origini in millenni di depositi alluvionali, alternando strati sabbiosi, argillosi e marno-arenacei: una ricchezza geologica che si manifesta anche all’interno dello stesso appezzamento, dando vita a un mosaico di suoli dalle caratteristiche uniche.

    Il clima è mite, dolce per buona parte dell’anno, e sostenuto da una costante ventilazione. Le brezze che risalgono dalla Laguna di Grado portano umidità moderata e un benefico influsso marino, contribuendo a estati calde ma mai torride. Le primavere piovose e l’escursione termica tra giorno e notte favoriscono una maturazione lenta e completa delle uve, intensificando il profilo aromatico nei bianchi e l’equilibrio tra tannini e freschezza nei rossi.

    È questo connubio – tra luce, acqua, vento e terra – a rendere la DOC Friuli Aquileia un luogo naturalmente predisposto alla coltivazione della vite, come già intuivano i Romani. E come confermano oggi i vini che da qui continuano a nascere, espressioni sincere di una terra generosa.

    I riconoscimenti 2025 e il racconto corale di un territorio

    Nel cuore di Esplorâ 2025, la 62ª Selezione dei Vini DOC Friuli Aquileia diventa il momento in cui il territorio si fa voce, memoria e slancio. Otto etichette hanno ottenuto il Sigillo d’Oro, simbolo di un’espressione enologica che, tra coerenza e ricerca, racconta l’identità di una denominazione viva:

    Friulano DOC Friuli Aquileia 2024 – Ca’ Bolani

    Bianco Tamanis DOC Friuli Aquileia 2022 – Ca’ Bolani

    Malvasia DOC Friuli Aquileia 2023 – Mulino delle Tolle

    Traminer Aromatico DOC Friuli Aquileia 2024 – Valpanera

    Merlot DOC Friuli Aquileia 2023 – Cantine Rigonat

    Refosco dal Peduncolo Rosso DOC Friuli Aquileia 2022 – Mulino delle Tolle

    Refosco dal Peduncolo Rosso Riserva “Campo della Stafula” DOC Friuli Aquileia 2021 – Vini Brojli

    Rosso Tamanis DOC Friuli Aquileia 2020 – Ca’ Bolani

    Tra le novità di quest’anno, il Sigillo d’Argento si affianca ai riconoscimenti principali per valorizzare quelle etichette che, con costanza e passione, hanno compiuto un salto qualitativo notevole. Un segno di attenzione verso chi costruisce ogni giorno il carattere contemporaneo della denominazione, vendemmia dopo vendemmia.

    A Ca’ Bolani va anche il Premio Marco Gottardo, riconoscimento speciale dedicato allo storico viticoltore della DOC, scomparso prematuramente. Un premio che va oltre i numeri, parlando di visione, coerenza e legame profondo con la terra.

    Ed è proprio da questo intreccio di storie, persone e vini che nasce lo spirito di Esplorâ 2025. Un invito rivolto alla stampa internazionale – quest’anno con focus su Austria e Germania – a lasciarsi condurre in un racconto fatto di paesaggi e saperi, di accoglienza e autenticità. Dalle vigne ai nuovi wine bar consorziati, dalla laguna di Grado alla Basilica di Aquileia, fino a Palmanova: un viaggio che apre il territorio al mondo, mostrando con orgoglio ogni sua tessera, nella bellezza di un mosaico che continua a prendere forma.

    Come amavano dire gli antichi romani,“Ubi vinum, ibi patria” — dove c’è il vino, lì c’è la patria.

    Un motto che risuona perfettamente nel cuore della DOC Friuli Aquileia, dove ogni bottiglia è un frammento di storia e un legame indissolubile con la propria terra.

    la foto di copertina è di Isabella Bernardin LEGGI TUTTO

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    Cantina Kurtatsch: l’identità di un territorio, la forza di una comunità

    Nel 2025 Cantina Kurtatsch celebra i 125 anni dalla sua fondazione. Un traguardo importante, che testimonia la continuità di un progetto cooperativo nato nel 1900 e diventato oggi un punto di riferimento per la viticoltura di montagna in Alto Adige. Forte di una storia condivisa, di una visione concreta e del motto Viribus Unitis – con le forze unite – la cantina continua a evolversi, con uno sguardo saldo sul territorio e un impegno collettivo che coinvolge 190 famiglie socie.

    Penon-Kofl

    Un secolo e un quarto di sfide e scelte condivise

    La storia di Cantina Kurtatsch è fatta di passaggi difficili, cambi di paradigma e tappe fondamentali. “I primi decenni furono segnati da difficoltà enormi – racconta Andreas Kofler, presidente della cantina – tra guerra, fillossera e crisi economiche. Ma la svolta arrivò nel secondo dopoguerra, quando si decise di abbandonare l’approccio produttivista per costruire un’identità fondata sulla qualità e sulla conoscenza del territorio.”

    Simbolo concreto di questo cambio di rotta fu il Cabernet Sauvignon Riserva Freienfeld, presentato con il millesimo 1988: un vino che ancora oggi rappresenta l’ambizione della cantina. A quel momento seguirono investimenti importanti, una riconversione dei vigneti e una crescente attenzione al rapporto tra varietà, suolo, altitudine e microclima. Oggi come allora, è la forza della cooperazione a rendere possibile tutto questo.

    Glen

    Negli ultimi vent’anni Cantina Kurtatsch ha rinnovato la propria immagine, ampliato la sede con un’architettura ispirata ai materiali locali, e consolidato il suo modello di sviluppo fondato sulla partecipazione, sulla responsabilità condivisa e su un forte senso di appartenenza.

    Graun

    Altitudini, parcelle, comunità: il valore del dettaglio

    Con una superficie frammentata in piccoli appezzamenti – in media un ettaro per socio – distribuiti tra i 220 e i 900 metri di altitudine, la cantina può contare su una straordinaria varietà di condizioni pedoclimatiche. “Ogni vigneto ha le sue caratteristiche, ogni vino è il risultato di un equilibrio unico – spiega Kofler – e questa ricchezza richiede un impegno costante da parte dei soci, che conoscono il proprio terreno palmo a palmo.”

    È proprio questa relazione profonda con le vigne a rendere possibile una viticoltura di precisione, in grado di valorizzare al meglio le zone più vocate. Non a caso, Cantina Kurtatsch è oggi la realtà altoatesina con il maggior numero di etichette riconosciute come Unità Geografiche Aggiuntive (UGA), tra cui spiccano nomi come Graun, Penon, Glen, Mazon e Brenntal. Una leadership che conferma la centralità del legame tra vitigno, territorio e identità.

    Penon-Hofstatt

    Coerenza, innovazione e rispetto

    Tra il 2014 e il 2020, la cantina ha condiviso con i propri soci una Carta della Sostenibilità che ha definito linee guida comuni su ambiente, lavoro e responsabilità. “Il nostro approccio è quello della coerenza – afferma Kofler –: agiamo con piccoli passi, tutti condivisi, ma sempre nella stessa direzione. Non cerchiamo slogan, ma risultati concreti.”

    Brenntal

    Oggi la cooperativa accoglie al suo interno viticoltura biologica, biodinamica e integrata (secondo il protocollo SQNPI), con l’obiettivo, dal 2026, di una certificazione integrata al 100%. Nel frattempo, sono state avviate numerose azioni: dall’installazione di impianti fotovoltaici alla riduzione degli imballaggi, fino alla scelta di bottiglie alleggerite per abbattere l’impronta di carbonio.

    Un esempio emblematico è la rinnovata linea Selection, che si presenta con una veste grafica essenziale e moderna, una bottiglia più leggera (395 g) e un packaging composto per il 75% da materiale riciclato. Un cambiamento estetico che riflette un’evoluzione sostanziale e che, nel linguaggio visivo, unisce simboli alpini e mediterranei per raccontare l’identità del territorio.

    Un modello cooperativo che guarda lontano

    Nel mondo del vino, la forma cooperativa richiede visione, ascolto e tempo. A Kurtatsch questo modello è diventato un motore di sviluppo culturale oltre che economico, capace di coinvolgere nuove generazioni e restituire valore al paesaggio, alla comunità e alla storia locale. Il 125° anniversario non è solo un traguardo, ma un’occasione per rinnovare l’impegno a costruire il futuro, rimanendo fedeli alla nostra identità collettiva, viribus unitis. LEGGI TUTTO

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    Il futuro del Vino è giovane: il percorso di Elisa e Gloria Campana

    La Ciocca incarna l’essenza di una tradizione vinicola familiare che si intreccia con uno spirito moderno e dinamico. Fondata nel 1972, l’azienda ha saputo evolversi nel tempo, abbracciando la visione di Elisa e Gloria Campana, giovani titolari capaci di unire radici e contemporaneità. Cresciute in un ambiente dove la passione per il vino si trasmette da generazioni, le due sorelle hanno trasformato La Ciocca in un luogo di esperienze enogastronomiche immersive nei Colli Piacentini.

    Gloria e Elisa Campana con il papà Patrizio

    Grazie alla loro energia, il territorio viene valorizzato attraverso esperienze dirette che parlano non solo di vino, ma anche di convivialità e relazione, attirando un pubblico giovane, curioso e coinvolto.

    Il loro progetto si inserisce in un contesto storico particolarmente favorevole: il mercato mostra infatti una crescente predilezione per vini più snelli, freschi e con un tenore alcolico contenuto. Una tendenza che rispecchia la nuova sensibilità verso un consumo più consapevole e che trova piena espressione nei vini dei Colli Piacentini, come Gutturnio, Ortrugo e Malvasia — proposti sia in versione ferma che frizzante — capaci di coniugare semplicità e immediatezza senza rinunciare all’identità territoriale.

    Sono vini pensati per la convivialità, perfetti compagni anche dei pic-nic che Elisa e Gloria organizzano nei mesi estivi  tra le vigne situate sui dolci pendii della Val Chero.

    La Val Chero: memorie di terra e natura

    La Val Chero non è solo uno scenario suggestivo, ma un vero e proprio archivio naturale che racconta secoli di storia e trasformazioni. Situata tra la Val D’Arda e la Val Nure, si estende in parte nel Parco Regionale dello Stirone e del Piacenziano, un’area protetta che custodisce oltre 300 ettari di paesaggio immacolato e ricco di biodiversità.

    La peculiarità geologica della Val Chero risiede nei suoi suoli antichi: da un lato, le sabbie argillose grigie impregnate di fossili, derivanti da ambienti costieri risalenti al Pliocene medio-superiore; dall’altro, le sabbie gialle, testimonianza delle antiche spiagge che un tempo bagnavano queste terre. Questa duplice natura dei terreni contribuisce a creare un terroir unico, capace di conferire ai vini una spiccata sapidità e una complessità aromatica senza pari, grazie all’abbondanza di micronutrienti e alle tracce fossilifere che raccontano un passato marino.

    Il fascino della Val Chero si intreccia anche con la storia e la cultura. Qui persino Leonardo da Vinci trovò ispirazione: nel 1482, nel Codice Leicester, il genio rinascimentale menzionò la straordinaria ricchezza geologica dell’area, sottolineando l’importanza dei fossili marini e la singolarità del paesaggio. Questo collegamento con il passato rende la Val Chero non solo un laboratorio a cielo aperto per la geologia, ma anche un luogo di esperienza culturale ed educativa.

    L’enoturismo esperienziale: un invito a riscoprire il piacere della convivialità

    Elisa e Gloria Campana hanno saputo cogliere l’importanza di integrare la produzione vinicola con iniziative che valorizzano il contatto diretto con la terra e la cultura enogastronomica. I pic-nic in vigna, organizzati da giugno a settembre, sono un esempio emblematico di questo approccio esperienziale. Immersi nella bellezza dei filari, i visitatori possono godersi aperitivi e cene a base di prodotti tipici, buon vino, musica e l’atmosfera conviviale che regna tra le vigne.

    Questa formula di ospitalità, pensata per attrarre soprattutto i giovani, sfida il pregiudizio secondo cui “ai giovani non interessa il vino”. Al contrario, l’offerta enogastronomica diventa un potente volano di innovazione culturale, capace di trasformare il tradizionale bicchiere di vino in un’esperienza multisensoriale. Durante gli eventi, oltre alla degustazione, vengono proposti laboratori e percorsi tematici che approfondiscono il legame tra la produzione del vino e la valorizzazione del territorio, coinvolgendo anche artigiani locali e professionisti del settore.

    Elisa e Gloria Campana

    La proposta di La Ciocca, unita all’energia e alla sensibilità di Elisa e Gloria Campana, dimostra che il futuro del vino passa attraverso l’apertura al cambiamento e il contatto diretto con il territorio. L’enoturismo esperienziale non solo arricchisce la proposta commerciale, ma rappresenta anche un modo attuale di riscoprire il patrimonio culturale ed enologico, rendendolo accessibile e interessante anche per le nuove generazioni. LEGGI TUTTO

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    Oro di Sicilia, pietra di Carema: i vini che sorprendono a Vinitaly 2025

    La 57ª edizione di Vinitaly si è conclusa con oltre 93.000 presenze provenienti da 140 Paesi, confermando che il vino italiano continua a imporsi sulla scena internazionale e ad aprire nuove strade. In un palcoscenico sempre più competitivo – con il 35% degli operatori provenienti dall’estero – la manifestazione ha ribadito il suo ruolo centrale, nel panorama fieristico internazionale di settore.

    Vinitaly 2025 – foto 1

    La 57ª edizione di Vinitaly sarà ricordata nche come “il Vinitaly dei dazi americani”, annunciati al 20% e capaci di far tremare i polsi ai produttori. Un timore poi attenuato dalla decisione del tycoon statunitense Donald Trump, oggi Presidente degli Stati Uniti, di sospendere l’applicazione per 90 giorni, concedendo un momentaneo sospiro di sollievo.

    Vinitaly 2025 – foto 2

    L’evento ha offerto anche uno sguardo sulle nuove tendenze: vini no/low alcol, raw wine, vinificazioni in anfora e il debutto di Vinitaly Tourism, format interamente dedicato all’enoturismo. Con il sostegno delle istituzioni a livello nazionale ed europeo, Vinitaly ha confermato il suo ruolo strategico nella promozione del vino italiano nel mondo, affermandosi come un asset cruciale in una fase di profondi cambiamenti.

    Vinitaly 2025 – foto 3

    Sul piano generale, però, al di là dei proclami ottimistici, il settore attraversa un periodo complesso. Alla contrazione dei consumi si sommano un salutismo talvolta esasperato, l’incognita dei dazi e le nuove norme del cosiddetto “codice della strada salviniano”, che alimentano un clima diffuso di incertezza e preoccupazione, percepibile anche durante la manifestazione veronese. A proposito, i più sarcastici, osservando l’opulenza di certi stand, hanno evocato l’immagine dell’orchestra del Titanic che continua a suonare fino all’ultimo.

    Vinitaly 2025 – foto 4

    Eppure, al pessimismo dell’intelligenza risponde ogni anno l’ottimismo della volontà – per dirla con Gramsci – che si manifesta nella possibilità, offerta da Vinitaly, di scoprire autentiche perle enologiche e territori ancora capaci di sorprendere. Quest’anno su tutti, la Sicilia, con i suoi bianchi vibranti e intensi, e il Piemonte, rappresentato dalla zona del Carema, dove il Nebbiolo si esprime in perfetta sintonia con un paesaggio scolpito dalla natura.

    Vinitaly 2025 – foto 5

    Bianchi di Sicilia: terra promessa per i vini bianchi

    Nel cuore di una riserva naturale del WWF, a pochi passi dal mare di Mazara del Vallo, sorge Gorghi Tondi: un’azienda siciliana a conduzione familiare guidata con passione da Clara e Annamaria Sala. Qui la viticoltura si intreccia con la bellezza del paesaggio costiero, in un equilibrio tra rispetto dell’ambiente e ricerca della qualità.

    Annamaria Sala – Gorghi Tondi

    Tra i vini più rappresentativi della tenuta spicca il Rajàh Zibibbo Sicilia DOC 2022, frutto di una vinificazione in secco di uno dei vitigni più aromatici dell’isola. Lo Zibibbo, tradizionalmente usato per vini dolci, rivela in questa versione un profilo sorprendente. L’etichetta con il nautilus richiama il profondo legame con il mare e le antiche radici arabe che hanno portato in Sicilia questo vitigno e un’intera cultura del gusto.

    Allo stesso modo, il Kheirè 2023 Grillo Riserva Sicilia DOC biologico rappresenta un’altra espressione identitaria del territorio. Il suo nome – che in greco antico significa “benvenuto” – evoca l’ospitalità isolana e le stratificazioni storiche che arricchiscono la viticoltura siciliana. Ottenuto da una selezione delle migliori uve Grillo, affinate in parte in barrique di rovere francese, questo bianco biologico unisce struttura e longevità a una spiccata eleganza marina, con un finale lievemente salino che ricorda la brezza mediterranea.

    Sul versante sul versante sud-est dell’Etna, le Tenute Nicosia  con l’Etna Bianco DOC “Contrada Monte Gorna” 2020, (carricante 80% – catarratto 20%) rendono omaggio all’anima più autentica della viticoltura etnea. È il primo vino dell’azienda a riportare in etichetta il nome della contrada d’origine, a testimonianza di un forte legame con il territorio.

    Graziano Nicosia – tenute Nicosia

    Dopo un anno in rovere francese e ulteriori 12 mesi di affinamento in bottiglia, si presenta al calice con una personalità complessa e affascinante. Nasce a 750 metri sul livello del mare, in un contesto che regala profondità e grande prospettiva evolutiva.

    Il percorso virtuoso della cantina prosegue con il sorprendente metodo classico Sosta Tre Santi Carricante 60 mesi a conferma che l’Etna possa affermarsi come zona fortemente vocata alla spumantistica, senza imitare altri territori. Il carricante, con la sua acidità naturale e l’intrigante profilo aromatico si presta benissimo alla spumantizzazione e ai lunghi affinamenti.

    Mentre sul versante nord dell’Etna, nel territorio di Castiglione di Sicilia, prende forma il progetto vitivinicolo di Tenute Bosco, realtà condotta da Sofia Ponzini e dalla sua famiglia. Un lavoro iniziato nel 2010 con il recupero di antiche vigne tra le contrade di Piano dei Daini a Solicchiata e Santo Spirito a Passopisciaro, oggi cuore pulsante di una produzione che racconta con autenticità la montagna vulcanica e il suo paesaggio straordinario.

    Sofia Ponzini – Tenute Bosco

    Etna Bianco Vico 2021 rappresenta una delle espressioni più eleganti e complesse dell’azienda. Ottenuto da sole uve carricante, provenienti dal vigneto impiantato nel 2013 nella tenuta di Piano dei Daini, è un vino capace di trasmettere la finezza aromatica e la tensione minerale proprie di questo angolo d’Etna.  Con il Vico, Tenute Bosco firma un Etna Bianco DOC capace di raccontare, con precisione e carattere, l’anima bianca del vulcano.

    Fondata nel 1875 da Vito Curatolo, la cantina Curatolo Arini rappresenta una delle realtà storiche più significative della viticoltura siciliana. La scelta di costruire la cantina nel cuore dei vigneti di famiglia, nella parte più occidentale dell’isola, nasce dal desiderio di dare forma a un progetto ambizioso: produrre Marsala di qualità, capaci di parlare al mondo.

    Alexandra Curatolo – Curatolo Arini

    Il nome dell’azienda unisce quello di Vito a quello della madre, Arini, mentre l’identità visiva si lega all’opera dell’architetto Ernesto Basile, padre del Liberty siciliano, a cui fu affidata la creazione della prima etichetta, segno grafico ancora oggi in uso. Accanto ai Marsala, celebri per eleganza e finezza, la cantina propone una gamma di vini monovarietali dal carattere nitido e mediterraneo, pensati per accompagnare la tavola con naturalezza e versatilità.

    Alexandra Curatolo – Curatolo Arini

    Tra i vini più interessanti, spiccano il il Catarratto 2024 vino contemporaneo e di estrema bevibilità e La Gagliardetta 2023, un bianco ottenuto da uve zibibbo coltivate nei pressi di Camporeale, su colline ben esposte al sole e influenzate dalla vicinanza del mare. Un vino raffinato e versatile, capace di raccontare la Sicilia attraverso ogni sorso. A margine anche un sorprendente Grillo 2017, ancora oggi in splendida forma.

    Nel cuore del territorio marsalese, tra colline esposte al sole e accarezzate dai venti marini si trova Baglio Oro. Fondata nel 2008 da Francesco Laudicina e dal cognato Michele Cottone, la cantina sorge dove un tempo si trovavano gli antichi poderi di famiglia, in Contrada Perino. Tra le espressioni più significative di grecanico in purezza dell’intera Sicilia spicca il Kiggiari Terre Siciliane IGT 2024, le cui uve sono coltivate nella zona di Paceco. È un bianco dal profilo fresco e sapido, vinificato in acciaio per esaltarne la fragranza e la purezza.

    Più strutturato e complesso è invece il Grillo Sicilia DOC Aralto Riserva 2023, frutto della selezione delle migliori uve grillo coltivate nei vigneti di Marsala. Dopo la vinificazione in acciaio, il vino affina in parte in tonneau di rovere francese e in parte in acciaio, sviluppando una personalità avvolgente e armoniosa.

    Nelle campagne di Alcamo, cuore della Sicilia occidentale, la cantina Tonnino porta avanti una visione agricola che unisce sapienza contadina e sperimentazione. Una viticoltura che nasce negli anni Cinquanta sulle colline tra Alcamo e la valle del Belice e che oggi si sviluppa su oltre 120 ettari di vigneti coltivati secondo criteri biologici e pratiche di agricoltura sostenibile.

    La forza di questa terra e la cura meticolosa della vigna trovano una delle loro espressioni più nitide nel Tonnino Pinot Grigio Terre Siciliane IGP 2024. Prodotto nella zona di Calatafimi, questo bianco da uve 100% pinot grigio mostra quanto anche varietà internazionali possano raccontare il territorio in modo autentico. Il suolo, profondo e ricco di sostanza organica, unito al clima ventoso e all’escursione termica delle colline belicine, restituisce un vino dal profilo limpido, fresco e floreale. A completare il racconto degli ottimi bianchi firmati Tonnino, il Costa del Pero Grillo 2024 che incarna con eleganza l’anima autoctona della Sicilia.

    Carema: sintonia tra pietra, cielo e il carattere del Nebbiolo

    Incastonato tra le ultime propaggini piemontesi e il confine con la Valle d’Aosta, il piccolo comune di Carema custodisce uno dei paesaggi vitati più sorprendenti dell’intero arco alpino. Qui il nebbiolo si arrampica su terrazzamenti vertiginosi, sostenuti da muraglioni a secco e pilastri conici in pietra e calce – i celebri pilun – che danno origine a un sistema di coltivazione unico, definito topia nel dialetto locale. Non solo scenografia: queste strutture assorbono calore durante il giorno e lo rilasciano di notte, contribuendo a mitigare le escursioni termiche tipiche della zona.

    Roberta Bonin – Cantina dei produttori Nebbiolo di Carema

    È in questo anfiteatro morenico, modellato nei secoli dalla fatica dei viticoltori, che nasce il Carema DOC, vino di montagna dal carattere forte e raffinato. A tutelarne la storia e l’identità è, dal 1960, la Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema, una cooperativa nata dalla volontà di dieci viticoltori e oggi composta da oltre cento soci, di cui circa settanta attivi nella coltivazione. Piccoli produttori part-time, custodi di un paesaggio fragile e straordinario.

    La superficie vitata, di circa 15 ettari, si estende tra i 300 e i 650 metri di altitudine, su pendii scoscesi affacciati sulla Dora Baltea. Il microclima è fresco ma soleggiato, ventilato dai venti del nord e mitigato dall’esposizione ottimale. I suoli, di origine morenica, donano ai vini energia, finezza e una straordinaria identità territoriale.

    Il cuore della produzione è rappresentato da due etichette di assoluto rilievo: Carema DOC 2021 e Carema Riserva DOC 2020, entrambi ottenuti da nebbiolo in purezza. Due interpretazioni che confermano come anche fuori dalle Langhe questo vitigno possa esprimersi con profondità, longevità e un’eleganza rara.

    Il Carema (etichetta nera) affina per almeno due anni, con un passaggio minimo di dodici mesi in botti grandi di rovere o castagno: il risultato è un rosso slanciato, vibrante, dalla trama tannica fine e da una freschezza che invita al ritorno. Il Carema Riserva (etichetta bianca) matura invece per almeno tre anni, di cui diciotto mesi in legno: qui il nebbiolo si fa più profondo, avvolgente, con profumi caldi di spezie, agrumi canditi e sottobosco, e un sorso ampio, armonico, di grande equilibrio.

    Sono vini che non temono confronti con i più celebrati Barolo e Barbaresco, come conferma l’assaggio di uno strepitoso Carema Riserva DOC 2016,anzi, si distinguono per personalità e per un legame autentico con un terroir aspro e affascinante. Due grandi rossi di montagna che meritano attenzione, rispetto e un posto d’onore nella memoria di chi li assaggia.

    Le foto relative a Vinitaly 2025 (copertina e foto da 1 a 5) sono state tratte dalla pagina Facebook di Vinitaly. LEGGI TUTTO