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    Assovini Sicilia e Università di Milano: un progetto innovativo sul Nero d’Avola

    L’associazione di viticoltori Assovini Sicilia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ha avviato una ricerca pionieristica per esplorare nuove frontiere nella produzione vinicola. L’obiettivo principale è diversificare le tecniche enologiche, studiare la varietà del vitigno Nero d’Avola e sviluppare vini con un contenuto alcolico ridotto, mantenendo inalterata la qualità sensoriale. La presentazione del progetto, denominato InnoNDA, si è tenuta martedì 21 gennaio a Palermo presso la sede di Assovini Sicilia.

    Il progetto InnoNDA

    Il progetto InnoNDA riunisce una rete di partner di alto livello: Assovini Sicilia come capofila, l’Università degli Studi di Milano, i laboratori ISVEA e alcune aziende vitivinicole siciliane, tra cui Dimore di Giurfo (CT), Feudi del Pisciotto (CL), Tenute Lombardo (CL) e Tenuta Rapitalà (PA). A supporto del progetto collaborano tecnici e professionisti del settore, tra cui l’Innovation Broker Dott. Enol. Leonardo La Corte.

    L’iniziativa, avviata nell’aprile 2024, punta a individuare tecniche agronomiche ed enologiche innovative che consentano di ottenere vini con una gradazione alcolica ridotta, senza sacrificare l’intensità aromatica e il gusto distintivo del Nero d’Avola, il vitigno a bacca rossa più rappresentativo della Sicilia. Inoltre, il progetto esplora la diversificazione produttiva attraverso l’uso di anfore di terracotta e analizza le diverse espressioni del Nero d’Avola nei vari terroir siciliani.

    Macerazione e affinamento in anfora

    Una delle innovazioni centrali del progetto è rappresentata dalla macerazione e dall’affinamento in anfore di terracotta. Questa pratica, seppur antica, non è mai stata applicata sistematicamente al Nero d’Avola. L’obiettivo è comprendere come questa tecnica possa influire sulle caratteristiche organolettiche del vino, offrendo nuove opportunità di valorizzazione per il vitigno siciliano.

    Feudi del Pisciotto birdeyeview_credit@Alfio Garozzo

    La diversità del Nero d’Avola

    Il progetto pone particolare attenzione alla diversità del Nero d’Avola, esplorando come fattori come il terroir e l’età del vigneto influenzino le caratteristiche dell’uva e del vino. Vigneti più maturi, ad esempio, potrebbero dimostrarsi più resilienti agli effetti dei cambiamenti climatici, un aspetto cruciale per il futuro della viticoltura in Sicilia.

    Tenuta Rapitalà

    Riduzione del contenuto alcolico

    In un contesto di crescente attenzione alla salute e alle preferenze dei consumatori, la riduzione del grado alcolico nei vini rappresenta una sfida cruciale. Il progetto InnoNDA mira a rispondere a questa esigenza, sviluppando tecniche di vinificazione che consentano di preservare le caratteristiche sensoriali del Nero d’Avola, pur riducendone il tenore alcolico.

    Tenute Lombardo

    Sinergia tra ricerca e produzione

    La collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano e Assovini Sicilia è un esempio virtuoso di sinergia tra ricerca accademica e settore produttivo. Questo approccio consente di integrare conoscenze scientifiche e competenze pratiche, favorendo l’innovazione in un settore chiave per l’economia italiana.

    Dichiarazioni dei protagonisti

    “I cambiamenti climatici e le aspettative dei consumatori spingono le aziende di Assovini Sicilia a sperimentare nuove tecniche agronomiche e produttive”, ha dichiarato Lilly Fazio, vicepresidente di Assovini Sicilia. “Grazie a questa collaborazione con l’Università di Milano, supportata dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, possiamo affrontare le sfide globali e migliorare la qualità della vita e la sostenibilità produttiva.”

    La Prof.ssa Daniela Fracassetti, responsabile scientifico del progetto, ha sottolineato: “InnoNDA introduce approcci enologici innovativi per il Nero d’Avola, fornendo strumenti utili ai produttori per una crescita consapevole e sostenibile del settore vitivinicolo.”

    Terre di Giurfo

    Infine, l’enologo Leonardo La Corte di ISVEA ha evidenziato: “Questo progetto offre un contributo significativo alla diversificazione della produzione e alla valorizzazione del Nero d’Avola come simbolo del Made in Sicily nel mondo.”

    Il progetto InnoNDA rappresenta una pietra miliare per il futuro della viticoltura siciliana, coniugando tradizione e innovazione per affrontare le sfide di domani.

    Assovini Sicilia

    Fondata nel 1998 da Giacomo Rallo, Diego Planeta e Lucio Tasca, Assovini Sicilia oggi conta 101 aziende associateche producono circa 900 etichette da cui si genera più dell’80% del valore del vino siciliano imbottigliato. Ad unire gli associati è il grande amore per la propria terra e la consapevolezza che il vino siciliano rappresenti un valore unico nel panorama enologico italiano e mondiale. Attraverso la Fondazione SOStain Sicilia, Assovini è inoltre impegnata nel promuovere e supportare la sostenibilità sociale, economica e ambientale, incentivando le buone pratiche per una vitivinicoltura sempre più green. Un’associazione dinamica e contemporanea che ha già tracciato la rotta per il futuro puntando sulle nuove generazioni. LEGGI TUTTO

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    Ronchi di Castelluccio e Poggio della Dogana: il sogno dei fratelli Rametta in Romagna

    La storia di alcuni vini italiani è davvero affascinante. Per un periodo della loro esistenza, questi vini sono diventati così iconici da essere elevati al rango di simboli: uno, al punto da diventare il feticcio di un premier francese; un altro, l’unico vino bianco servito durante un pranzo ufficiale al Quirinale, in occasione della visita di uno dei più importanti segretari generali del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.

    Questi vini, avvolti da un’aura leggendaria, non hanno tuttavia mantenuto nel tempo il blasone riconosciuto a un Brunello di Montalcino di Biondi Santi o al Barolo Sperss di Gaja. Tra loro spiccano due nomi: il Capo di Stato, un taglio bordolese prodotto in Veneto, e il Sauvignon Blanc Ronco del Re, della cantina romagnola Ronchi di Castelluccio.

    Aldo Rametta

    Il Capo di Stato nasce a Venegazzù del Montello, in Veneto, grazie al Conte Loredan Gasparini, già negli anni ’60. Inizialmente noto come Venegazzù Rosso della Casa Riserva, era presente nelle carte dei vini degli hotel di lusso veneziani. Fu proprio in uno di questi contesti che il vino venne servito al presidente francese Charles de Gaulle, il quale, innamoratosene perdutamente, era convinto che fosse un vino francese sconosciuto. Con enorme stupore, scoprì invece che si trattava di un prodotto italiano. Questo episodio spinse il Conte Loredan a ribattezzare il vino con il nome di Capo di Stato.

    Oggi questo straordinario vino è ancora prodotto dalla famiglia Palla, attuale proprietaria della cantina Loredan Gasparini. Nonostante il suo valore, il Capo di Stato non gode però della notorietà che meriterebbe.

    Destini differenti ha vissuto il Sauvignon Blanc Ronco del Re, che negli anni ’80 era uno dei vini bianchi italiani più prestigiosi e costosi. Nel 1989, durante un pranzo ufficiale al Quirinale, fu scelto come unico vino bianco servito a Michail Gorbaciov, simbolo della qualità italiana.

    Vigneti a Poggio della Dogana

    Con il passare del tempo, però, il Ronco del Re finì nell’oblio, complice un cambio di proprietà e di visione aziendale. La sua storia ha conosciuto una svolta nel 2020, quando i fratelli Aldo e Paolo Rametta hanno acquisito la cantina Ronchi di Castelluccio, con l’intento di riprendere il progetto originario per ridare ai vini la collocazione meritano: tra i grandi vini d’Italia.

    Aldo e Paolo Rametta

    Il Progetto dei fratelli Rametta

    Aldo e Paolo Rametta, fratelli con origini tra New Orleans e la Svizzera, decidono nel 2016 di investire nella loro passione per la terra e il vino, legata alla Romagna, terra d’origine familiare. Nasce così Poggio della Dogana, una tenuta situata a Terra del Sole, tra le colline di Castrocaro Terme e Brisighella. Il progetto, dal 2023 certificato biologico, si dedica alle varietà autoctone come Sangiovese e Albana, con una forte vocazione internazionale.

    Nel 2020 i fratelli intraprendono un secondo ambizioso progetto acquisendo Ronchi di Castelluccio, storica azienda fondata nel 1974 dall’intellettuale e regista Gian Vittorio Baldi. Baldi, ispirato dall’eccellenza di Château Lafite-Rothschild, introdusse in Romagna un approccio pionieristico alla viticoltura di qualità, fino ad allora quasi sconosciuta in Italia. Con il supporto del critico Luigi Veronelli e la collaborazione dell’enologo Vittorio Fiore e dell’agronomo Remigio Bordini, avviò un progetto visionario basato su zonazione, selezione clonale e vinificazione per singole vigne. Grazie a queste innovazioni, Ronchi di Castelluccio produsse i primi cru di Romagna, vini longevi e di qualità straordinaria.

    Dopo essere stata guidata dalla famiglia di Vittorio Fiore, la tenuta è oggi gestita da Francesco Bordini, figlio di Remigio, che insieme ai fratelli Rametta punta a rilanciare l’azienda nel rispetto del progetto originario. I vigneti storici sono stati restaurati senza abbattere piante e ripristinando metodi tradizionali come il guyot e l’alberello. Ogni vigneto, o “Ronco”, è vinificato singolarmente per valorizzare le caratteristiche uniche del terroir.

    Il territorio delle colline di Modigliana, ricco di fossili e originato da sedimenti marini, è un luogo unico per la viticoltura. Qui si trovano i Ronchi, appezzamenti “strappati” al bosco con la roncola e circondati da una biodiversità preziosa, che dialoga con la vegetazione e il microclima.

    allevamento_Ronchi di Castelluccio

    Nel 2023, i Rametta ampliano la loro visione acquistando l’azienda agricola Fontana, una proprietà di 390 ettari con allevamenti biologici di vacche Limousine, uliveti e laghi. Questo sistema integrato consente di produrre fertilizzanti a km 0 e rafforza la sostenibilità ambientale dell’azienda, che mira anche a sviluppare un progetto di agrivoltaico per l’autosufficienza energetica.

    Poggio della Dogana si distingue non solo per i vini biologici di grande espressione territoriale, ma anche per la produzione di miele e per la scelta di celebrare la storia familiare con etichette ispirate ai disegni di Silvio Gordini, trisavolo di Aldo e Paolo.

    In entrambe le aziende, i fratelli Rametta perseguono un equilibrio tra eredità e avanguardia, guidati dalla volontà di riportare la Romagna al centro della scena vitivinicola internazionale, con un approccio etico, sostenibile e di alta qualità.

    I Vini degustati – Ronchi di Castelluccio

    Dalla vendemmia 2020 l’azienda è tornata a vinificare separatamente i quattro Ronchi originari: Ronco Casone, Ronco della Simia, la cui produzione mancava da oltre 25 anni, Ronco dei Ciliegi e il ritorno del Ronco del Re, prodotto solo nelle annate più convincenti. Tutti i cru sono 100% uve sangiovese, a eccezione del Sauvignon Blanc Ronco del Re, raccolte a mano tramite la cosiddetta “vendemmia eroica”, date le pendenze ardite. I grappoli sono trasportati nella cantina di proprietà e vinificati tramite fermentazione con lieviti indigeni e a temperatura controllata. Ciascun vino è affinato secondo diverse scelte relative all’impiego e alle tempistiche di acciaio e legno, nuovo e usato.

    A marzo 2022 sono inoltre uscite sul mercato le prime due novità firmate fratelli Rametta: il Sangiovese Buco del Prete e il Sauvignon Blanc Sottovento, con l’obiettivo di valorizzare gli omonimi vigneti piantati nel 1989. La vendemmia ricalca le modalità eroiche adottate per i prestigiosi “fratelli maggiori” Ronchi e la vinificazione avviene per single vineyards. I due vini si inseriscono commercialmente tra la linea d’ingresso e la gamma dei cru.

    La produzione media annua di Ronchi di Castelluccio è di 65.000 bottiglie, per il 90% destinate al mercato italiano, con una distribuzione per l’85% Ho.re.ca., mentre il 10% è esportato negli Stati Uniti.

    Sauvignon Blanc Rubicone IGT Bianco “Sottovento” 2021

    Monovarietale da uve sauvignon blanc raccolte da alberelli piantati nel 1989, creato dalle esperte mani dell’enologo Francesco Bordini. L’etichetta è un omaggio all’appezzamento di terreno in cui entrambi i vitigni sono stati piantumati nel 1989 e rappresenta, in visione onirica, la forte brezza che dal Mediterraneo abbraccia la vigna. Sauvignon di notevole finezza, lontano (per fortuna) dagli stereotipati sentori tipici del vitigno e con una importante prospettiva di longevità.

    Romagna DOC Sangiovese Modigliana “Buco del Prete di Castelluccio” 2021

    è un cru da viti del 1989 radicate nella parcella di Modigliana più impervia, circondata da una fitta macchia boschiva, e abbandonata per decenni proprio per la difficoltà di raggiungerla. L’etichetta riporta a quelle storiche dei Ronchi, con un disegno che riprende il bosco tutt’intorno al vigneto del Buco del Prete, raffigurato con la vista dal basso verso l’alto per stimolare la sensazione di trovarsi all’interno di un incavo. I colori sono volutamente astratti per riportare a un’atmosfera immaginifica, evocando un incredibile viaggio sensoriale. Vino dinamico, scorrevole e di bella beva.

    Sauvignon Bianco Colli di Faenza DOC “Ronco del Re” 2021

    L’unico cru da uve sauvignon blanc nasce da piante di circa 50 anni affacciate sulla Val Lamone, verso la Pieve del Thò del 1800. Il nome “Re” deriva da “rio”, fiume in dialetto romagnolo. La vigna, infatti, è formata da un sottile lembo di terra che affianca via Tramonto, in bilico tra la strada e il grande dirupo che la separa dal rio. In questa posizione incassata il Ronco raccoglie il calore del sole durante il giorno e della terra la notte, arricchendosi di profumi, assorbendo ogni anno i diversi modi con cui la natura si trasforma e rivela. Il Colli di Faenza Doc nasce in un appezzamento a 370m s.l.m. anch’esso restaurato nel 2019, allevato a cordone speronato e disposto a giropoggio. La produzione è limitata a meno di mille bottiglie. Un sentito ringraziamento ai fratelli Rametta per aver fatto rinascere questo grandissimo vino bianco unico, intrigante e di grande espressività.

    Fabio Castellucci_Paola Antonello

    Romagna DOC Sangiovese Modigliana “Ronco della Simia” 2020

    è un Sangiovese carnoso, da un clone con buccia spessa e ricchissima in struttura che si trasforma in una trama intensa e impenetrabile. Le naturali doti di finezza si intrecciano con una potenza insolita da domare grazie a una lunga maturazione in bottiglia. Il cru è esposto a Est e si trova a 440m s.l.m. Il Ronco della Simia ha una singolare etichetta che deriva direttamente dal Corpus Aldrovandino conservato nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Il curioso nome del vino si rifà a una leggenda con protagonista un militare americano di istanza a Modigliana durante la Seconda Guerra Mondiale. Si racconta che, al termine del conflitto, il soldato decise di stabilirsi in queste terre insieme alla fidata compagna di avventure, una scimmietta. Quando l’animale morì, il militare volle renderle omaggio seppellendola vicino al pozzo presente nel ronco, considerato un luogo mistico. Da qui il nome Ronco della Simia. In questo momento il capolavoro dei fratelli Rametta, complesso e profondo. Ho riassaggiato la bottiglia a quattro giorni dall’apertura e conservata a temperatura ambiente, aveva mantenuta intatta tutta la sua eleganza, caratteristica che si addice solo ai grandi vini.

    Poggio della Dogana

    I Vini degustati – Poggio della Dogana

    La produzione vinicola di Poggio della Dogana è in regime biologico,certificato a livello europeo da Suolo e Salute,e pone al centro le varietà più rappresentative del territorio romagnolo, ovvero il sangiovese, la cui presenza è attestata da un atto notarile datato 1672, custodito nell’Archivio di Stato di Faenza e l’Albana, uva vinificata in purezza dall’azienda versione secca o nell’originale da uve stramature.

    La scelta delle etichette dei vini di Poggio della Dogana è un tributo alla storia familiare dei Rametta, le grafiche riprendono, infatti, i bozzetti e gli studi di Silvio Gordini, uno degli artisti più noti dell’Emilia-Romagna, trisavolo di Aldo e Paolo da parte di mamma.

    La produzione totale di Poggio della Dogana è di 40.000 bottiglie, il 90% distribuite sul mercato italiano, quasi totalmente in Ho.re.ca., mentre l’export si concentra sugli Stati Uniti e destina una piccola quantità alla Germania.

    Romagna DOCG Albana Secco “Belladama” 2023 ​

    Versione secca della varietà allevata a Brisighella, in località “Pideura”, da vigneti di 20 anni allevati a guyot tra i 200m e i 300m s.l.m. La vinificazione in assenza di bucce segue la procedura tradizionale con la pressatura verticale lenta. La fermentazione avviene in tini di acciaio a temperatura controllata con lieviti indigeni. L’affinamento è di dieci mesi in cemento non vetrificato, con periodici bâtonage sulle fecce fini, e di almeno quattro mesi in bottiglia. Il nome è un omaggio a Rosanna, madre di Aldo e Paolo: Belladama era, infatti, l’esemplare della scuderia di cavalli da trotto del nonno materno che lei amava di più da bambina. L’etichetta rappresenta un fiore simile alla bocca di leone. Vino incisivo e gastronomico, un ottima bevuta.

    Romagna DOCG Albana Secco “Farfarello Brix” 2022 ​

    Questa è la prima annata di produzione per un vino le cui uve provengono da un vigneto di 20 anni, situato a un’altitudine tra i 200 e i 300 metri nel comune di Brisighella. Con questo vino, l’Azienda Poggio della Dogana entra a far parte dell’Associazione Brisighella, Anima dei Tre Colli, nata nel 2023 grazie all’iniziativa di cinque aziende, che ora sono 19, con l’obiettivo di valorizzare e definire un nuovo stile per l’Albana di Romagna. A tale scopo, è stato avviato il progetto Brisighella Brix, che ha istituito un disciplinare di produzione rigoroso al quale le aziende partecipanti devono attenersi. Vino  dal sorso elegante e incisivo, con un intrigante gioco tra note di frutta matura e note vegetali di fiori di campo. Da tenere d’occhio.

    Nella foto di copertina da sx Paolo Rametta-Aldo Rametta-Fabio Castellucci. LEGGI TUTTO

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    Nama in verticale: Chardonnay d’autore dall’Alto Adige

    Nals Margreid è una delle più importanti cooperative italiane, nata dalla fusione delle cantine sociali di Nalles e quella di Magrè. La cantina sorge lungo la strada che collega Nalles alla frazione di Sirmian, integrandosi armoniosamente nel paesaggio circostante, sia naturale che urbano.

    Qui, le uve, raccolte da vigneti distribuiti su tutto il territorio altoatesino, vengono trasformate con maestria. Le diverse altitudini, comprese tra i 200 e i 900 metri, offrono condizioni climatiche e caratteristiche del suolo uniche, che si riflettono nell’identità di ciascun vino. Il risultato è una gamma di prodotti che esprime freschezza alpina, una profonda connessione con il terroir e una naturale vocazione internazionale.

    La struttura della cantina, rinnovata nel 2011 su progetto dell’architetto Markus Scherer, rappresenta un dialogo raffinato tra eredità e innovazione. L’uso sapiente di rovere, cemento, acciaio e vetro conferisce all’edificio un’identità contemporanea, mentre elementi storici come i ciottoli del 1764, le travi e le colonne arricchiscono l’estetica con richiami al passato. Questa armonia tra antico e moderno riflette l’approccio produttivo della cantina, che fonde sapientemente l’evoluzione senza dimenticare le radici. Il vetro, utilizzato per rendere visibili la zona di produzione e parte della barricaia, è simbolo di trasparenza nei confronti dei consumatori; il legno, invece, evoca un senso di continuità con la natura, mentre l’acciaio simboleggia l’unione tra architettura e processo enologico. Questa straordinaria combinazione architettonica è stata premiata nel 2012 alla Biennale di Venezia, nell’ambito del concorso internazionale Le Cattedrali del vino, per la categoria Interior Design.

    Le origini di Nals Margreid risalgono al 1764, anno inciso sul pavimento dell’edificio storico. Nel 1932, trentadue famiglie di viticoltori decisero di rilevare la cantina, iniziando una nuova fase di storia e dedizione. Oggi, sono 138 le famiglie che collaborano alla coltivazione di 160 ettari di vigneti, lungo la Strada del Vino dell’Alto Adige, con una predominanza di uve bianche (70%) rispetto alle rosse (30%).

    Come di consueto, Nals Magreid ha presentato al Merano Wine Festival la nuova annata di Nama, il suo vino più celebre e celebrato, cogliendo l’occasione per testarne l’evoluzione nel tempo con un’imperdibile verticale che si è tenuta presso la cantina di Nalles.

    Nama in verticale

    Nama nasce dall’esperienza dei viticoltori di Nals Margreid, unita a un’accurata ricerca delle microzone più adatte. Nato come Cuvée nel 2016 e diventato 100% Chardonnay dal 2019, questo progetto si basa su una filosofia di sostenibilità che l’azienda persegue con dedizione. I vigneti di Chardonnay, situati a Magrè nella Bassa Atesina, si trovano tra i 300 e i 400 metri di altitudine su terreni di ghiaia calcarea ricchi di humus, con esposizione sud/sud-est. Il clima mediterraneo, caratterizzato da estati calde, inverni miti e venti pomeridiani, crea le condizioni ideali per la coltivazione. Le uve, raccolte e selezionate a mano, fermentano e invecchiano per 15 mesi in piccole botti di rovere. Successivamente, il vino affina per 12 mesi in serbatoi d’acciaio e per un anno in bottiglia, seguendo un processo attento e rispettoso della qualità.

    Nama Cuvèe 2016 e Nama Cuvèe 2018 Alto Adige Doc85% chardonnay, 9% pinot bianco, 6% sauvignon. Per entrambe le annate seguono queste note ricavate dalla scheda tecnica: chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 250 e i 350 metri di altitudine. Pinot bianco e  sauvignon sono stati raccolti a mano a Nalles, in Valle dell’Adige, a un’altitudine compresa tra i 500 e 700 metri. Fermentazione e invecchiamento per 18 mesi in piccole botti di rovere e successivo assemblaggio. Seguono 12 mesi di invecchiamento in serbatoi d’acciaio fino all’imbottigliamento con un ulteriore anno di affinamento in bottiglia. Entrambi vini di estrema finezza con uno spettro gusto-olfattivo che si esprime con grazia, naturalezza e armoniosità, con l’annata 2018 che raggiunge vette paradisiache a cui  aspira ogni bianchista che si definisca tale.

    Nama 2019 Alto Adige Doc

    La prima annata 100% chardonnay, raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Fermentazione e invecchiamento per 18 mesi in piccole botti di rovere e successivo assemblaggio. Seguono 9 mesi di invecchiamento in serbatoi d’acciaio fino all’imbottigliamento con un ulteriore anno di affinamento in bottiglia.  Pieno, vibrante con un grande potenziale di invecchiamento ancora tutto da esprimere, ma già adesso è un grande vino, non c’è che dire.

    Paolo Porfidio, Gottfried Pollinger e Harald Schraffl

    Nama 2020 Alto Adige Doc

    100% chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Le pratiche di vinificazione sono le stesse del 2019. Nonostante l’annata complicata il vino è incisivo sia all’olfatto che al palato che risulta essere sapido e fresco con una bella coerenza naso-bocca e un allungo persistente.

    Paolo Porfidio – Stefania Mafalda

    Nama 2021 Alto Adige Doc (non ancora in commercio)

    100% chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Le pratiche di vinificazione sono le stesse del 2019. Vendemmiato a settembre inoltrato dopo un’annata con importanti escursioni termiche che hanno pretermesso di portare in cantina un’uva perfetta. All’olfatto manifesta tutta la sua incisività virando più su note vegetali che fruttate. Il palato è ancora alla ricerca di equilibrio. Un vino da lunghissimo invecchiamento, con un grande potenziale che si esprimerà con prepotenza nei prossimi anni. LEGGI TUTTO

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    Vinessa: vini nati dal vento

    Sulle sponde del Lago di Garda, alle pendici del Monte Baldo, un vento burrascoso soffia con forza: è la Vinessa (o la spùrca o la nèta), un vento costante proveniente da Est Sud-Est che attraversa la sponda veronese fino a quella bresciana. Questo elemento naturale, potente e simbolico, dà il nome a un progetto vitivinicolo unico, che intreccia saperi radicati nel tempo, visione contemporanea e attenzione all’ambiente: Vigneti Vinessa.

    Dietro a questa realtà c’è la famiglia Bonatti, le cui radici affondano nel mantovano, terra del poeta Virgilio e del lambrusco. Negli anni ’90, il trasferimento nel veronese segna l’inizio di una nuova avventura imprenditoriale nel settore dell’agricoltura di precisione, dove Mauro Bonatti e il figlio Leonardo sviluppano tecnologie per una coltivazione più sostenibile. Questo profondo legame con la natura e la terra li spinge, nel 2015, a concretizzare un sogno: coltivare vigneti biologici di montagna in un territorio straordinario e incontaminato. Così nasce Vigneti Vinessa.

    Un territorio unico e la scelta dei vitigni Piwi

    Dopo una lunga ricerca, la famiglia Bonatti individua a Lumini di San Zeno, sul Monte Baldo, il luogo ideale per avviare la viticoltura di montagna. A 800 metri sul livello del mare, in un contesto impervio e roccioso, i vigneti trovano riparo in un ecosistema naturale e intatto. La decisione di piantare esclusivamente vitigni Piwi  rappresenta un passo fondamentale. Queste varietà, frutto dell’ibridazione tra vite europea e asiatica, garantiscono resistenza alle malattie fungine e riducono al minimo l’uso di prodotti chimici. Questo approccio consente di preservare l’ambiente, riducendo consumi idrici, emissioni di CO₂ e il compattamento del suolo.

    Tra le varietà coltivate spiccano quattro a bacca bianca (bronner, johanniter, muscaris, solaris) e tre a bacca rossa (cabernet cortis, merlot khantus, prior). La scelta di questi vitigni, insieme all’altitudine e alle pendenze estreme, definisce una viticoltura eroica, capace di produrre vini complessi e autentici.

    Un’agricoltura biologica e olistica

    La filosofia di Vigneti Vinessa si basa su un approccio integrato, che considera il vigneto come parte di un ecosistema più ampio. Attraverso pratiche come il sovescio, l’utilizzo di letame bovino e humus di lombrico, e l’inerbimento controllato, l’azienda favorisce l’equilibrio naturale del terreno e previene l’erosione. La potatura e altre tecniche agronomiche sono pensate per ottimizzare la resa per ceppo, mantenendo le piante sane e bilanciate.

    Dal vigneto alla bottiglia: una qualità senza compromessi

    La qualità dei vini di Vigneti Vinessa è il risultato di un’attenta gestione agronomica e di un lavoro meticoloso in cantina. La vendemmia tardiva, resa possibile dall’ottima salute delle uve, garantisce vini di grande complessità, capaci di raccontare le peculiarità di un territorio straordinario.

    Vinessa: un vento di innovazione

    Vigneti Vinessa è molto più di un’azienda agricola: è un progetto che unisce passione, rispetto per la natura e una visione orientata al futuro. La scelta dei vitigni Piwi, l’impegno per una viticoltura biologica e la valorizzazione di un territorio unico rendono questa realtà un modello di innovazione sostenibile. Qui, tra il Lago di Garda e il Monte Baldo, soffia un vento nuovo, quello di una viticoltura eroica e consapevole.

    I vini

    Ad oggi i vini di Vigneti Vinessa sono due: Divento e Controvento.

    Divento, è un bianco fermo ottenuto da un blend di johanniter e bronner. Le varietà resistenti da cui nasce questo vino sono coltivate con metodo biologico tra 720-760 m s.l.m., su terrazzamenti esposti a sud con terreno argilloso-limoso caratterizzato da un’elevata presenza di roccia calcarea tipica delle prealpi veronesi. La vendemmia avviene manualmente tra fine settembre e inizio ottobre, periodo in cui l’escursione termica elevata caratterizza le fasi finali della maturazione degli acini. La selezione manuale dei grappoli per ottenere la massima qualità porta le rese a circa 50/60 q.li/ha. Il successivo trasporto in cassette basse e il raffreddamento delle uve per una notte conserva intatti i grappoli prima della pressatura soffice. Il mosto successivamente svolge le fermentazioni in botti di legno di rovere da 10 hl e, successivamente, affina nelle stesse per dieci mesi con battonage due volte a settimana. Dopo l’imbottigliamento il vino affina ulteriormente per almeno ulteriori sette mesi.  Il risultato è un vino di grande eleganza, sicuramente tra i Piwi più espressivi che mi sia capitato di assaggiare, suadente e ampio con una nota sapida finale davvero intrigante.

    Un vino di montagna a tutti gli effetti, con un grande potenziale evolutivo, che negli anni affinerà ulteriormente, diventando ancora più complesso. 2105 bottiglie numerate per l’annata 2022.

    Controvento, è un vino bianco dolce, ottenuto da uve muscaris. La varietà resistente da cui nasce questo vino è coltivata con metodo biologico tra 780-810 m s.l.m., su un terreno in pendenza esposto a sud caratterizzato dalla massima presenza di roccia calcarea e argilla. La vendemmia avviene manualmente a fine settembre, volutamente in anticipo rispetto alla completa maturazione degli acini. L’estrema selezione manuale dei grappoli per ottenere la massima qualità, porta le rese a 40 q.li/ettaro. Successivamente le uve sono collocate in graticci in un locale a temperatura e umidità controllata per poter effettuare il graduale appassimento. Raggiunta la concentrazione ideale negli acini, le uve sono pressate a grappolo intero e il mosto è riposto in acciaio per svolgere le fermentazioni fino a 10 gradi alcol. Il vino affina sempre in acciaio per dieci mesi e, dopo l’imbottigliamento in bottiglie da 0,375 L, riposa ulteriormente per almeno due mesi.

    Anche per Controvento i risultati sono sorprendenti, un vino bianco dolce di grande equilibrio e soprattutto capace di stupire in abbinamenti non scontati, ovvero evitando la concordanza del dolce su dolce. 325 bottiglie numerate.

    È attualmente in barrique il primo rosso di Vigneti Vinessa che sarà disponibile dopo il periodo di affinamento e invecchiamento in bottiglia. Con la vendemmia 2024 saranno avviati i progetti di vinificazione di un bianco fermo riserva e di uno spumante. LEGGI TUTTO

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    Fèlsina: 12 Sangiovese al 12 Apostoli

    In una Verona uggiosa di battistiana memoria, il 23 ottobre 2024 ha avuto luogo un evento destinato a lasciare il segno nel mondo dell’enogastronomia. La storica cantina Fèlsina ha scelto un palcoscenico d’eccezione per presentare il suo ambizioso progetto “Materia Prima”: la nuova Casa Perbellini – 12 Apostoli, guidata dallo chef pluristellato Giancarlo Perbellini.

    Giancarlo Perbellini

    Il ristorante, simbolo della tradizione culinaria veronese, ha subito un restyling rispettoso e raffinato grazie alla maestria dell’architetta Patricia Urquiola. Con il trasferimento della brigata dalla precedente sede di Piazza San Zeno al civico 3 di Vicolo Corticella, Perbellini è tornato alle radici della sua carriera: proprio al 12 Apostoli, ancora diciottenne, aveva mosso i primi passi in cucina. Questo ritorno è stato il preludio di un nuovo importante capitolo per lo chef, culminato il 5 novembre 2024 con l’assegnazione della terza stella Michelin, consacrazione del suo talento e della sua dedizione.

    Ma qualche giorno prima della storica premiazione, al 12 Apostoli si era già respirata aria di eccellenza grazie a Fèlsina. La cantina di Castelnuovo Berardenga ha svelato “Materia Prima”, un progetto enologico che rappresenta un tributo al legame tra il Sangiovese e il terroir.

    Dodici vini, dodici storie narrate attraverso altrettanti suoli, con il vitigno simbolo della Toscana a fare da interprete fedele della terra da cui nasce. Una filosofia che affonda le sue radici nella tradizione contadina, fatta di saperi tramandati ma anche di ricerca.

    Sotto la guida dell’enologo Franco Bernabei e con il contributo scientifico dell’Università di Firenze, è stato infatti identificato il “lievito Fèlsina”, uno dei tanti frutti di questa meticolosa indagine.

    “Ogni vino rappresenta un’esperienza unica,” ha spiegato Giovanni Poggiali, oggi alla guida dell’azienda, “il Sangiovese è il nostro ‘genius loci’, e ogni terroir contribuisce a creare un’identità irripetibile.”

    I dodici Sangiovese del progetto “Materia Prima” sono Pozzi 2019, Quadri 2019, Quercione 2019 situati a Pagliarese e Casale 2019, Fornace 2019, Malena 2019, Mandorli 2019, Ruzzatoio d’Ombrone 2019, Ruzzatoio Lago 2019, Sambra 2019, Santa Maria 2019, Villa del Lago 2019 che incarnano perfettamente la ricchezza dei suoli di Fèlsina.

    Ogni vino segue le stesse pratiche di cantina, fermentazione con lieviti indigeni, stesso periodo di macerazione delle uve, fermentazione malolattica in tonneaux da 500 litri e un affinamento in legno di 18 mesi ma è il lavoro in vigna a fare la differenza, esaltando le peculiarità uniche di ciascun terreno.

    La giornata di presentazione si è conclusa con una degustazione che ha fatto dialogare il terroir toscano con l’eleganza della cucina di Perbellini, creando un connubio indimenticabile. Qualcuno ha sussurrato, quasi con scaramanzia, che il progetto “Materia Prima” abbia portato fortuna allo chef, un preludio perfetto al suo trionfo Michelin.

    Con questa doppia celebrazione – il ritorno di Perbellini al 12 Apostoli e la nascita di “Materia Prima” – Verona si è confermata ancora una volta crocevia di eccellenze.

    Fèlsina

    La cantina Fèlsina nasce nel 1966 a Castelnuovo Berardenga grazie a Domenico e al figlio Giuseppe Poggiali. A entrambi fu da subito chiara la grande vocazione enologica di questo territorio di confine, tra le colline del Chianti Classico e quelle dei Colli Senesi, dove il Sangiovese trova grandissime espressioni.

    Mappa dei Cru di Fèlsina

    Con l’ingresso in azienda di Giuseppe Mazzocolin e dell’enologo Franco Bernabei si delinea ancor meglio il profilo che l’azienda mantiene tuttora e che dagli anni ’90 è portato avanti con successo da Giovanni Poggiali, terza generazione di viticultori e oggi alla guida di Fèlsina: una costante ricerca di autenticità in vigna e in cantina, tra natura e tecnica, in 500 ettari di terreno, di cui 72 dedicati alle vigne a conduzione biologica. www.felsina.it LEGGI TUTTO

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    Valle di Mezzane: Un territorio, 13 Vignaioli, un Obiettivo

    di Patrizia Vigolo

    L’obiettivo del Gruppo dei Vignaioli di Mezzane è ben definito: dare un forte stimolo e un impegno costante per il processo di definizione delle “Vallate della Valpolicella” come future sottozone, oltre a valorizzare le migliori aree di produzione del Soave.

    13 produttori con ciascuno la sua storia, le proprie origini e uno stile unico, accomunati da due elementi fondamentali: provengono tutti dalla Valle di Mezzane e sono aziende agricole che vinificano esclusivamente uve di loro produzione:

    Roccolo Grassi

    Massimago

    Le Tre Talestri

    Le Guaite di Noemi

    Le Cesette

    Ilatium Morini

    Il Monte Caro

    I Tamasotti

    Grotta del Nifeo

    Falezze

    Carlo Alberto Negri

    Benini Alessandro

    Camerani Marinella

    Da qui nasce il desiderio di unirsi per raccontare il proprio territorio e approfondirne la conoscenza al fine di valorizzarlo. “La conoscenza porta al miglioramento” queste le parole di Camilla Rossi Chauvenet, titolare dell’azienda Massimago.

    Conoscere e studiare i suoli della Valle di Mezzane è anche un messaggio e uno stimolo che questi vignaioli vogliono rivolgere al Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella, affinché vengano definite le Sottozone.

    Valle di Mezzane, una futura Sottozona della Valpolicella?

    Lo studio delle Sottozone è attualmente al centro delle attività della “Commissione Vallate” dello stesso Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella.

    Il tema delle Sottozone non è sicuramente nuovo. Basti pensare che esso risale alla fine dell’Ottocento, quando Giovanni Battista Perez, nel suo libro La provincia di Verona ed i suoi vini, pubblicato nel 1900, descrisse le peculiarità della produzione vinicola di ciascuna vallata della Valpolicella, inclusa quella di Mezzane.

    Lo studio dei suoli aziendali fu commissionato all’inizio del 2023 lo studio dei suoli aziendali al pedologo Giuseppe Benciolini. Il risultato di questo grande lavoro è una Carta dei Suoli della Vallata e tredici carte dei suoli di dettaglio dei vigneti di ogni singola azienda. E’ uno strumento fondamentale che supporterà i vignaioli nel fronteggiare i cambiamenti climatici e aprirà la strada alla ricerca di caratteristiche che accumunano i vini della Valle di Mezzane.

    I suoli della Valle di Mezzane

    La Valle di Mezzane, come le altre vallate delle colline veronesi situate tra la Val d’Adige e il confine orientale della provincia, rappresenta un piccolo universo unico.

    Dal punto di vista geo-pedologico, riflette appieno le peculiarità dell’areale dei bassi Lessini, pur conservando, come ogni vallata, una propria identità distintiva e originale.

    La Vallata di Mezzane presenta tutte le rocce della serie stratigrafica che caratterizza i bassi Lessini; i suoli che derivano dall’alterazione e dal modellamento di queste rocce ne riflettono le caratteristiche e coprono il territorio della vallata con un mosaico variegato e originale: suoli moderatamente profondi ed estremamente o molto calcarei in corrispondenza delle formazioni geologiche calcaree dominanti, suoli argillosi e non calcarei dove affiorano i basalti vulcanici, terreni molto profondi a granulometria variabile in pianura.

    Le tredici aziende che hanno sostenuto questo progetto incarnano, ciascuna a modo suo, i diversi aspetti di questa varietà: alcune si distinguono per la predominanza dei suoli più tipici e diffusi della Vallata; altre racchiudono, in pochi ettari, l’intera variabilità delle denominazioni locali; altre ancora si caratterizzano per la presenza di suoli “rari”, meno comuni nell’area e nella denominazione, ma altamente distintivi, capaci di riflettersi in maniera unica nelle loro produzioni.

    Degustazione “Nero su bianco”

    La degustazione “nero su bianco” è stata ideata proprio per questa ricerca, richiamando i colori dei suoli vulcanici e calcarei che caratterizzano la Valle di Mezzane e riflettendo il desiderio del Gruppo di catturare e valorizzare queste peculiarità nei loro vini.

    “Il percorso verso le Sottozone per i vini Valpolicella – ha raccontato Christian Marchesini, presidente del Consorzio – è partito tempo fa ed è stato più recentemente ripreso con uno studio pedologico che ha messo in luce delle difficoltà di definizione delle aree. Abbiamo, inoltre, già una sottozona, la Valpantena, peraltro poco rivendicata, che ha la sua storicità e quindi definendo altre 11-12 sottozone-vallate dovremo tenere presente i diritti acquisiti. Quindi esistono aspetti politici complessi da affrontare puntando alla condivisione e all’inclusione. Si sta discutendo nelle diverse Vallate e spero che questo fermento si estenda per arrivare a un progetto unitario e siamo convinti che le Sottozone ci daranno un’opportunità in più di raccontare i vini Valpolicella”.

    Il lavoro di definizione territoriale nella doc Soave tramite le UGA ha già qualche anno alle spalle, ma pretende ulteriori specifiche. “Abbiamo 33 UGA, alcune delle quali coincidono con cru storici, ma siamo agli inizi e stiamo lavorando per definirle ulteriormente – ha sottolineato Cristian Ridolfi, presidente del Consorzio Vini Soave. Non è facile raccontarne le specificità anche perché non sono sancite specificatamente dal disciplinare e per definirle mi piacerebbe andare oltre gli aspetti pedoclimatici evidenziando le tradizioni produttive anche perché si prestano al racconto. Esistono tanti luoghi belli in tutto il mondo, ma a fare la differenza è il lavoro dell’uomo”.

    Sono cauti nel voler attivarsi fin da subito in voli pindarici: “piedi per terra, consapevolezza e conoscenza. Serve conoscersi come gruppo per fare i passi giusti per crescere insieme” le parole di Marco Sartori, titolare dell’azienda agricola Roccolo Grassi.

    Ai 13 vignaioli va riconosciuto l’amore per questa Valle, anche se il percorso che li attende sarà complesso ma sicuramente ricco di soddisfazioni. Lavorare in gruppo non è mai semplice, ma un obiettivo chiaro e condiviso sarà la chiave per il successo del progetto?

    I vini in degustazione

    1- Soave Balinda 2023, Benini Alessandro; 2- Soave Fienile 2023, Camerani Marinella; 3- Soave 2021, Carlo Alberto Negri; 4-Soave Broia 2022, Roccolo Grassi.

    5-Valpolicella Superiore 2020, Grotta del Ninfeo; 6-Valpolicella Superiore Determinazione 2021, Talestri;   7- Valpolicella Superiore Sol Aria 2020, Il Monte Caro; 8- Valpolicella Superiore Profasio 2020, Massimago.

    9-Valpolicella Superiore 2018, Falezze;
10- Valpolicella Superiore 2014, Le Guaite di Noemi; 11- Valpolicella Superiore Prognài 2017, Ilatium Morini; 12- Valpolicella Superiore 2016, Le Cesete;
13- Valpolicella Superiore 2018, I Tamasotti. LEGGI TUTTO

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    Cantina Roeno: una famiglia, tante anime

    di Patrizia Vigolo

    La Terradeiforti sta a Roeno come Roeno sta alla Terradeiforti. Una corrispondenza che non sempre si ritrova quando si parla di cantine che parlano di territorio e di unicità.

    Approcciarsi ai vini della cantina Roeno vuol dire entrare in un caleidoscopio di chiaroscuri dove ogni vino racchiude un microcosmo tutto suo ma allo stesso tempo si lega agli altri con un fil rouge, a volte invisibile, a volte estremamente chiaro.

    Questo territorio, la Terradeiforti, è stato per molto tempo ignorato dal pubblico e anche dalla stampa. Quanti di voi conoscono questa zona? Spero in molti ma non credo sia così.

    Cantina Roeno: la famiglia Fugatti

    È in questa zona che la famiglia Fugatti ha deciso di dedicare la sua vita al vino. C’è chi produce vino per il mercato e c’è chi produce vino per il territorio. Loro fanno parte di questa seconda categoria.

    A Brentino Belluno nasce l’azienda vitivinicola fondata da Rolando Fugatti e sua moglie Giuliana dal Fior. Da oltre 50 anni, Roeno è il simbolo della passione e dell’impegno per una terra ricca di storia, che si trova tra le province di Verona e Trento.

    Attualmente, Cantina Roeno è supportata da un gruppo di professionisti altamente qualificati che affiancano la famiglia Fugatti: Giuseppe Fugatti, direttore di produzione; Alessandro Corazzola e Mirko Maccani, enologi; Roberta Fugatti, addetta all’accoglienza; Matilde Peres, responsabile dell’ospitalità; Nonna Giuliana, cuoca presso la Locanda; Cristina Fugatti, responsabile commerciale; Luca D’Arcano, sales manager; e Martina Centa, responsabile marketing e comunicazione.

    Così come i loro vini, anche la famiglia Fugatti racconta diverse storie, usando linguaggi e approcci diversi.

    Cristina Fugatti, responsabile commerciale, una donna solare, che parla dei suoi vini con enorme rispetto e fa trasparire l’amore e le grandi aspettative per questo percorso intrapreso.

    Giuseppe Fugatti, direttore di produzione, che quando parla delle varie fasi produttive cerca gli occhi del suo team tecnico, Mirko Maccani e Alessandro Corazzola, perché, come dice lui, “sono loro che insieme a me fanno il vino”. Mirko e Alessandro, le due figure tecniche esterne alla famiglia ma che parlano dell’azienda come se fosse loro, con orgoglio e voglia di farla crescere.

    E poi la nuova generazione, Martina Centa che si occupa del marketing e della comunicazione. Lei che racconterà l’eredità della sua famiglia e che, come fa oggi, cercherà di farla conoscere in giro per il mondo alle generazioni più giovani.

    Filosofia aziendale

    Il nome Roeno nasce dall’unione di “ro”, che richiama il fondatore Rolando, e “enos”, termine greco che indica il vino e l’enologia. Un progetto che oggi continua grazie ai figli Roberta, Cristina e Giuseppe, che hanno saputo unire l’enoturismo con la coltivazione della vite e la produzione vinicola. La cantina è infatti accompagnata da un agriturismo e una locanda, spazi accoglienti dove i visitatori possono gustare piatti tipici trentino-veronesi accompagnati da una selezione di vini di alta qualità.

    La filosofia aziendale è ben rappresentata da questo mantra: “Non fermarsi. Sperimentare e osare“: evoluzione sempre, ma senza mai dimenticare le proprie radici.

    Perché scegliere Roeno se lo trovate in una carta dei vini al ristorante?

    Potrei raccontarvi di una verticale di Riesling Italico di ben 6 annate, dalla 2019 alla 2013. Vi potrei descrivere l’estrema complessità e longevità che la famiglia riesce a mantenere nei suoi vini grazie alla cura nella produzione e allo studio di ogni vitigno e alla sua zonazione, potrei raccontarvi della cura che l’azienda mette nella valorizzazione di vitigni autoctoni e rari ma non lo farò.

    Il motivo più forte per cui dovreste scegliere un loro vino, è il caleidoscopio di esperienze che potrete godere: vitigni autoctoni come l’Enantio e il Teroldego o vitigni non prettamente autoctoni come il Riesling renano. Molte anime in un calice, a voi la scelta: quella della montagna, il Monte Baldo e quella della Valdadige dove scorre il grande fiume Adige.

    Sentirete vini che raccontano di un passato, quello di agricoltori legati al proprio territorio e allo stesso tempo di un’azienda che parla di futuro e tecnologia.

    La tecnologia in cantina

    Succede poche volte che una cantina parli di tecnologia quando racconta i propri vini. Nella cantina Roeno invece la tecnologia, lo studio e l’approfondimento sono un vanto e un mezzo per riuscire a far emergere l’unicità del loro territorio.

    Studiare la zonazione dei vigneti, utilizzare una macchina selezionatrice ottica a getto d’aria X-tri che individua eventuali corpi estranei e difetti legati alla presenza di clorofilla: studiare e mettersi sempre in gioco per riuscire a dare voce a dei vitigni e a un terroir che merita di essere raccontato.

    “Non dobbiamo avere paura della tecnologia, soprattutto quando questa viene usata al servizio della qualità e dell’esaltazione di un territorio.” queste le parole di Giuseppe Fugatti

    La ricerca dei vitigni perduti

    Ciascun vino racconta un vitigno, ogni annata racconta una storia fatta di temperature, temporali estivi, a volte grandinate o gelate primaverili. Ogni vino è uno scrigno che racconta una storia.

    Sarebbe molto più semplice produrre vini da vitigni famosi, semplici da gestire. E invece il team della cantina Roeno ha deciso di fare dello studio il loro cavallo di battaglia.

    Enantio, un nome che sa di antico, ed effettivamente è un vitigno antico.

    Riesling renano, sicuramente non uno dei vitigni che metteremo nella top 10 dei vitigni più conosciuti italiani.

    Eppure eccoli qua, portati in palmo di mano e con risultati eccellenti dalla cantina Roeno.

    Riesling Renano collezione famiglia

    Dalla passione di Giuseppe Fugatti e Mirko Maccani nasce nel 2003 un progetto incentrato sul riesling renano, vitigno tipico della Mosella e dell’Alsazia. Un progetto nato da una passione e che quotidianamente si scontra con la necessità di studiare, ancora e ancora.

    Anni passati a studiare i vigneti, la posizione, la vinificazione, affinché si potesse creare un vino da un vitigno tipico delle regioni più a nord e che necessita ampie escursioni termiche tra il giorno e la notte e di un’ottima esposizione al sole.

    Dopo anni di sperimentazioni esce la prima annata 2009, Riesling Renano Preacipuus 2009. Un vino che fonde la freschezza, l’acidità e la sapidità tipiche delle regioni settentrionali con il calore, la ricchezza e la struttura di un terroir unico come quello della Valdadige.

    Non aspettatevi che vi parli dei classici sentori da idrocarburi e pietra focaia che solitamente ritroviamo nel riesling. La bravura di Cantina Roeno è quella di far emergere altri sentori, quelli più tipici di un vino cresciuto in queste zone: quando metterete il naso su un loro riesling renano aspettatevi un ventaglio di fiori e frutta che solamente in futuro si arricchiranno di note minerali, pietra focaia e grafite in primis.

    Il riesling sa essere un vino che sa ammaliare, intenso al naso ed estremamente aperto al palato. È un vino che noi del settore per qualche strano motivo abbiamo voluto dipingere come un vino difficile, per intenditori. In realtà un riesling ben fatto come quello della cantina Roeno è un vino che sa adattarsi al palato di chi lo beve. Saprà stupirvi se cercate corpo e profondità, vi accompagnerà se amate i vini che evolvono nei profumi e saprà anche essere un compagno gioviale per una bevuta immediata e amichevole.

    I vini degustati

    Collezione di Famiglia – Riesling renato: Annate 2013 – 2015 – 2016 – 2017 – 2018 – 2019

    Pinot Grigio Rìvoli 2021 –

    Pinot Grigio Rìvoli 2021

    Enantio Riserva 1865 Prefillossera 2019

    Solaris Repanda 2023

    Cristina Vendemmia Tardiva 2021 LEGGI TUTTO

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    “Camminando” il Roero

    di Luciano Pavesio

    L’apparentemente azzardata mossa perpetrata nel marzo del 2014 di costituire un autonomo Consorzio di tutela e valorizzazione dei vini e del territorio si sta sempre di più rivelando una mossa azzeccata per il Roero. Questo ente, presieduto con sapienza e passione dal produttore Massimo Demonte, vanta l’iscrizione di più del 50% dei viticoltori per oltre il 70% della produzione dei vini Roero DOCG (complessivamente più di 1.000 gli ettari vitati per un totale che supera i sei milioni di bottiglie prodotte tra Roero, vino rosso a base di uve nebbiolo, e il Roero Arneis, vino bianco a base delle omonime uve).

    Sulla scia dell’entusiasmo sono molteplici le occasioni e gli eventi organizzati ogni anno dal Consorzio oppure dall’Enoteca del Roero, l’associazione presieduta da Marco Perosino con sede a Canale che comprende i comuni di Canale, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Monticello d’Alba, Pocapaglia, Priocca, Santa Vittoria d’Alba, Vezza d’Alba e l’Associazione Vinaioli del Castellinaldo insieme a diverse altre associazioni o enti locali.

    L’Ecomuseo delle Rocche del Roero

    Un grande contributo alla scoperta di questo territorio lo sta fornendo l’Ecomuseo delle Rocche del Roero. Istituito dalla Regione Piemonte nel 2003, comprende i comuni di Cisterna d’Asti, Montà, S. Stefano Roero, Montaldo Roero, Monteu Roero, Baldissero, Sommariva Perno e Pocapaglia.

    Il suo obiettivo è documentare, tutelare e permettere lo sviluppo del particolare processo di antropizzazione sviluppatosi negli otto “borghi di sommità” siti nel contesto naturalistico e paesaggistico rappresentato dalle Rocche, che costituiscono l’ossatura di un territorio assolutamente unico: una labirintica e spettacolare dorsale di gole, nude pareti a picco, guglie e pinnacoli di sabbia che si estende per oltre 30 km da Pocapaglia a Cisterna d’Asti come risultato di un notevole fenomeno di erosione del fiume Tanaro in epoca glaciale.

    I “borghi di sommità” del Roero, situati sulla dorsale delle Rocche ed accomunati da caratteristiche ambientali ed antropiche proprie, sono abbarbicati con le loro torri e i loro castelli a sentinella dei ristretti passaggi consentiti dalle “rocche”.

    Massimo Damonte presidente Consorzio Tutela Roero

    Questi comuni dell’Ecomuseo delle Rocche del Roero segnano lo spartiacque tra due zone ben distinte: a ponente, quella appartenente al bacino del Tanaro, dai terreni di origine marina e abitata sin dall’epoca romana, regno della vite e delle piante da frutta, e quella di levante, degradante verso la pianura torinese, appartenente al bacino del Po, in cui prevalgono ancora vasti relitti dell’antica “silva popularis” (aree boschive).

    In questo contesto l’Ecomuseo opera attraverso svariate attività su più livelli e settori:

    l’allestimento e la manutenzione di una Rete di sentieri naturalistici tematici che portano ciascuno a scoprire un particolare aspetto di questo territorio ad alta biodiversità nonostante l’antropizzazione, e promuovono in chiave turistica le sue molteplici potenzialità;

    la ricerca scientifica sistematica mediante la pubblicazione di studi e volumi sulla storia e sull’identità territoriale locale e la creazione di un archivio multimediale di documentazione;

    progetti di didattica rivolti alle scuole del territorio ecomuseale, per contribuire alla costruzione del senso di appartenenza al territorio ed alla comunità nelle nuove generazioni, con particolare attenzione alla formazione degli insegnanti e alla realizzazione di laboratori didattici per bambini.

    rassegne di escursioni organizzate ed eventi culturali che mirano al recupero e alla riproposta dei momenti di festa legati al calendario rituale contadino

    Le Rocche

    Le Rocche

    L’elemento fondamentale che caratterizza il paesaggio dell’Ecomuseo è rappresentato dalle Rocche, un fenomeno geologico di erosione lungo ben 32 km, che ha origine nella notte dei tempi ma che continua ancora oggi, e che ha sensibilmente influenzato la vita dell’uomo.

    Circa 250.000 anni fa il Tanaro deviò il suo corso per opera di erosione di un altro fiume. Questo evento, che viene chiamato dagli studiosi “Cattura del Tanaro”, causò una serie di sconvolgimenti molto forti nelle vallate di scorrimento. I corsi d’acqua del Roero cominciarono ad arretrare verso la nuova valle del Tanaro, incidendo con gole profonde e pittoreschi calanchi i terreni sabbiosi dell’Astiano.

    Il risultato di questo fenomeno millenario è unico e ancora oggi osservabile nei comuni delle Rocche. Nelle dolci colline tipiche del Roero, si aprono improvvisamente profonde voragini che possono raggiungere anche dislivelli di centinaia di metri. Le pareti sabbiose della collina formano guglie dalle forme affascinanti e bellissime, anfiteatri naturali maestosi ed imponenti in cui ci si può avventurare seguendo i sentieri dei contadini.

    L’ecosistema delle Rocche è però molto delicato. Microclimi diversi coabitano in poche centinaia di metri di altitudine; pini e roverelle, tipici di una vegetazione secca, crescono in cima alle creste, mentre nel fondo dei burroni l’acqua stagnante crea habitat umidi e rigogliosi.Inoltre le Rocche sono formate da terreni sabbiosi che un tempo erano fondali marini; per questo è possibile trovare incastrati tra le pareti fossili di conchiglie, ricci e pesci.

    cartina dei sentieri del Roero

    I Sentieri del Roero

    Approssimandosi l’affascinante periodo autunnale della vendemmia, tra le opere di rilevante interesse realizzate nel Roero è senz’altro la stesura di chilometri di sentieri tematici, oltre 300 chilometri raccolti lungo due dorsali trasversali dalle quali si dipanano diversi percorsi ad anello.

    In questo modo si può “camminare” tutto il territorio (termine tanto caro al maestro Luigi Veronelli), consentendo al visitatore di addentrarsi nella sua grande varietà di paesaggi: nei boschi di pini silvestri, roveri, querce e giganteschi castagni secolari; negli orridi delle rocche con le loro pareti verticali di sabbie astiane; nei rii e negli umidi fondovalle incolti; nel mare di bricchi, di colline a vigneto, con le loro geometrie regolari interrotte da macchie ancora a frutteto.

    Una ragnatela gestita dall’Ecomuseo delle Rocche, che ne cura la manutenzione, la promozione e la fruizione attraverso indicazioni e pannelli, cartine, audioguide e accompagnatori naturalistici, animazioni e numerosi altri servizi collaterali.

    Tra i più percorsi i “Sentieri del vino”, progetto legato alle Menzioni Geografiche Aggiuntive della DOCG Roero istituite dalla vendemmia 2017, la terza denominazione italiana a raggiungere questo traguardo. Queste camminate partono da ciascun borgo fornendo la cartellonistica col quadro d’insieme e le informazioni utili a fornire al visitatore enogastronomo l’indicazione precisa del luogo di ogni specifico “Cru” del Roero. I sentieri proseguono quindi con frecce di percorso e culminano nei pannelli che precisano il punto di partenza e quello finale della menzione, disegnando un anello che riporta al punto d’avvio.

    Ciabot

    Altro percorso di notevole importanza e transito è “Il Grande Sentiero del Roero-S1” che attraversa per intero la dorsale delle Rocche e gli otto borghi di sommità sorti sui dirupi dopo l’anno Mille. Il Sentiero si snoda per circa 40 km dal paese di Bra a quello di Cisterna d’Asti, e permette di apprezzare la grande varietà paesaggistica del Roero e gli ambienti naturali più incontaminati, dove si ammirano una flora e una fauna ancora originarie.

    Di seguito una sintesi dei sentieri tematici attualmente fruibili suddivisi per comune:

    Montà d’Alba

    Sentiero dell’Apicoltura: attraverso l’habitat ideale per l’allevamento delle api, alla scoperta di antichi metodi di produzione del miele e dei ciabòt apiari, architetture rurali uniche in Europa.

    Dati tecnici: lunghezza  km 3.9 – durata: 1 ora 30 min –  dislivello 150 mt –  difficoltà E (escursionisti) – ciclabilità 80%

    Sentiero del Castagno:  un paradiso di contrasti, dalle colline coltivate a vigne e frutteti alle zone umide dei biotopi, attraverso castagneti storici e piloni votivi.

    Dati tecnici: lunghezza  km 9.2 – durata 3 ore 30 min –  dislivello 180 mt – difficoltà EE (escursionisi esperti)- ciclabilità 85%

    Sentiero Religioso: seguendo le orme degli antichi pellegrinaggi dal paese al Sacro Monte costruito in cima al colle, sui resti di un tempio pagano dedicato alla dea Diana. 

    Dati tecnici: lunghezza km 5.7 – durata 2 ore 15 min –  dislivello 170 mt –  difficoltà E (escursionisti) – ciclabilità 93%

    Sentiero del Tartufo: lungo le piste ombrose dei trifolao, i cercatori del pregiato tartufo bianco delle Rocche, risalendo lungo vigne aggrappate ai terreni sabbiosi e costellate da ciabòt di tutte le forme.

    Dati tecnici: lunghezza km 4.5 –  durata 2 ore –  dislivello 170 mt –  difficoltà EE (escursionisti esperti) – ciclabilità 75%

    Sentiero del Lupo: la via che serpeggia nell’antico bosco noto già ai tempi dei romani come silva popularis, lungo vallate di castagni secolari che fanno da sentinella alle borgate più isolate.

    Dati tecnici: lunghezza km 7 – durata 2 ore 30 min –  dislivello 140 mt –  difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Monteu Roero

    Sentiero della Castagna granda: un agevole percorso che dal bosco raggiunge la radura della castagna granda, un vero e proprio albero monumentale di oltre 400 anni la cui circonferenza  supera i 10 metri.

    Dati tecnici: lunghezza  km 6 – durata 1 ore 20 min –  dislivello 160 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Il Castello di Guarene

    Sentiero della Fossa dei Cinghiali: ripido zig zag che dall‘ambiente di cresta giunge al fondovalle ombroso delle Rocche, un ambiente umido ideale per la fauna che trova pozze e ristagni d’acqua per abbeverarsi.

    Dati tecnici: lunghezza  km 3.4 – durata 1 ora –  dislivello 200 mt – difficoltà EE (escursionisti esperti)- ciclabilità 70%

    Sentiero dei Fossili: un itinerario alla scoperta dei tesori nascosti tra le pareti sabbiose dei pendii, spingendosi al limitare della Cava Caudana, il giacimento di reperti fossili più ricco dell’area.

    Dati tecnici: lunghezza  km 6.1 – durata 1 ora e 40 min –  dislivello 140 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Sentiero dell’Acqua: attraverso le terre rosse dell’altopiano a nord del paese, tra peschiere in cui sono allevate le tinche e la pianura circondata dalla corona alpina.

    Dati tecnici: lunghezza  km 10 – durata 2 ore e 30 min –  dislivello 150 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 95%

    Santo Stefano Roero

    Sentiero del Gioco:  un percorso naturalistico che parte dall’intatto centro storico del paese, adatto ai giochi tradizionali dei bambini e agli sport di piazza, costeggia ripidi anfiteatri di rocche e si apre su pregiati vigneti.

    Dati tecnici: lunghezza  km 5.2 – durata 1 ora e 30 min –  dislivello 260 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Vezza d’Alba

    Sentiero del Tasso: immersi in una grande varietà paesaggistica, dalle vigne panoramiche alla vegetazione folta in cui si nasconde il silenzioso Santuario di Madonna dei Boschi, passando per la Val Tassera conosciuta per le sue tane di tasso.

    Dati tecnici: lunghezza  12.7 km – durata 3 ore e 30 min–  dislivello 720 mt – difficoltà EE (escursionisti esperti)- ciclabilità 100%

    Sentiero del Trifolao: un percorso panoramico che ripercorre i luoghi prediletti dai cercatori del tartufo, dai noccioleti alle piante tartufigene di fondovalle nei pressi della Tartufaia Valtesio.

    Dati tecnici: Lunghezza  5.6 km – durata 1 ora e 45 min–  dislivello 240 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Sentiero del Torion: un agile sentiero lungo la pianura coltivata del rio Borbore conduce ai versanti impervi del bosco coltivato a ceduo, dove le vigne aggrappate lasciano il posto alla pineta del Torion.

    Dati tecnici: lunghezza  7 km – durata 1 ora e 50 min–  dislivello 290 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Sentiero della Pera madernassa: un itinerario tra vallette coltivate a frutteto e morbide pianure che valorizza le produzioni di maggior pregio del Roero: la pera Madernassa e le profumate varietà di pesche locali.

    Dati tecnici: lunghezza  6.5 km – durata 1 ora e 30 min–  dislivello 160 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    A Vezza d’Alba è inoltre visitabile il Museo Naturalistico del Roero, che presenta gli ambienti tipici del Roero e la fauna che li abita.

    Sommariva Perno

    S2 – Sentiero degli Asfodeli: un percorso che si immerge nel cuore dell‘antica silva popularis, il bosco primigenio del Roero che a seconda delle stagioni offre profumati frutti di bosco, funghi, prati di pervinche, anemoni, mughetti e asfodeli.

    Dati tecnici: lunghezza  5.5 km – durata 1 ora e 50 min–  dislivello 115 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Il Parco Forestale del Roero: oltre centosessanta ettari di bosco, per un terzo occupato da alberi quasi secolari, due laghetti (lago delle ginestre e lago degli aironi), sentieri con passerelle, strutture per la sosta ed il pic-nic, un percorso ginnico-sportivo con campo da calcio, giochi ed attrezzature per i più piccoli (info www.parcoforestaledelroero.it)

    L’itinerario cittadino della Bela Rosin: un percorso tematico che si sviluppa nel centro storico del paese, toccando i vari punti che furono teatro della vita di Rosa Vercellana, moglie morganatica del Re Vittorio Emanuele II.

    PocapagliaSentiero della Masca Micilina: intende far conoscere le storie e le tradizioni popolari che fino al secolo scorso contraddistinguevano i paesi delle Rocche. Storie di masche e streghe che ben si adattano a questo tipo di territorio impervio e pieno di mistero.

    Dati tecnici: lunghezza  4.5 km – durata 1 ora e 30 min–  dislivello 160 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 50%

    Sentiero botanico della Verna: un percorso che attraversa i tre tipi di ambienti del Roero con la grande varietà di specie botaniche che vi dimorano: da quelle dei fondovalle come l’ontano (verna)  a quelle che prediligono siti aridi ed elevati come il pino silvestre.

    Dati tecnici: lunghezza  4.8 km – durata 1 ora e 45 min–  dislivello 90 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%Sentiero della Rocca Creusa: si immerge nell’anfiteatro delle Rocche più scenografiche dell’area, dove la vegetazione nasconde la grotta in cui visse il leggendario personaggio dell’eremita.

    Dati tecnici: lunghezza  4 km – durata 1 ora e 15 min–  dislivello 150 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    sentiero della Rocca Creusa

    Montaldo Roero

    Sentiero Livio Venturino: un itinerario panoramico dove si alternano continui saliscendi, con spettacolari vedute delle Rocche di Montaldo Roero e Baldissero, e sui castelli di Monticello e Monteu Roero, tra boschi di pioppi e castagni secolari.

    Dati tecnici: lunghezza  6.5 km – durata 1 ora e 45 min–  dislivello 240 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 100%

    Sentiero della Rocca del Serro: partendo dalla piazzetta nel centro storico del paese si intraprende il sentiero, che attraversando boschi e castagneti secolari, si inoltra attraverso un ripido fianco sabbioso nella zona ombrosa del fondovalle della Rocca del Serro. Si risale infine verso l’abitato di Montaldo Roero, dove svetta l’antica torre di avvistamento.Dati tecnici: lunghezza  3.7 km – durata 1 ora e 10 min–  dislivello 130 mt – difficoltà E (escursionisti)- ciclabilità 95%

    Questa rete sentieristica del Roero è illustrata tramite cartine georeferenziate ed audioguide (scaricabili gratuitamente dal sito http://www.ecomuseodellerocche.it/it/audioguida.php oppure reperibili presso la sede dell’Ecomuseo in Piazzetta della Vecchia Segheria 2/B a Montà d’Alba (CN) ) con tutte le informazioni disponibili sulla menzione geografica, sui servizi aggiuntivi quali degustazioni, bio-picnic, animazioni o utilizzo dei “ciabot” presenti, piccoli edifici in muratura o rustici capanni utilizzati in passato come ricovero degli attrezzi di campagna che rappresentano oggi un prezioso patrimonio di architetture rurali come gli “infernot” o “crutin” sotterranei adibiti allo stoccaggio e conservazione del vino. LEGGI TUTTO