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    I vini delle Marche sono un plurale

    Le Marche sono l’unica regione italiana declinata al plurale. Ciò connota, o quantomeno dovrebbe connotare in maniera intrinseca, un aspetto fortemente positivo, perché la molteplicità, di idee, di ragionamenti, di culture, ha sempre portato a risultati vantaggiosi in ogni campo, a dispetto del suo contrario, il singolare, sinonimo di pensiero unico che ha spesso come esito finale l’impoverimento culturale e sociale. Nel descrivere l’unicità delle Marche anche dal punto di vista geografico ci viene incontro il racconto dello scrittore Guido Piovene che nel suo Viaggio in Italia, un reportage nell’Italia del secondo dopoguerra, realizzato su incarico della RAI fra il maggio 1953 e l’ottobre 1956, così narrava: “…Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana e umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ma per quanto ne accolgano i riverberi, le Marche non somigliano né alla Toscana, né alla Romagna e neppure all’Abruzzo, o all’Umbria…”. Una terra atipica quindi, dove con brevi tragitti si passa dalle vette del Parco dei Monti Sibillini, dove il Monte Vettore arriva quasi a duemilacinquecento metri, alle amene località di mare, come la Baia di Portonovo, Sirolo e Numana, in provincia di Ancona.

    Tra questa immensità dove si annega il pensiero (cit.) si estende il vigneto Marche, elargitore di vini unici e che grazie e soprattutto al Verdicchio sono conosciuti ed esportati in tutto il mondo. (+33% negli ultimi 5 anni e un controvalore di quasi 76 milioni di euro) L’Istituto Marchigiano Tutela Vini (IMT), visto il boom turistico che si registra nelle coste, nelle città e nei borghi marchigiani ha colto però la necessità di valorizzare il mercato nazionale che proprio per questi motivi rimane strategico. Per questo motivo IMT ha organizzato una 3 giorni che ha visto la presenza di 70 giornalisti nazionali di settore dislocati in 9 eno-itinerari distribuiti su tutte le denominazioni del Consorzio, che da solo rappresenta circa il 70% dell’export e poco meno della metà dell’intero vigneto regionale.

    La manifestazione a carattere diffuso per le prime due giornate si è chiusa a Villa Koch (Recanati) con un’ultima degustazione corale di tutte le 16 denominazioni e un convegno che farà il punto sulle politiche di settore in particolare legate all’enoturismo. Circa 120 le cantine presenti, per 300 i vini in degustazione per tutte le Dop tutelate da IMT: Bianchello del Metauro, Colli Maceratesi, Colli Pesaresi, Esino, I Terreni di San Severino, Lacrima di Morro d’Alba, Pergola, Rosso Conero (Doc e Docg), San Ginesio, Serrapetrona e Vernaccia di Serrapetrona, Verdicchio dei Castelli di Jesi (Doc e Docg), Verdicchio di Matelica (Doc e Docg).

    L’area tutelata dall’Istituto marchigiano di tutela vini si estende su un vigneto tra le province di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino di oltre 7.500 ettari e una produzione che nel 2022 ha sfiorato i 230 mila ettolitri imbottigliati (l’89% del totale). I filari marchigiani sono tra i più sostenibili in Italia, con un’incidenza biologica sul vigneto che ha raggiunto il 39,5% delle superfici, pari a 6.991 ettari su un totale vitato di 18.000 ettari (anno 2022/23, fonte: Regione Marche, Assessorato all’Agricoltura), un’incidenza doppia rispetto alla media italiana. Dal 2010 al 2022 il totale degli investimenti messi a disposizione dal maxi-Consorzio e dalle aziende socie con i contributi comunitari (Ocm-Vino e Psr Marche Mis. 1.33 e 3.2) ha superato quota 28 milioni di euro.

    Istituto Marchigiano di Tutela Vini (IMT)

    Con 519 aziende associate per 16 denominazioni di origine – di cui 4 Docg – l’Istituto Marchigiano di tutela vini (IMT) rappresenta l’89% dell’imbottigliato della zona di riferimento e incide per il 45% sull’intera superficie vitata regionale (oltre 7.500 ettari tra le province di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino). Dal 1999 supporta tutti i produttori di Verdicchio e garantisce l’autenticità delle produzioni.

    Focus su Colli Maceratesi DOC (Istituita il 05.07.1975)

    Superficie vitata: 250 Ha

    Resa uva/Ha: 13 ton

    Vitigni Colli Maceratesi Bianco (anche nella tipologia spumante e passito): Maceratino (Ribona) minimo 70%; Incrocio Bruni 54, Pecorino, Trebbiano toscano, Verdicchio, Chardonnay, Sauvignon, Malvasia bianca lunga, Grechetto per la sola provincia di Macerata, da soli o congiuntamente, fino ad un massimo del 30%; max 15% altri vitigni autorizzati

    Vitigni Colli Maceratesi Colli Maceratesi Ribona (anche nelle tipologie spumante e passito):

    Maceratino (Ribona) minimo 85%; max 15% altri vitigni autorizzati

    Vitigni Colli Maceratesi Sangiovese: Sangiovese minimo 85%; max 15% altri vitigni autorizzati

    Vitigni Colli Maceratesi Rosso (anche nella tipologia novello e riserva): Sangiovese minimo 50%; Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Ciliegiolo, Lacrima, Merlot, Montepulciano, Vernaccia Nera, congiuntamente o disgiuntamente, fino ad un massimo del 50%; max 15% altri vitigni autorizzati

    Il Colli Maceratesi Doc è uno dei più antichi prodotti autoctoni delle Marche. Le origini del vitigno risalgono al periodo della Magna Grecia – nel 387 a.C. – quando i greci di Siracusa fuggirono dal tiranno Dionisio insediandosi lungo la costa dell’anconetano e nella zona di Macerata. Il gioiello della denominazione, ma dell’intero Vigneto Marche, è sicuramente la tipologia Ribona noto anche come vitigno Maceratino (min. 85% per il Colli Maceratesi Ribona, anche nella tipologia spumante e passito e min. 70% nel Colli Maceratesi bianco, anche nella tipologia spumante e passito) di cui compaiono tracce su alcuni bollettini ampelografici già a partire dal 1800.

    Grazie a un tessuto costituito prevalentemente da piccole aziende agricole a conduzione famigliare, è stato possibile fare un lavoro improntato sulla qualità e oggi la Ribona è sicuramente uno dei vini bianchi italiani che merita la scoperta e, grazie anche a una caratteristica di particolare longevità, potrebbe divenire una delle vere e proprie eccellenze del Belpaese a carattere bianchista, al pari di altri areali altamente vocati, in primis Collio e Alto Adige. Il tempo consente infatti al Colli Maceratesi Doc Ribona di sviluppare aromi sempre più complessi e avvolgenti e di raggiungere un’elegante espressività aromatica. E la modifica approvata del disciplinare che prevederà l’introduzione della Riserva al termine dell’iter di approvazione ancora in corso, si muove in questa direzione. Un percorso che molte cantine hanno già intrapreso da anni: sulla base delle caratteristiche del vitigno diversi produttori da tempo hanno affiancato al vino d’annata un’altra etichetta che prevede tempi di affinamento più lunghi.  

    I produttori ci credono e anche per questo motivo, proprio in questi giorni, hanno lanciato online il sito https://ribona.it/ . Gli assaggi effettuati, nel complesso, si sono rivelati tutti di ottimo livello, ma dovendo proprio scegliere le bottiglie/cantine che mi hanno colpito di più segnalo: Angera Ribona 2021 e Angera Ribona 2012 (a testimonianza del livello qualitativo che può raggiungere la Ribona con il passare degli anni) de Il Pollenza, Flosis Ribona 2022 di Andrea Giorgetti, Le Grane Ribona 2021 di Boccadigabbia, Camurena Ribona 2020 di Saputi, Ribona Pordere Sabbioni 2021, Monteferro Ribona 2019 di Fattoria Forano, Pausula Ribona 2014 di cantina Sant’Isidoro e poi due notevoli Metodo Classico da uve Ribona, il Jurek brut 2016 di Muròla e il Ribona brut di Sant’Isidoro 2019.

    Focus Serrapetrona DOC e Vernaccia di Serrapetrona DOCG

    Serrapetrona è un comune abitato da circa 895 anime, amministrato da Silvia Pinzi, giovane e combattiva sindaca, dove si produce uno dei vini più buoni del mondo, la Vernaccia di Serrapetrona nella versione spumante secco. Notevole anche il Serrapetrona DOC che ho trovato molto interessate nelle sue versioni non eccessivamente affinante in legno o semplicemente in acciaio, strepitoso in questo senso il Clemè 2021 VerSer di Matteo Cesari de Maria.

    E poi c’è la Vernaccia di Serrapetrona! L’’unico vino rosso spumante italiano di origine controllata e garantita ottenuto da una tecnica di produzione unica che prevede ben tre fermentazioni: la prima nel corso della vendemmia, la seconda dopo l’appassimento naturale delle uve e la terza in autoclave, per la presa di spuma. Meraviglioso nei suoi sentori fruttati di ribes nero, amarena e mora, note floreali di violetta e speziate di cannella. La Vernaccia di Serrapetrona è un vino unico, una chicca che solo l’Italia può vantare e che meriterebbe molta più attenzione di quella che attualmente riceve sia dagli addetti ai lavori che dagli appassionati. Forse, per sia nella sua versione secca ma anche dolce, si potrebbe osare di più con gli abbinamenti, non relegandolo alla solo cucina regionale o ai dolci della tradizione marchigiana (nella versione dolce) ma andando ad incontrare i piatti della cucina del mondo, ci sarebbe da divertirsi e soprattutto da rimanerne estasiati.

    Il rapporto tra la Vernaccia e la cittadina di Serrapetrona è di lunga data: un legame, infatti, di cui già si aveva notizia nel Bollettino Ampelografico del 1876 e nell’Annuario generale per la viticoltura e l’enologia del 1893. Il piccolo borgo marchigiano è stato inoltre per molti anni meta di viandanti che consumavano la merenda bevendo quello che allora veniva definito “Vernacetta”. Tra gli assaggi che più mi hanno colpito, oltre al su citato Clemè, anche il Serrerosé vino rosa da uve vernaccia nera sempre di Matteo Cesari de Maria, il Serrapetrona 2020 di Alberto Quacquarini, il Torcular Serrapetrona 2018 di Podere sul Lago, infine ho letteralmente perso la testa per la Vernaccia di Serrapetrona vino spumante secco della cantina Alberto Quacquarini.

    Serrapetrona DOC (istituita il 01.09.2004)

    Superficie vitata Ha: 60

    Resa uva/Ha: 10 ton

    Vitigni: Vernaccia Nera min 85%; max 15% altri vitigni autorizzati

    Affinamento: 10 mesi

    Vernaccia di Serrapetrona DOCG (istituita il 01.09.2004)

    Superficie vitata Ha: 60

    Resa uva/Ha: 10 ton

    Vernaccia Nera min 85%; max 15% altri vitigni autorizzati

    I terreni di San Severino Doc

    I Terreni di San Severino Doc è un vino prodotto all’interno dell’intera area amministrativa del comune di San Severino Marche, posto al centro-sud della provincia di Macerata. Per questa denominazione sono previste quattro tipologie di produzione, significativamente diverse tra loro:

    Rosso e Rosso Superiore, caratterizzati da un uvaggio minimo del 50% di Vernaccia nera

    Passito, ottenuto sempre da una prevalenza di uve Vernaccia nera

    Moro, prodotto con il concorso di un uvaggio minimo del 60% di uve Montepulciano

    Per questo micro-territorio dell’entroterra marchigiano segnalo la Cantina Fattoria Colmone della Marca.

    I Terreni di San Severino Doc (istituita il 06.09.2004)

    Superficie vitata Ha: 15

    Resa uva/Ha: 9 ton

    Vitigni: Vernaccia nera min 50%; possono concorrere altre varietà a bacca nera non aromatiche, congiuntamente o disgiuntamente, fino al 50%

    Affinamento: 18 mesi

    Ogni marchigiano colto usa mettere in guardia contro la tentazione di vedere le Marche come un tutto uniforme. Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana ed umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte per sé stessa. Più ancora dell’Emilia e dello stesso Veneto, le Marche sono la regione dell’incontro con l’Adriatico. Questo piccolo mare d’eccezione qui si spiega più intimo, più libero e silenzioso, con i suoi colori strani che lo fanno diverso da tutti i mari della terra. Parlo di certi verdi freddi, grigi traslucidi, azzurri striati di rosso, che ricordano i marmi pregiati e le pietre dure. a collina marchigiana, volgendosi verso l’interno, è quasi un grande e naturale giardino all’italiana. Non è la collina toscana, né quella umbra. È dolce, serena, patetica, lucida, priva di punte. Passando tra i coltivi delle valli ubertose nelle belle giornate si vedono tutte le piante luccicare all’unisono come se le foglie fossero patinate di cera.

    (Guido Piovene) LEGGI TUTTO

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    Terre di Leone, passato e presente in Valpolicella

    Di Luciano Pavesio

    Correva l’anno 1996 quando Federico Pellizzari e sua moglie Chiara Turati decidevano di lasciarsi alle spalle il loro passato esistenziale e lavorativo e valorizzare l’eredità di nonno Leone, vale a dire un ettaro di vigneto a Marano di Valpolicella.

    Scelta senza dubbio affascinante ma non per questo da affrontare con superficialità e spavalderia, anzi, iniziare un percorso dedicando innanzitutto molto tempo a scoprire caratteristiche e potenzialità di una delle cinque zone da cui nasce l’Amarone Classico.

    Partendo dagli insegnamenti di nonno Leone, al quale l’azienda è dedicata e con il quale Federico da bambino aveva passato molto tempo ed ereditato l’amore per Marano e le sue colline, il progetto passo dopo passo si concretizzava nel 2005 con la costituzione dell’azienda in località Valcatara recuperando un edificio del 1850 abitato da mezzadri dediti alla coltivazione di quelle terre.

    All’ettaro di vigneto appartenuto a Leone, si aggiungevano quattro ettari interamente terrazzati sulle colline laviche tra Marano e Fiumane protette dai Monti Lessini, la parte più ad ovest del territorio dell’Amarone Classico, coltivate a guyot e fin da subito improntate a una bassa resa, non oltre i 60 quintali per ettaro, affidandosi ai consigli ed aiuti dell’enologo Roberto Vassanelli, amico d’infanzia di Federico.

    La cantina veniva ideata e realizzata per lavorare le uve e il vino sfruttando la gravità, operando su diverse altezze per limitare al massimo stressanti trasferimenti e pompaggi delle uve e dei vini.

    Altra tappa significativa dell’esistenza di questa azienda è datata 2008, quando in seguito a un errore in vinificazione a causa di un blocco alla pigiatrice viene prodotto un Amarone meno austero, con una beva più accattivante e fresca.

    Federico e Chiara decidono di fare tesoro di questo curioso inconveniente facendo nascere l’attuale linea “Re Pazzo” da affiancare all’omonima “Terre di Leone”.

    Attualmente l’azienda conta meno di una decina di ettari vitati tra proprietà ed affitto all’insegna dei vitigni tradizionalmente coltivati nella Valpolicella come Corvina, Rondinella, Corvinone, Oseleta e Molinara, tutti ubicati nella sottozona di Marano in media a 300 metri sul livello del mare, per una produzione di circa 45.000 bottiglie suddivise tra sette etichette distribuite per circa il 60% sul mercato italiano e la restante parte in Svizzera, paesi dell’Europa del Nord e USA.

    Le nostre degustazioni

    Nel corso della nostra degustazione abbiamo particolarmente apprezzato i vini della linea Il Re Pazzo caratterizzati da un minor affinamento- in legno al fine di ottenere vini più snelli e immediati, ideali per un uso quotidiano.Il Valpolicella Classico 2021, classico taglio di uve del territorio come la Corvina, Corvinone, Rondinella, Molinara e Oseleta vinificate e affinate unicamente in acciaio si presenta di un acceso rubino che volge al violaceo, sentori di marasca, balsamico, buona sapidità e bella freschezza nella beva.Un po’ più di complessità la riscontriamo nel Valpollicella Classico Superiore Ripasso 2020, nato da una seconda fermentazione del Classico sulle vinacce di Amarone per circa 7-10 giorni, seguita da un affinamento di circa otto mesi in tonneau, dove le noti fruttate di prugna e rabarbaro si uniscono a quelle speziate come l’incenso e il pepe.La freschezza che contraddistingue questa linea si ritrova pienamente nell’Amarone 2017, stesse uve del Valpolicella tranne la Molinara, bella sapidità e tannino dolce per nulla intaccate dagli oltre tre anni di affinamento tra legno e bottiglia.Dedicati ai palati più esigenti invece i vini della Linea Terre di Leone, a cominciare dal Valpolicella Classico Superiore 2017, ben quattro anni di affinamento in legno ben celati da un rubino brillante alla vista, profumi fini, grande freschezza e frutto sia al naso che al palato.

    Sulla falsariga il Valpolicella Classico Superiore Ripasso 2018, figlio di un’annata generosa come raccolta di uve, soltanto 2.000 bottiglie prodotte dopo 36 mesi di affinamento in tonneau: un vino di ottima struttura e corpo, quasi masticoso, netti sentori di marasca, tannino fresco e dolce, un invitante finale mandorlato.Infine l’Amarone Classico 2012, 16 gradi alcolici complice anche l’annata siccitosa, 8 anni e mezzo di affinamento in legno, uvaggio classico senza però l’utilizzo della Molinara, iniziali note sulfuree, quindi spezie fini e frutti neri, elegante, sapido, grande persistenza.

    Una nota a parte spetta al Dedicatum 2016, appena 4.000 bottiglie tutte numerate ottenute vinificando in due tornate tutte insieme i 14 vitigni differenti presenti nell’ettaro del nonno da cui tutto ha preso origine, con l’idea nata nel 2006 di portare il ‘900 in bottiglia: 4 anni di affinamento in legno tra botti da 10 ettolitri e tonneau per creare un vino molto versatile in termini di abbinamento gastronomico, sapido, elegante, certamente unico. LEGGI TUTTO

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    I migliori rosati sbocciano in Puglia (cit.)

    I migliori rosati sbocciano in Puglia. Circa una quindicina di anni fa, con questo slogan oggi decisamente desueto, la Regione Puglia, non senza un pizzico di sano campanilismo, presentava al mondo i suoi vini rosa. D’altronde, se andate nella Valtenesi, a Bardolino o in Abruzzo, vi diranno che i migliori vini rosa italiani vengono da lì. Chi ha ragione? Credo tutti, è questa è un’ottima cosa perché sta a significare che il vino rosa italiano, al di là delle mode e delle tendenze, a volte anche deleterie, ha raggiunto livelli qualitativi di assoluta eccellenza. Nel primo semestre di quest’anno, oltre alla consueta Anteprima del Chiaretto di Bardolino e un approfondimento sulla Valtenesi, ho avuto la possibilità di degustare un discreto numero di referenze pugliesi.

    La Puglia è terra di grande tradizione, si hanno notizie di produzione di vino rosé già a partire dalla metà dell’Ottocento e per certo, può vantare il primo vino rosa imbottigliato, correva l’anno 1943 quando Piero de Castris iniziò a commercializzare il Five Roses, ma oggi, a che punto siamo? Qualcuno è arrivato a dire che l’identità dei rosati pugliesi è stata stravolta, che ha seguito solo logiche di mercato, le quali hanno portato ad un appiattimento dei vini fortemente orientato verso la Provenza. È davvero così? Sinceramente a me non pare, anzi, riferendomi nello specifico all’annata 2022 ho trovato dei vini in grado di bilanciare finezza, eleganza, struttura, riuscendo a mantenere una facilità di beva sorprendente e fortemente identitaria, grazie alla peculiarità di uve come il Susumaniello, la Malvasia Nera, il Nero di Troia e naturalmente il Negroamaro.   

    Gli assaggi

    Di seguito una serie di belle sorprese da bere tutto l’anno e non solo d’estate. Il vino rosa va assolutamente destagionalizzato, questo deve essere un mantra che tutti i comunicatori di vino devono recitare fino allo sfinimento.

    Iniziamo con due spumanti Metodo Martinotti, il primo è il Susumaniello Rosato brut Masseria L’Astore. Dalla prima naturale spremitura delle uve si ottiene il mosto detto in Salento “lacrima”, questo è messo a fermentare a temperatura controllata in vasche d’acciaio. Successivamente viene spumantizzato in autoclave alla temperatura di 10°/12° C per almeno 5 mesi. Note intense e delicate di piccoli frutti rossi e melograno al naso, al palato è teso ed elegante.

    L’Astore Masseria si trova a Cutrofiano, nella Grecia salentina. Il secondo è il Aka Charme Primitivo Rosè Brut Produttori di Manduria. Vinificazione in bianco, con resa non superiore al 50-55%. Dopo la pressatura, il mosto rosato viene avviato verso la fermentazione primaria, sotto stretto controllo termodinamico (da 13 a 15°C). La trasformazione del mosto in vino prosegue sempre in acciaio, sulle fecce fini, fino al termine di ottobre. Successivamente il vino viene trasferito in autoclave per la fermentazione secondaria, dove avviene la presa di spuma ed il successivo affinamento sui lieviti, per un periodo complessivo di circa 120 giorni. All’olfatto intensi piccoli frutti rossi e delicata tostatura. Al palato è cremoso ed espressivo. La cantina cooperativa Produttori di Manduria si trova a ovviamente a Manduria, siamo in provincia di Taranto.

    Per quanto riguarda i vini rosé fermi segnalo: Castillo IGP Susumaniello Rosato 2022 Cardone. Macerazione delle bucce con il mosto, per circa 24/36 ore, al fine di permettere l’estrazione del colore desiderato. Pressatura soffice del pigiato. Fermentazione alcolica a temperatura controllata (18-20°C). Affinamento in tini di acciaio. Il profilo olfattivo è di bella intensità, melograno, piccoli frutti rossi, delicate note iodate. Al palato è cristallino ed espressivo. L’azienda Cardone si trova in quel gioiello che è Locorotondo. Taranta Negroamaro e Malvasia Nera IGP 2022 Vetrère. Raccolta meccanica, pressatura soffice, illimpidimento statico, fermentazione in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata (14°-16°C). Affinamento in serbatoi d’acciaio sui lieviti per due mesi. Alla vista si presenta con un rosa ciliegia deciso. L’olfatto si presenta con note intense di frutta rossa, al palato è dinamico. L’azienda Vetrère si trova a Montemesola in provincia di Taranto. 

    Rosamora Malvasia Nera 2022 Cantine Paololeo. Dopo la raccolta l’uva viene raffreddata a 0°C e fatta stazionare all’interno della pressa soffice per circa 4 ore a contatto con le bucce da dove si estrae il caratteristico colore “rosa cerasuolo”. Il pressato, all’interno di un serbatoio d’acciaio inox, fermenta a temperatura bassa per circa 10 giorni. Matura per 3 mesi in serbatoi d’acciaio. All’olfatto intense note di piccoli frutti rossi, e leggera speziatura. Al palato è slanciato ed elegante. Le Cantine Paololeo si trovano a San Donaci in provincia di Brindisi. Cyntia Nero di Troia 2022 Cantine Merinum. I vigneti sono situati a Vieste ai piedi della Foresta Umbra Patrimonio Unesco e nel cuore del Parco Nazionale del Gargano. Macerazione a freddo in pressa soffice, fermentazione e vinificazione a temperatura controllata. Affinamento in vasche per due mesi e altri due mesi in bottiglia prima della commercializzazione. All’olfatto intense note di piccoli frutti rossi, melograno, arancia rossa. Al palato è suadente e di bella espressività. Le cantine Merinum si trovano in località Pasquarella a Vieste.

    Fabri Murgia Nero di Troia 2022 Rivera. Vendemmia manuale nella seconda settimana di ottobre a raggiunta maturazione fenolica. Dopo 8 ore di macerazione a °5C, il mosto fiore prosegue la fermentazione in acciaio a 18°C. Affina per 4 mesi in anfore di terracotta Tava e botti in gres porcellanato Clayver. Assaggio questo vino con grande emozione perché è dedicato a Fabrizio De Corato, ultimogenito della famiglia proprietaria della storica e direi mitica cantina Rivera, prematuramente scomparso un anno fa.  All’olfatto intense note di amarena e melograno e delicate note speziate e fumé. Al palato è succoso e slanciato. LEGGI TUTTO