More stories

  • in

    Oltrenero e l’Oltrepò Pavese: dinamismo e Pinot Nero

    di Patrizia Vigolo

    Oltrepò Pavese, una terra ricca che sa trasmettere la sua forza e la sua maestosità anche in una cupa giornata di pioggia. A circa 40 km da Milano, si trova una delle realtà più interessanti dell’Oltrepò Pavese, la cantina Oltrenero, a Zenevredo (Pv).

    Zenevredo è un’ottima meta per una gita fuori porta ma è anche un must per chi vuole conoscere l’Oltrepò Pavese. E’ un delizioso comune nella provincia di Pavia, il cui nome deriva dal latino “ginepretum”, richiamando le affascinanti bacche di ginepro che già nel Medioevo adornavano le colline circostanti. Le origini della Tenuta Oltrenero risalgono a quel periodo, quando i monaci benedettini ripristinarono il terreno dopo un lungo periodo di abbandono, facendo rifiorire i vigneti.

    Questa regione, nota anche come “Vecchio Piemonte”, ha visto la nascita della produzione di spumanti italiani alla fine del XIX secolo, grazie all’uso delle uve di Pinot Nero. Questo vitigno di alta qualità è particolarmente indicato per la vinificazione in bianco, dando vita a pregiati spumanti ottenuti con il metodo classico.

    Gruppo Zonin 1821 e l’Oltrepò Pavese

    La famiglia Zonin è proprietaria della Tenuta Oltrenero dal 1987 e, riconoscendo il valore di questo territorio, ha ampliato la superficie vitata dagli iniziali 30 ettari agli attuali 104 (di cui 84 vitati). Durante questa fase di espansione, la famiglia Zonin ha puntato sulla straordinaria ricchezza delle varietà autoctone, come la sorprendente Croatina e la Barbera, che qui raggiungono livelli qualitativi eccezionali. Tuttavia, il vero protagonista della tenuta e del territorio dell’Oltrepò è il Pinot Nero, vitigno nobile che da oltre due secoli esprime qui la sua classe e personalità. Non a caso, circa il 75% del Pinot Nero coltivato in Italia proviene dall’Oltrepò Pavese.

    Dinamismo e miglioramento

    Ciò che ci accoglie in tenuta è il simbolo di Oltrenero, un cerchio che rappresenta in sé la filosofia aziendale: Un movimento continuo ed armonico che si rigenera incessantemente, puntando costantemente alla perfezione. Il cerchio, da un lato, è una figura geometrica che richiama il simbolo della vita, espressione di completezza, uniformità e assenza di separazione. Dall’altro, il dinamismo che questo simbolo incarna riflette il desiderio costante di miglioramento e di crescita verso un ideale sempre più alto. Ne è prova il fatto che ogni anno l’azienda introduce novità e sperimentazioni, mirate a un perfezionamento continuo.

    Il movimento verso il miglioramento è una delle caratteristiche che si percepiscono chiaramente nelle parole di Paolo Tealdi, direttore ed enologo della tenuta dal 2021. La costante ricerca di esprimere al meglio il territorio, unita al desiderio di tutto lo staff e della famiglia Zonin di accogliere gli ospiti in Tenuta e farli uscire con la consapevolezza di aver veramente conosciuto questo luogo, è centrale nella filosofia aziendale.

    Sostenibilità e Ospitalità

    Oltrenero è un’azienda che punta alla sostenibilità, e questa parola si lega a doppio filo con la parola ospitalità. Porte aperte ad Oltrenero, come in tutte le altre tenute del gruppo Zonin 1821, a tutti gli ospiti che vogliono conoscere l’azienda e i suoi prodotti.

    Ed è proprio il fattore umano che diventa il fil rouge di questo incontro con Michele Zonin e Paolo Tealdi.

    “La tenuta è una piccola comunità, composta da persone che vivono in zona e conoscono bene la cultura e la storia dell’Oltrepò Pavese. Va ricordato, e lo sottolineiamo in ogni occasione, che ciò che si produce qui a Oltrenero è unico e si trova solo qui. A soli 30 km di distanza, si ottengono risultati completamente diversi. La nostra bottiglia, magari non colpisce subito per l’estetica, ma racchiude il lavoro di tante persone unite da un forte legame. Vogliamo trasmettere che il vino è cultura, e tutto riporta alle persone e al territorio” afferma Michele Zonin.  

    Oltrenero Cuvée EMME – 2018

    Il vino che ci ha colpito maggiormente?

    Il nome è la prima iniziale di Meunier, il “Pinot del Mugnaio”, che deve il suo nome al fatto che la parte inferiore della foglia di vite è ricoperta da una setosità bianca che fa apparire come fosse ricoperta di farina.

    Parliamo quindi di un balc de noirs. Un vino elegante, lineare. Intriga il sorso fresco ma al contempo profondo.

    Nessun abbinamento per lui, ci piace pensarlo come vino che basta a sé stesso. LEGGI TUTTO

  • in

    Novità dalla Doc Colli Maceratesi, due nuove versioni per la Ribona

    Il gioiello della denominazione della DOC Colli Maceratesi, ma forse dell’intero Vigneto Marche, è sicuramente la tipologia Ribona noto anche come vitigno maceratino di cui compaiono tracce su alcuni bollettini ampelografici già a partire dal 1800.

    Grazie a un tessuto costituito prevalentemente da piccole aziende agricole a conduzione famigliare, è stato possibile fare un lavoro improntato sulla qualità e oggi la ribona è sicuramente uno dei vini bianchi italiani che merita la scoperta e, grazie anche a una caratteristica di particolare longevità, potrebbe divenire una delle vere e proprie eccellenze del Belpaese a carattere bianchista, al pari di altri areali altamente vocati, in primis Collio e Alto Adige. Il tempo consente infatti alla Ribona di sviluppare aromi sempre più complessi e avvolgenti e di raggiungere un’elegante espressività aromatica. Proprio in questi giorni è stato dato il via libera per la “Riserva” a 2 nuove tipologie della Doc Colli Maceratesi.

    i produttori

    È stata infatti pubblicata in Gazzetta ufficiale – dopo un iter di 3 anni proposto dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) e dal Comitato Colli Maceratesi – l’introduzione di 2 nuove versioni: la Colli Maceratesi Ribona Riserva e la Colli Maceratesi Ribona Spumante Riserva. Un upgrade verso prodotti premium a maggior longevità, in linea con gli obiettivi di sviluppo di Imt e dei 74 produttori e viticoltori dell’area.

    vigneto Ribona

    “La modifica del disciplinare della Doc Colli Maceratesi con l’introduzione dei due nuovi bianchi Riserva della Ribona nelle tipologie vino e spumante metodo classico, – ha detto il presidente Imt, Michele Bernetti – è coerente con il processo di aggiornamento di alcuni disciplinari delle nostre 16 denominazioni, nati circa 50 anni fa, che necessitano di essere attualizzati. Un’azione in linea con il percorso intrapreso dal Consorzio che punta a innalzare qualità e valore aggiunto delle produzioni. La notizia della pubblicazione in Gazzetta – ha concluso Bernetti – è il modo migliore per festeggiare i primi 25 anni di Imt”.

    Michele Bernetti

    Produzione massima contingentata (91 ettolitri per ettaro), procedimento di elaborazione di almeno 36 mesi per la Ribona Spumante Riserva con rifermentazione esclusivamente in bottiglia, immissione al consumo consentita solo dopo un affinamento di 12 mesi per la Ribona Riserva, costituiscono le principali norme per la vinificazione delle 2 nuove tipologie che saranno coltivate in provincia di Macerata e nel Comune di Loreto, in provincia di Ancona.

    Per il presidente del Comitato della Doc Colli Maceratesi, Filippo degli Azzoni: “Le due nuove Riserve introdotte grazie al lavoro fatto da Imt valorizzano il Colli Maceratesi Ribona, un prodotto con ottime potenzialità di crescita sul mercato, e sono in grado di rispondere a una domanda qualificata, capace di apprezzare le doti di longevità e di complessa eleganza che sono nel Dna del vitigno. Dopo anni di ricerca che hanno portato a questa scelta, si aprono ora delle opportunità per attivare nuovi canali di vendita, sia sul mercato interno sia estero; questo è molto positivo”.

    vigneto di Ribona

    Tra le altre disposizioni pubblicate in Gazzetta: l’eliminazione della tipologia novello per la versione rosso; sul fronte etichettatura e presentazione dei vini della Doc è prevista la possibilità per i produttori di riportare il nome geografico “Marche” (secondo indicazioni specifiche stabilite nel disciplinare).

    La Doc Colli Maceratesi ha un’estensione di 250 ettari per una produzione certificata equivalente a un potenziale di circa 600 mila bottiglie (0,75 litri). Quarantasei i viticoltori e 28 i produttori.

    Per un maggiore approfondimento sulla Ribona è possibile consultare il sito  https://ribona.it/ . LEGGI TUTTO

  • in

    AD 13.21 Monti Lessini doc: l’audacia visionaria di Gianni Tessari

    di Patrizia Vigolo

    Gianni Tessari è un visionario ma con radici ben solide nella tradizione del suo territorio e delle uve che esso genera.

    Per Gianni Tessari la tradizione è il territorio stesso, mentre la tecnologia in cantina è uno strumento che gli permette di migliorare costantemente, garantendo un prodotto che parla sempre di più di lui, della sua famiglia e del suo percorso.

    Gianni Tessari

    Quando Gianni racconta la sua storia, lo fa con autenticità e passione. E’ diretto e carismatico. Ciò che gli riesce meglio è interpretare il vino e il territorio a modo suo o, come dice lui con grande umilità “almeno ci provo a farlo”. Coniuga la conoscenza acquisita in anni di esperienza e un occhio sempre attento ai mutamenti del mercato e ai gusti dei consumatori.

    Questo spirito visionario si riflette perfettamente nel suo ultimo vino: l’AD 13.21 Monti Lessini Doc.

    AD 13.21 Monti Lessini DOC: Un Durello Metodo Classico in edizione limitata

    AD 13.21 Monti Lessini DOC è un Durello Metodo Classico Dosaggio Zero in edizione limitata. Ne sono stati prodotti solamente 200 esemplari in formato magnum disponibili su assegnazione e sarà proprio il vignaiolo a decidere a chi assegnare il prezioso vino.

    L’origine del nome

    Il nome AD sta per Annata Doppia, mentre 13.21 si riferisce ai due millesimi selezionati per dare vita a un’etichetta nella quale la dimensione affettiva del ricordo si fonde con la raffinatezza stilistica.

    La 2013, oltre ad essere un’annata eccellente per la durella, coincide con l’anno di fondazione dell’azienda e la sua prima vendemmia.

    La 2021, invece, è stata scelta per la sua straordinaria freschezza e verticalità. Il risultato è una cuvée che sorprende per l’ampiezza aromatica e la vivacità sensoriale, promettendo un’eccellente evoluzione del tempo.

    “AD 13.21 nasce da una serie di intuizioni e sperimentazioni che mettono al centro la ricerca emotiva dell’eccellenza, un gioco in cui desideriamo coinvolgere chi il vino lo degusterà. Ho scelto, infatti, di unire i due millesimi dopo la fase di spumantizzazione anziché prima, come da prassi, per esprimere con maggiore precisione e sicurezza la mia visione del Metodo Classico, pensato per coloro che ricercano l’emozione nell’essenza di un grande vino.”” dice Gianni Tessari.

    L’audacia della sperimentazione

    Ciò che colpisce di Gianni Tessari è il desiderio di evolvere e di sperimentare. Questo vino è solo l’ultimo esempio messo sul mercato con lo scopo di accompagnare i palati in evoluzione ma senza mai rinunciare alla tradizione.

    L’umiltà di Tessari come vignaiolo è emersa anche durante la presentazione di questo vino, quando ha affermato:

    “AD. 13.21 non sarebbe mai nato senza il lavoro di squadra, della famiglia e di tutto lo staff. E’ stao un progetto ambizioso e nessuno ne sapeva il risultato. Unire due vini, anzi, due spumanti, è stato come fondere due anime e il legame che le unisce è l’impegno e la visione condivisa di tutti coloro che hanno collaborato al progetto, senza esclusioni.”

    La cantina Gianni Tessari

    L’azienda vitivinicola Giannitessari nasce nel 2013 dalla volontà dell’omonimo vignaiolo di esprimere la propria concezione del fare vino attraverso il confronto con tre diversi territori: Monti Lessini, Soave e Colli Berici. I vigneti dell’azienda si distribuiscono nelle tre DOC per un totale 35 ettari complessivi, mentre la Cantina, che ha sede a Roncà (Verona), si estende per circa 7.000 m² e produce circa 350.000 bottiglie l’anno. La produzione di vini di alta qualità, rinomata e riconosciuta a livello internazionale, si concentra sulle varietà autoctone, spaziando dal Tai Rosso dei Colli Berici, all’eccellenza bianchista del Soave, fino al Durello Spumante Metodo Classico dei Lessini, che negli ultimi trent’anni è stato al centro di un processo di riscoperta e valorizzazione. Oggi Giannitessari si afferma come una delle migliori firme del Lessini Durello Spumante Metodo Classico. LEGGI TUTTO

  • in

    Luigi Moio a Etna Days 2024: Il vino non è un liquido, è un vettore culturale

    Nel mio recente articolo su “La stanza del vino”, ho ricordato la bella edizione di “Blend Simmetrie enoiche 2024” e riflettuto sulla complessità che il comparto vitivinicolo si trova ad affrontare oggi. Tra le sfide principali, vi sono la contrazione dei consumi, un salutismo spesso esasperato e l’uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico. Tuttavia, nonostante il futuro del vino sia spesso dipinto con toni cupi, c’è un aspetto fondamentale che continua a rendere questa bevanda unica e immortale: il suo profondo legame con la cultura.

    Flamini_Lunetta_Moio_Gauvrit_Cambria

    Il vino è una bevanda che va oltre la semplice degustazione; è un mezzo per esplorare luoghi e tempi diversi. I terroir di grande espressività possono imprimere un’impronta unica nel vino, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è solo prerogativa del vino.

    Un concetto simile è stato espresso da Luigi Moio, presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), durante gli Etna Days, organizzati dal Consorzio Etna Doc che si stanno svolgendo in questi giorni a Castiglione di Sicilia. Il prof. Moio ha evidenziato come il settore del vino stia attraversando un momento difficile, anche a causa di una mancata trasmissione intergenerazionale del significato culturale del consumo di vino.

    Ha osservato che le nuove generazioni, attratte dalla mixology, si stanno allontanando dal vino pur assumendo più alcol rispetto alle generazioni precedenti. Paradossalmente, il vino è spesso penalizzato nel dibattito su alcol e salute, mentre altre bevande alcoliche sfuggono a questa critica.

    Secondo il prof. Moio, c’è una grande responsabilità da attribuire alla comunicazione, che è troppo spesso confusionaria e contraddittoria. “Non possiamo dire che il vino fa bene perché c’è l’alcol”, ha spiegato, “ma ci sono altri argomenti che distinguono il nostro mondo e che accomunano il prodotto con i territori e la loro storia”. Il prof. Moio ha concluso sottolineando che il vino “non è un liquido, è un vettore culturale. Bere un calice di Etna è un atto culturale, e la forza della sua denominazione è data dall’identità costruita attorno al Vulcano”.

    Queste riflessioni mettono in luce come, nonostante le numerose sfide che il settore vitivinicolo si trova ad affrontare, il vino mantenga il suo ruolo di elemento culturale di grande valore. Non è solo una bevanda, ma un simbolo di identità territoriale, storia e tradizione. Ogni bottiglia racconta una storia unica: dai terroir che ne determinano le caratteristiche organolettiche, alle persone che con passione e dedizione ne curano la produzione, fino ai momenti conviviali che il vino accompagna, favorendo connessioni umane e sociali.

    In questo contesto, è fondamentale che il mondo del vino sia difeso e valorizzato non solo per le sue qualità intrinseche, ma anche per i significati profondi che porta con sé. Diventa necessario, quindi, ripensare il modo in cui il vino viene comunicato alle nuove generazioni. Serve un approccio che vada oltre il linguaggio tecnico e che riesca a trasmettere l’essenza del vino come esperienza sensoriale, culturale ed emotiva, capace di legare insieme storia, geografia, e tradizioni locali. LEGGI TUTTO

  • in

    Annalisa Zorzettig: passione e condivisione

    di Patrizia Vigolo

    Quando si dice che un vino racchiude l’anima di chi lo produce, è vero e lo si prova quando si bevono i vini Zorzettig.

    Annalisa Zorzettig è una donna che ama la sua terra e la sa raccontare con enfasi ed eleganza allo stesso tempo.

    L’incontro con Annalisa avviene in una calda giornata di giugno a Verona per un pranzo, l’aria ricca di umidità dopo un temporale estivo.

    Un sorriso caldo e amichevole contorniato da capelli biondi e lunghi mi accoglie al ristorante Darì (https://www.ristorantedari.com/).

    Annalisa Zorgettig e la sua azienda

    Il pranzo inizia con il racconto di Annalisa della sua azienda, fondata nel 1874 a Cividale, in Friuli. Dal 2006 l’azienda è gestita proprio da lei seguendo il lavoro del padre Giuseppe Zorzettig.

    La cantina Zorzettig è portabandiera dei vitigni autoctoni friulani, con alcune piccole chicche come il Pignolo, lo Schioppettino e il Picolit.

    Delle 800.000 bottiglie provenienti dai 120 ettari di proprietà, il 45% è destinato ai mercati esteri, in primis Germania e Stati Uniti.

    Nel racconto di Annalisa emerge subito un grande rispetto verso l’ambiente. Orgogliosa sottolinea la certificazione SQNPI ottenuta nel 2016 che segna l’abbandono totale dell’utilizzo di diserbanti chimici.

    La sostenibilità secondo Annalisa Zorzettig

    Annalisa crede nella necessità di rispettare e di preservare l’ecosistema ma ciò che davvero punta ad ottenere è un equilibrio che possa favorire la prosperità di tutti coloro che lo abitano.

    Sostenibilità non è solo un termine legato all’ambiente ma un tema che Annalisa Zorzettig sente fortemente legato anche alla comunità Come esiste un ecosistema in natura e nel mondo, così nella sua azienda ne esiste uno altrettanto importante. Esso comprende tutti i lavoratori che contribuiscono all’azienda ma anche tutti coloro che si identificano come “custodi delle terre e delle tradizioni friulane.”

    In viaggio trai vitigni friulani

    Linea Myò “Pinot Bianco” – Friuli Colli Orientali Doc 2021

    Il Pinot Bianco è tra i vitigni che a mio parere sono maggiormente sottovalutati.

    Zorzettig racchiude in questo vino tutta l’eleganza e il carattere aristocratico di questo vitigno. Dopo 12 mesi di affinamento sulle fecce fini (50% in acciaio e 50% in barrique di rovere e acacia), ciò che ne risulta è un vino ammaliante: soave, mai invasivo, delicato e di grande freschezza.

    Sono di parte? Si, amo il Pinot Bianco e questo merita di essere degustato.

    Non amo solitamente l’uso del legno ma qui è stato usato con parsimonia e grande maestria: mai invasivo ed è stato utilizzato al servizio del vino e delle sue caratteristiche intrinseche con l’unico scopo di esaltarne il carattere.

    Linea Myò – Malvasia – Colli Orientali del Friuli Doc 2021

    Il vigneto di provenienza è del 1936, con vigne che vanno dai 30 ai 90 anni. Nasce per valorizzare le vigne più vecchie dell’azienda.

    Ad ogni sorso la Malvasia si va scoprire sempre più in profondità: al primo sorso l’immediatezza, la sua beva fresca, poi man mano che si procede si passa alla profondità. Un vino da bere con lentezza, da assaporare.

    Linea Myò “I Fiori di Leonie” – Friuli Colli Orientali Doc 2020

    Potrei raccontarvi di questo vino elencando i premi che ha vinto ma non renderebbero giustizia all’anima di questo prodotto. Porta il nome della nipotina di Annalisa, Leonie.

    Annalisa ne parla con un misto di dolcezza, fermezza e tantissimo orgoglio.

    Un uvaggio di Pinot Bianco, Sauvignon Blanc e Friulano:

    “È un vino che parla fortemente di Friuli, perché nasce da tre varietà bianche che ben si esprimono nel nostro territorio: il Sauvignon che dona il suo tratto aromatico, il Pinot Bianco con la sua eleganza e il Friulano, passato, presente e futuro della nostra famiglia, come Leonie”.

    Tutte le uve sono raccolte a mano da vigneti con terreno formato da argille e ponca.

    Annalisa Zorzettig con la figlia Veronica

    Cos’è la Ponca

    Ponca è un suolo caratterizzato da una combinazione marna e arenaria. E’ una formazione geologica distintiva legata alla coltivazione della vite esclusivamente nell’area compresa tra Friuli, Slovenia e Istria. LEGGI TUTTO

  • in

    Blend simmetrie enoiche e culturali

    Per il comparto vino, innegabilmente, è un periodo complesso. Contrazione nei consumi, salutismo, a volte esasperato, uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico nel raccontare il nettare di bacco, sembrano dipingere un futuro a tinte fosche. Ma è veramente così? Certo, già solo il calo delle vendite darebbe inevitabilmente ragione a questa visione che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori non esita a definire assolutamente realistica, io però sto con Fabio Piccoli di Winemeridian che nel suo articolo  “La solitudine dell’ottimismo”    racconta come  il vino abbia ancora importanti spazi di sviluppo e tante nuove opportunità che si affacciano all’orizzonte, invitando a guardare avanti con fiducia .

    C’è poi un altro aspetto, assolutamente non secondario, che rende unico e immortale il vino: il fatto che è una bevanda culturale. Il vino da secoli è emblema socioculturale ancor prima che un prodotto commerciale. Potremmo scomodare Polifemo che si inebria con il vino di Ulisse o addirittura la transustanziazione, ovvero sostanza del vino che si trasforma nel sangue di Cristo, tanto per fare qualche esempio.

    Eric Culon e Antonio Paolini

    Ed è anche vero che Terroir* di grande espressività, in grado di trasmettere la loro fedele impronta nel vino, consentono di ottenere vini irripetibili, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è prerogativa solo del vino. Certo, l’aspetto commerciale e il marketing sono fondamentali. Tuttavia, per avvicinare o riavvicinare il consumatore al vino, compresi i tanto agognati giovani, è altrettanto fondamentale la comunicazione.

    Giuseppe Carrus, Umberto Cosmo, Olga Verchenko

    Questa deve essere liberata da orpelli e ghirigori, più prosaicamente detti supercazzole, e non può prescindere dalla questione culturale. Cosa che i fratelli Cosmo (Bellenda) fanno da tempo in quel di Carpesica, con la rassegna enoculturale Blend simmetrie enoiche, giunta quest’anno alla sua quinta edizione. Bellenda, oltre a fare vini per proprio conto, è anche un piccolo importatore, che sceglie i produttori siano essi italiani, francesi, spagnoli, croati, per simbiosi, solo se c’è condivisione di filosofia e etica del lavoro.  

    Umberto Cosmo, Eric Culon, Antonio Paolini

    Il pensiero che c’è dietro ad ogni edizione di Blend, questa piccola manifestazione-gioiellino che naviga a vele spiegate nel mare magnum dei tanti eventi italici dedicati al vino, non è mai la mera degustazione, per altro di vini eccellenti, ma diventa luogo di incontro con l’obiettivo di scambiarsi idee, esplicitare proposte, approfondire la propria conoscenza, in poche parole fare cultura del vino.

    Il messaggio finale, perlomeno quello che arriva a me al termine di ogni edizione, è l’acquisizione di una nuova consapevolezza da trasmettere a tutti coloro che di vino si occupano a vario titolo, produttori, giornalisti, comunicatori, enotecari, agenti, ovvero che il fine ultimo per tutti debba essere l’inclusione.

    Diana D’Urso e Fosca Tortorelli

    Spesso invece, sono proprio gli addetti ai lavori ad avere nei confronti del consumatore un atteggiamento di esclusione che lo allontana dal mondo del vino invece che attrarlo; snaturando l’essenza del vino stesso che, per sua natura, dovrebbe portare alla convivialità, alla condivisione. Non saprei come altro definire, se non escludente, il ricorso esasperato a tecnicismi, il dogmatismo e lo snobismo di taluni.

    Visto pero che Blend simmetrie enoiche racconta di vino non solo parlato ma anche bevuto, questa quinta edizione  la ricorderò per gli champagne di Eric Culon (Roger Culon) e Jacques Oudart (Etienne Oudart), per i Cava di Pere Ventura per il Saussignac e il Sauvignon Gris di Isabelle e Thierry Daulhiac (Chateau Le Payral),

    i vini de Lo Jura di Patrick e Sophie Ligeron (Domaine des Carlines), il Magma Pouilly Fumé di Domaine de la Croisee, e poi la stupenda interpretazione del Verdejo in tutte le sue sfumature dei fratelli Sanz (Menade) e Marco Levis con i suoi espressivi  vini delle montagne dell’’Alpago.

    “Il mio interlocutore è la persona che assaggia e beve vino, il cittadino consumatore che appare, e spesso vuole sentirsi, l’anello debole della catena e che invece ha un potere eccezionale per cambiare le cose, cominciando a pretendere sempre più vini interessanti e che lasciano un senso di benessere”

    Sandro Sangiorgi, Il Vino capovolto, Porthos Edizioni, 2017.

    *Il terroir è uno spazio geografico delimitato, nel quale una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere comune per la produzione, fondato su un sistema di interazioni tra un mezzo fisico e biologico e un insieme di fattori umani. Gli itinerari socio-tecnici messi così in gioco rivelano una originalità, conferiscono una tipicità e conducono a una reputazione per un bene originario di questo spazio geografico.

    INAO (Institut national de l’origine et de la qualité, ex Institut National des Appellations d’Origine), 1999 LEGGI TUTTO

  • in

    Ca’ di Rajo, Aganis, Bellussera, Friulano, Tai e altre storie

    Non dovremmo mai dimenticare che la ricchezza del patrimonio ampelografico italiano è caratterizzato non solo dai sistemi di allevamento della vite più moderni, ma anche da antichi metodi che persistono ancora oggi, grazie alla dedizione di un gruppo di viticoltori appassionati, che definirei eroici per la loro straordinario impegno. Questi antichi sistemi di allevamento hanno attraversato i secoli e rappresentano una testimonianza concreta della capacità dell’umanità di modellare la natura e l’agricoltura in forme più adatte ai nostri ambienti di vita. Uno degli esempi più vividi in tal senso è la Bellussera, metodo di allevamento della vite basato su un sistema a raggi, messo a punto dai fratelli Bellussi alla fine dell’800.

    Allevamento a Bellussera

    A San Polo di Piave, in provincia di Treviso, c’è chi non solo preserva, ma addirittura rilancia con nuovi progetti questa forma di allevamento storica per la viticoltura italiana che è la Bellussera. Si tratta dell’azienda Ca’ di Rajo, guidata dalla famiglia Cecchetto. Nonostante l’impossibilità di meccanizzarne le operazioni di potatura e vendemmia, Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, non hanno mai nemmeno lontanamente pensato di estirpare i 15 ettari di viti di oltre 70 anni, anzi, hanno difeso a spada tratta un metodo di allevamento tipico di quest’area di risorgiva che si snoda lungo le terre del fiume Piave.

    Simone, Fabio e Alessio Cecchetto

    La viticoltura in questo vigneto si può condurre esclusivamente a mano: la vendemmia si compie a circa 3 metri da terra, sotto le viti disposte a raggiera e lo stesso vale per la potatura. Le operazioni di raccolta delle uve si svolgono grazie a un rimorchio e a un pianale che consentono di raggiungere l’altezza necessaria. La Bellussera, infatti, prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera.

    Nei 15 ettari a Bellussera Ca’ di Rajo coltiva le varietà raboso, glera, chardonnay, pinot bianco, sauvignon, verduzzo, merlot. A queste si aggiungono il manzoni rosa, autoctono ormai raro. Ma è grazie alla famiglia Paladin di San Polo di Piave, loro conferitore e proprietaria del vigneto, che i Cecchetto sono venuti a conoscenza dell’esistenza di una Bellussera coltivata a tai (tocai friulano). Ovviamente, visto l’impegno per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo del territorio del Piave, i Cecchetto hanno adottato il vigneto con l’intento di dare il via a un progetto di vino davvero unico: Iconema, un Tai da Bellussere centenarie.

    i vigneti di Aganis circondati dalle Alpi Giulie

    Muoversi su vecchi percorsi, magari tracciati dai propri antenati, nonostante le difficoltà, è di sicuro confortevole ma alla lunga potrebbe diventare poco stimolante. Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, decidono così nel 2012, ma con un progetto che si concretizza nel 2021, di reiventarsi da capo su strade nuove, nasce così Aganis, cantina nata dalle ceneri di una realtà dismessa da tempo nei pressi di Borgo Salariis a Treppo Grande in provincia di Udine, siamo nella punta estrema dei Colli Orientali del Friuli. Le Agane (Lis Aganis) sono antichi spiriti dei fiumi friulani che prendono spesso le sembianze di giovani donne. Il mito le considera protettrici dei pescatori e degli agricoltori.

    vigneti di Aganis nei Colli Orientali del Friuli

    Nella proprietà friulana dei Cecchetto c’è grande attenzione per gli autoctoni, ribolla gialla, malvasia, refosco dal peduncolo rosso e, least but not last, l’autoctono per eccellenza, il friulano (ex tocai). Nasce da qui l’idea di mettere confronto in un viaggio/testing, tra Veneto e Friuli, il friulano e il tai, non solo due territori diversi ma anche due metodi di allevamento della vite diversi: da un lato La Bellussera centenaria per Iconema, il Tai Doc Piave di Ca’ di Rajo e dall’altro il guyot per Incjant Friulano DOC. Visto che poi il progetto Aganis è fortemente incentrato anche sulla produzione di tre spumanti, ottenuti da uve malvasia, ribolla gialla e pinot nero, la degustazione ha allargato i suoi orizzonti al Balsim, uno charmat lungo ottenuto da uve 100% malvasia istriana. Vediamo com’è andata.

    La degustazione

    Balsim Malvasia Millesimato 2021 Brut

    È dalle bottiglie che apri senza grandi aspettative che spesso arrivano le sorprese. Da uve 100% malvasia istriana. Charmat lungo, che sosta in autoclave 10/12 mesi, davvero notevole, anzi mi sbilancio, per tipologia sicuramente uno dei più intriganti assaggiati negli ultimi anni. Balsim, che in friulano significa toccasana per l’appunto, è spumante di grande freschezza con un olfatto di frutta matura/candita di grande impatto. Vino di bella piacevolezza per chi è in cerca di una bollicina diversa.

    Incjant Friulano 2022

    Mi immagino la trepidazione dei Cecchetto nel misurarsi con uno dei vini simbolo del Friuli, diciamo subito che la sfida è vinta, bravi, ottimo tocai, sapido e profondo con una leggera nota fumé che ne amplifica l’eleganza. Aganis sta lavorando a delle riserve, le attendo con grandi aspettative.

    Iconema Tai Doc Piave 2020 (Bottiglia 21 di 1200)

    Tai ottenuto da uve di un vigneto, allevato a Bellussera, che risale ai primi anni del Novecento. Un vigneto di proprietà della famiglia Paladin di San Polo di Piave che la cantina ha “adottato” sostenendone la salvaguardia.  Le uve, vendemmiate a mano, vengono adagiate su graticci e selezionate per un appassimento di circa 25 giorni. Il 30-40% del mosto fermenta in tonneaux. Per l’affinamento successivo una parte sosta in acciaio, una parte in ceramica e una parte in barrique per poi arrivare al blend e uscire in bottiglia, almeno dopo un ulteriore anno, in edizione limitata e numerata. Un Tai davvero unico, ancora una volta capace di confermare tutta la grandezza delle uve tocai friulano che in questo vigneto allevato a Bellussera si esprimono con caratteristiche davvero uniche, soprattutto in quanto a sapidità. Un vino da consigliare a tutti i bianchisti incalliti alla ricerca di novità.  LEGGI TUTTO

  • in

    Il  vino rosa secondo Matilde Poggi

    di Patrizia Vigolo

    Matilde Poggi sperimenta, studia e testa per dar voce al suo territorio. In ogni vino mette la sua filosofia, il suo amore e la sua visione di “fare vino”.

    Il suo studio si focalizza sui vini rosa, vini spesso sottovalutati ma che in realtà portano con sé una personalità esplosiva, soprattutto quelli della cantina Le Fraghe.

    Una degustazione verticale di Chiaretto di Bardolino è una grande gioia e quando la degustazione diventa una doppia verticale, allora le cose si fanno serie, ve lo assicuro.

    Il vino “rosa” spesso visto come vino estivo, molto “instagrammabile” in questi ultimi anni, ma mai considerato come vino alla pari di un bianco o di un rosso. Anche in questo aspetto Matilde Poggi è una pioniera: parlare da sempre di un vino così discusso, sottovalutato ma considerarlo così importante da crearci un’azienda e farne anche una doppia degustazione verticale. Chapeau Matilde Poggi!

    Due vini, Ròdon Chiaretto di Bardolino, il vino più fresco, con vinificazione in acciaio e Traccia di Rosa, con affinamento in cemento.

    Matilde Poggi con Federico Giotto

    Chi è Malde Poggi?

    Nata e cresciuta sentendo parlare di vino, vedendo il padre produrlo e poi lei stessa inizia lo stesso percorso. Il 1994 è l’anno di inizio della sua carriera di vignaiola che oggi segna la sua 40esima vendemmia.

    La cantina si trova nel cuore della DOC Bardolino, a Cavaion Veronese, un territorio abbracciato dal lago di Garda, dal Monte Baldo e dalla Valdadige.

    Il nome dell’azienda, “Le Fraghe”, ha una dubbia origine ma sembra derivi dal vigneto di fronte alla cantina. Proprio in quel vigneto crescono moltissime fragole selvagge e proprio da questo arriva probabilmente il nome.

    Le Fraghe

    Matilde fin da subito si sente libera di esplorare e di valorizzare il proprio territorio. Converte tutta l’azienda a biologico nel 2009, non segue le mode ma si concentra sull’esaltare al massimo le peculiarità dei vitigni della Bardolino DOC.

    Matilde e tutta l’azienda parlano di “vini rosa” e ne parla con il cuore in mano.

    Cosa ci è particolarmente piaciuto? La coerenza dell’azienda: dalla narrazione legata al territorio, alla sostenibilità, fino ad arrivare alla bottiglia (borgognotta leggera da 400 grammi) rigorosamente con tappo a vite. Matilde racconta poco di sé, non c’è nessuna autocelebrazione e tutta l’attenzione è sui suoi vini, essi parlano per lei.

    Ròdon Chiaretto di Bardolino Dop

    Ròdon è prodotto con Corvina (80%) e Rondinella (20%) vinificate separatamente. La macerazione del mosto viene effettuata a bassa temperatura ed ha una durata di circa 6-8 ore, affinché il colore estratto sia il più possibile vivace e giustamente intenso. Il mosto ottenuto viene fatto fermentare in bianco e a fine fermentazione il vino viene posto in serbatoi di acciaio da 50 HL mantenendolo sulle fecce fini fino a primavera, quando viene messo in bottiglia.

    Vigna Montalto

    La scelta dell’acciaio è dettata dalla volontà di far evolvere il vino e lasciarlo fare un percorso evolutivo che più si adatta.

    Per tipologia, la zona dove questo vino viene prodotto è di vini molto delicati, quindi il must di questo vino è quello di rispettare il vino nella sua essenza. Ecco perché si è preferito usare l’acciaio e successivamente la terracotta. La parola d’ordine in questo vino è “rispetto”

    Imbottigliato in bottiglia di vetro bianco.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2023 – Le Fraghe

    Vino estremamente espressivo. Sentori fruttati che spaziano dalla frutta tropicale, alla pesca e all’albicocca. Un tocco di floreale che richiama la ginestra, la rosa canina e il mughetto. In bocca è estremamente fresco e sapido con un’ottima persistenza. E’ un vino che darà grandi soddisfazioni e che, secondo me, saprà evolvere meravigliosamente. Nel suo essere giovane gli si addice la definizione di “croccante e brioso”.

    Vigna Fraghe

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2022 – Le Fraghe

    Annata molto calda, con temperature massime sopra la media sin dal mese di giugno. Nonostante tutto i sentori sono ancora freschi ma tendono maggiormente verso le spezie. Un vino che sta iniziando adesso la sua fase di terziarizzazione. Inizialmente, appena messo nel bicchiere, si è presentato un po’ chiuso, come ci aspetta in questa fase evolutiva. Grande freschezza e profondità.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2020 – Le Fraghe

    Questo vino è stato lo “spartiacque” della batteria. Qui inizia l’evoluzione del Chiaretto. Vino caratterizzato dalla freschezza e dalla salinità, tutto in equilibrio, un elegantissimo equilibrio. A differenza di altri vini in evoluzione, qui la nota di terziarizzazione non si sostituisce agli aromi della gioventù ma si aggiunge ad essi, donando maggior complessità e profondità.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2016 – Le Fraghe

    Si è abituati a riconoscere nel Chiaretto Bardolino il colore rosa. In questo calice invece il rosa tende all’aranciato, brillante e affascinante. Note di erbe aromatiche ma una freschezza ancora da giovincello. Un vino che sa stupire. Meraviglioso.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2016 – Le Fraghe

    Sapete quei vini dei quali si dice “tienilo in cantina che sarà un grande vino?”. Questo è il vino che merita di stare nelle migliori cantine. Fiori di campo secchi, buccia di arancia amara, albicocca secca. Al primo impatto un po’ timido, poi si è esteso al massimo. Questo è il potenziale del Chiaretto Bardolino: 9 anni di evoluzione e dimostrare ancora questo carattere fresco, brioso e profondo.

    Traccia di Rosa

    Il vino si ottiene con uve Corvina (90%) e Rondinella (10%), selezionate e raccolte a mano. All’arrivo in cantina l’uva viene raffreddata a 6°/7° e il giorno successivo diraspata e messa in pressa per circa 20 ore.

    Il mosto rosa fermenta in serbatoio di cemento. La scelta di Matilde a questo materiale è condivisa e pienamente sostenuta da Federico Giotto, della Giotto Consulting. A fermentazione ultimata il vino rimane in serbatoi di cemento sulle proprie fecce fini per dodici mesi e non viene filtrato.

    Imbottigliato in bottiglia di vetro verde scuro.

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2022 – Le Fraghe

    Non ancora in commercio, quindi dovrete credermi sulla parola. Ancora in affinamento e uscirà sul mercato la prossima primavera.

    La rosa è il sentore che descrive questo vino. Una bellissima rosa che si mescola a sentori fruttati di pesca che ritornano al palato con una coerenza pazzesca. Un vino da tenere d’occhio, prenderne qualche bottiglia e vederne l’evoluzione. Ci farà sognare..

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2021 – Le Fraghe

    Il fratello maggiore del 2022. Un’esplosione di eleganza e una complessità infinita: inutile parlare dei vari sentori quando ci si trova di fronte ad un vino così. La sua evoluzione è piena, armoniosa la sua freschezza che riesce a sorreggere una complessità e una profondità al palato da far invidia.

    E’ ancora un giovanotto, potrà evolversi ancora bene. Sarà sotto osservazione.

    Insignita con i “Tre Bicchieri della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso” (prima volta che un Chiaretto di Bardolino si aggiudica questo premio).

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2020 – Le Fraghe

    Nel calice una grande evoluzione caratterizzata da sentori di arancia amara, albicocca candita con un tocco di vegetale che richiama la macchia mediterranea. Ottima beva.

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2019 – Le Fraghe

    Proprio nel 2019 Matilde Poggi iniziò il suo progetto di “Traccia di rosa”.

    Dopo pochi mesi dalla vendemmia sarebbe scoppiato il Covid e in quell’anno, come dice Matilde Poggi, “si imbottigliava con autocertificazione, senza gli enti di verifica. E’ venuto fuori così, e a noi piace, piace molto.” Il suo colore ricorda più un vino bianco che un vino rosa ma il carattere c’è tutto. Un vino minerale, di grande personalità, con una grande longevità.

    Matilde Poggi

    Riflessioni finali

    Al termine di questa degustazione mi sono domandata il motivo di questa mancanza di dignità dei vini rosa. Non mi so dare una risposta univoca, credo che molto sia da ricondurre alla mancanza di conoscenza di questo prodotto “rosa” che spesso viene identificato come un prodotto “mordi e fuggi”, facile, leggero e immediato.

    Questi vini hanno poco o nulla da spartire con questo immaginario: sono vini profondi, di grande carattere e parlano di aria, cielo e brezza del Garda Veronese. Un connubio che si sente in ogni vino, con sfumature diverse ma allo stesso tempo tutti legati da un fil rouge: la leggerezza, la briosità e la vivacità della profondità.

    “I vini rosa nel mondo stanno calando” dice Federico Giotto “rimangono i vini rosa di territorio”. E Matilde Poggi sa far parlare di territorio. LEGGI TUTTO