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    Tesori caseari del Friuli Venezia Giulia: il Montasio DOP

    di Patrizia Vigolo

    Se sei un appassionato di viaggi enogastronomici, il Friuli Venezia Giulia e il suo formaggio Montasio DOP è assolutamente una destinazione da non perdere. Questo tesoro caseario nasce nelle verdi vallate del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, due regioni che, se ancora non hai visitato, meritano sicuramente un posto nella tua lista dei desideri.

    Storia e Origini

    Il Montasio deve il suo nome alla catena montuosa delle Alpi Giulie, un’area che ti incanterà con i suoi panorami mozzafiato. La storia di questo formaggio affonda le sue radici nel XIII secolo, quando i monaci del monastero di Moggio Udinese iniziarono a produrlo seguendo antiche ricette. Pensaci: ogni volta che assaggi un pezzetto di Montasio, stai gustando secoli di tradizione!

    Nel 1996, il Montasio ha ottenuto il prestigioso riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP), a testimonianza della sua autenticità e qualità. Questo significa che ogni forma di Montasio che trovi sul mercato è stata prodotta secondo rigidi standard, garantendo un sapore unico e inconfondibile.

    Area di Produzione

    Il Montasio DOP viene prodotto in specifiche zone montane e pedemontane del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. Immagina di passeggiare tra le colline friulane, magari dopo aver visitato la splendida città di Udine. Con il suo centro storico affascinante, i caffè all’aperto e le piazze pittoresche, Udine è il punto di partenza ideale per esplorare le regioni circostanti e immergersi nella cultura locale.

    Caratteristiche del Montasio DOP

    Parliamo un po’ del Montasio stesso. Questo formaggio si presenta con una crosta liscia e sottile, di colore paglierino. La pasta è compatta e varia dal bianco al giallo paglierino a seconda della stagionatura. E a proposito di stagionatura, il Montasio offre una gamma di sapori per ogni palato:

    Fresco: delicato e morbido, perfetto per chi ama i sapori più leggeri. La stagionatura va da 60 a 120 giorni.

    Mezzano: più corposo e saporito, ideale per chi cerca un gusto equilibrato. La stagionatura va da 5 a 10 mesi

    Stagionato: deciso e complesso, con una leggera nota piccante che fa venire l’acquolina in bocca. La stagionatura va oltre i 10 mesi.

    Stravecchio: un’esperienza intensa e ricca, perfetta per i veri intenditori. La stagionatura supera i 18 mesi.

    Produzione e Lavorazione

    Per essere definito Montasio Dop, il formaggio deve rispettare queste caratteristiche:

    prodotto solo nelle province del Friuli Venezia Giulia e nelle province confinanti del Veneto Orientale

    latte viene lavorato crudo o termizzato, mai pastorizzato.

    Il Montasio viene prodotto attraverso un processo che preserva la flora microbica originale. Questa tecnologia delicata favorisce una lenta maturazione del formaggio, contribuendo a definirne le caratteristiche nutrizionali.

    La caratteristica scritta “Montasio” impressa sulle forme

    La produzione del Montasio è un’arte che si tramanda di generazione in generazione. Tutto inizia con il latte delle mucche allevate nelle regioni montane, che conferisce al formaggio una qualità unica. Il latte viene poi lavorato seguendo metodi tradizionali, con grande attenzione alla cura e alla precisione. La stagionatura avviene in ambienti controllati, dove le forme di formaggio riposano e maturano, sviluppando quei sapori che parlano di territorio e qualità.

    Uso in Cucina

    Il Montasio è un formaggio estremamente versatile in cucina. Puoi usarlo per preparare piatti tradizionali come il frico, una specialità friulana a base di patate e Montasio fuso, o la polenta con Montasio, un comfort food che scalda il cuore. E se ami il vino, non perdere l’occasione di abbinarlo ai vini bianchi del Friuli Venezia Giulia.

    Vuoi la ricetta del Frico? Eccola qui:

    Ricetta frico

    Rosolare in una padella la pancetta tagliataa dadini con la cipolla affettata sottile. Aggiungere le patate pelate e tagliate a pezzi, un pizzico di sale e un po’ di pepe nero macinato. Quando le patate sono tenere, aggiungere il formaggio Montasio tagliato o grattugiato grosso e mescolare.

    Schiacciare con una forchetta.Rosolare il frico da entrambi i lati,fino alla formazione di una crosticina dorata

    Il Montasio non è solo un formaggio: è un simbolo della cultura e dell’economia locale. Ogni anno, sagre ed eventi celebrano questo prodotto d’eccellenza, come la famosa Sagra del Montasio a Enemonzo, dove puoi assaggiare il formaggio in tutte le sue varianti e vivere un’autentica festa popolare.

    Il Consorzio

    Una curiosità: vi siete mai domandati quanti litri di latte servono per produrre una forma di formaggio? Nel caso del Montasio, una forma che pesa circa 6/7 kg, necessita di approssimativamente 60 litri di latte. LEGGI TUTTO

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    Garda Doc: una doc con il vento in poppa che parla di turismo e territorio

    di Patrizia Vigolo

    Le acque del Garda Doc sono tornate limpide dopo un 2023 che ha vissuto un calo importante nei volumi.

    Il “Garda Wine Stories”, evento tenutosi il 6 giugno 2024 presso la splendida Dogana Veneta di Lazise è stata l’occasione per discutere il dinamismo, la qualità e il legame con il territorio che caratterizzano questa denominazione.

    Speaker di grande importanza si sono rivolti al pubblico fatto di giornalisti italiani e internazionali esponendo studi e riflessioni sullo sviluppo della Doc Garda che sta vivendo una ripresa dopo un calo dei volumi del 8% accusato nel 2023.

    Garda DOC, la forza di un sistema

    Durante il convegno, uno dei momenti più rilevanti è stato l’intervento di Eugenio Pomarici, esperto del Centro per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Padova. Il suo studio ha offerto una panoramica sul dinamismo e la crescita della denominazione Garda DOC, mettendo in luce l’evoluzione significativa del settore vitivinicolo gardesano.

    Negli ultimi anni, l’area coltivata e il numero di viticoltori del Garda DOC hanno registrato una crescita straordinaria. Dal 2017, l’area vitata è aumentata del 46%, e la produzione di uva ha superato i 410.000 quintali nel 2023. Questo incremento testimonia la capacità del territorio di rispondere alla domanda crescente sia sul mercato nazionale che internazionale.

    Pomarici ha poi sottolineato la capacità del Garda DOC di innovare e diversificare la propria offerta, adattandosi alle esigenze del consumatore moderno. La produzione di bottiglie è passata da 6,1 milioni nel 2017 a 18,6 milioni nel 2023, evidenziando una crescita impressionante e una risposta positiva del mercato ai vini della denominazione.

    Un aspetto cruciale emerso dallo studio è la forza del brand “Garda”. Questo nome evoca immediatamente le bellezze e le caratteristiche uniche del lago di Garda, conferendo ai vini un’immagine positiva e attrattiva, particolarmente apprezzata in Europa centrale. Tuttavia, Pomarici ha anche evidenziato la necessità di una maggiore specificità distintiva per la denominazione, suggerendo un focus su varietà come Chardonnay e Pinot Grigio per posizionarsi più in alto nel mercato.

    Garda Doc e Google

    Nel secondo intervento della giornata, Angelo Zago, Dipartimento di Economia dell’Università di Verona, ha presentato un’analisi approfondita sull’attività di ricerca online relativa ai vini della denominazione Garda DOC.

    Il progetto di ricerca, finanziato dal consorzio territoriale Garda Doc, esamina il comportamento degli utenti europei e di alcune aree italiane su Google, concentrando l’attenzione sui termini associati ai vini veronesi, in particolare quelli della denominazione Garda DOC. I risultati indicano che il termine “Garda” risulta essere il più ricercato tra le principali denominazioni veronesi, con un significativo interesse proveniente principalmente da Germania, Austria, Olanda, Trentino Alto-Adige e Lombardia.

    L’analisi rileva inoltre un marcato interesse per i vini Garda DOC nelle categorie specifiche delle bevande alcoliche, con Austria, Germania e Inghilterra sempre evidenziate come i Paesi con maggiore interesse. Questo interesse è altrettanto forte nelle regioni italiane già menzionate, dove i vini Garda DOC superano altre denominazioni come Valpolicella e Lugana. Il progetto continuerà ad esplorare il ruolo del turismo nel potenziare ulteriormente l’interesse per questi vini e valutare lo sviluppo di modelli predittivi che possano ottimizzare le attività promozionali nelle aree di maggiore interesse.

    Strategie Future e Visione del Consorzio Garda Doc

    Nonostante il successo e il prestigio raggiunto, i vini Garda DOC si trovano di fronte a diverse sfide nel contesto del mercato globale. La crescente concorrenza e l’evoluzione delle preferenze dei consumatori richiedono un costante adattamento e innovazione da parte del Consorzio e soprattutto dei suoi produttori stessi.

    Una delle principali sfide è quella di mantenere e rafforzare l’identità distintiva dei vini Garda DOC. Sebbene il marchio “Garda” evochi immediatamente bellezza e qualità, è fondamentale consolidare questa percezione attraverso strategie di marketing mirate e una comunicazione efficace.

    Un’altra sfida importante è rappresentata dalla sostenibilità ambientale e sociale. Il Consorzio Garda DOC si è posto l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale della produzione vitivinicola, adottando pratiche agricole sostenibili e riducendo l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Inoltre, si impegna a promuovere la responsabilità sociale d’impresa, sostenendo progetti locali e iniziative volte a migliorare la qualità della vita nelle comunità circostanti.

    La digitalizzazione e l’innovazione tecnologica rappresentano un’altra area di sviluppo cruciale. Il Consorzio intende sfruttare appieno le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare la tracciabilità del prodotto, ottimizzare i processi di produzione e distribuzione, e rafforzare l’engagement dei consumatori attraverso piattaforme digitali e social media.

    Infine, il Consorzio mira a rafforzare la coesione tra i produttori locali, promuovendo una maggiore collaborazione e condivisione delle best practices. Questo spirito di comunità è visto come un elemento chiave per affrontare le sfide future e consolidare la posizione dei vini Garda DOC nel panorama enologico globale.

    “I vini della DOC Garda nascono in un’area geografica senza uguali, un luogo unico avvolto dalle Alpi e illuminato da una luce travolgente che si specchia nell’acqua del lago. Qui, le colline, disseminate da vigne, raccontano un paesaggio ricco di “iconemi” la cui storia si intreccia imprescindibilmente a quella della viticoltura”. Paolo Fiorini, Presidente del Consorzio Garda DOC.

    Storia della denominazione Garda Doc

    La Denominazione Garda DOC è stata fondata nel 1996 e ufficialmente riconosciuta nel 2015. I suoi 250 produttori, impegnati in ogni fase della produzione “dall’uva alla bottiglia”, incarnano l’autenticità e l’eccellenza enologica del territorio.

    Le speciali caratteristiche dell’area del Garda si traducono in una straordinaria varietà e ricchezza dal punto di vista enologico. Esaminando da vicino le zone di coltivazione della vite nel territorio gardesano, emerge un’enografia diversificata, suddivisibile in quattro grandi aree geografiche: la sponda est, la sponda sud, la sponda ovest e l’ala orientale del territorio.

    Il terroir del Garda DOC è definito da aspetti unici di questa area geografica, influenzati sia dal clima favorevole dovuto alla vicinanza del lago, sia dai numerosi eventi geologici che nel corso dei millenni hanno modellato il territorio. La viticoltura del Garda si sviluppa su suoli di agglomerati morenici, formatisi dai detriti di rocce, sabbia e argilla depositati nel tempo dal ghiacciaio che ha originato il lago di Garda. Questi elementi, combinati con il tempo, l’acqua e la vegetazione, hanno trasformato l’area nelle odierne colline che caratterizzano il paesaggio gardesano.

    I terreni del Garda si distinguono per una bassa differenziazione del profilo pedologico; sono generalmente pietrosi, ricchi di scheletro e fortemente calcarei, ma con bassi livelli di calcare attivo. Nella maggior parte dei casi, questi suoli sono moderatamente profondi e presentano una scarsa capacità di trattenere l’acqua a causa della tessitura grossolana e della debole strutturazione.

    È in questo terroir dalle caratteristiche così peculiari, plasmato dal tempo e favorito da un clima ideale, che nascono i vini della DOC Garda, noti per la loro morbidezza, freschezza e mineralità. Queste caratteristiche distintive rendono i vini Garda DOC unici e rappresentativi del loro territorio d’origine, offrendo ai consumatori un’esperienza enologica che riflette la ricchezza e la diversità del paesaggio gardesano.

    Numeri e notizie del Garda Doc:

    1986: anno in cui viene utilizzato per la prima volta il termine geografico “Garda” per etichettare i vini prodotti in questo territorio

    1996: riconoscimento della DOC e la nascita del Consorzio Volontario

    Il Consorzio Garda Doc rappresenta oggi 250 produttori

    area gardesana, tra le province di Verona, Mantova e Brescia

    10 zone storiche di produzione dell’area gardesana: Valtenesi, San Martino della Battaglia, Lugana, Colli Mantovani, Custoza, Bardolino, Valpolicella, Valdadige, Durello, Soave

    31.000 ettari totali idonei

    371.000 quintali di uva rivendicata nel 2022

    18.753.867 di bottiglie nel 2023

    Il territorio

    Territorio caratterizzato da colline moreniche dalla tipica forma a semicerchio, formatisi dai detriti di moto, rocce, sabbia e argilla depositati nel corso dei millenni dallo stesso ghiacciaio che avrebbe poi originato il lago di Garda

    In genere i terreni sono pietrosi, ricchi di scheletro, fortemente calcarei, ma con bassi livelli di calcare attivo. Nella maggior parte dei casi sono moderatamente profondi e presentano una scarsa trattenuta dell’acqua a causa della tessitura grossolana e della debole strutturazione.

    clima temperato subcontinentale

    vegetazione ricca di olivi, capperi, limoni, cedri e agavi

    quattro grandi aree geografiche: la sponda est, la sponda sud, la sponda ovest e infine l’ala orientale del territorio.

    I vini:

    caratterizzati da morbidezza, freschezza e mineralità

    vitigni principali: in totale sono otto, quattro a bacca bianca “Garganega”, “Trebbiano” (“Trebbiano di Soave” e/o “Trebbiano di Lugana”), “Chardonnay”, “Pinot grigio” e quattro a bacca nera “Corvina”, “Marzemino”, “Merlot”, “Cabernet Sauvignon”

    Tipologie di vino

    Vini fermi varietaliPinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Riesling b., Sauvignon, Cortese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Corvina, Pinot nero, Marzemino.

    Vini fermi in uvaggio e/o taglio a freddoBianco (garganega, chardonnay, pinot grigio e trebbiano) Rosso (merlot, cabernet, corvina, marzemino, rebo)

    Vini Spumanti “metodo italiano” principalmente varietali

    Bianco (garganega, trebbiano di lugana, pinot grigio)

    Vini Spumanti “metodo classico” principalmente in cuvée

    Bianco (chardonnay, pinot nero, corvina)Rosè (marzemino, corvina, pinot nero)

    “Un clima temperato che sembra ricordare quello mediterraneo, ma che gode, inoltre, della brezza del lago di Garda, di una luminosità senza pari e di un’esposizione al sole che garantisce una maturazione delle uve eccezionale”. Paolo Fiorini, Presidente del Consorzio Garda DOC. LEGGI TUTTO

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    Il punto sul turismo rurale nella Sila Greca in occasione dei 10 anni del Biscardino

    di Giuseppe Marino*

    Un decennio di impegno nel turismo rurale è stato celebrato con grande entusiasmo presso Il Biscardino, nel cuore della Sila Greca. In occasione del 10º anniversario, una tavola rotonda ha riunito esperti, autorità locali e appassionati per discutere del futuro del turismo nelle aree rurali della Calabria. L’evento ha rappresentato un momento significativo per riflettere sui progressi fatti e per tracciare le linee guida per uno sviluppo sostenibile e rigenerativo del territorio.

    La serata si è aperta con i saluti del Sindaco di Cropalati e con l’introduzione di Pasquale Vulcano, cultore dell’enogastronomia calabrese e coordinatore dell’evento. Vulcano ha sottolineato l’importanza di questa celebrazione, non solo per riflettere sui successi del passato, ma anche per promuovere una discussione continua sullo sviluppo sostenibile del territorio. “Questo decimo anniversario non è solo una celebrazione, ma un’opportunità per riaffermare il nostro impegno nel valorizzare le eccellenze locali e promuovere il turismo rurale”, ha dichiarato.

    Radici e Turismo di Ritorno: Le Parole di Giuseppe Sommario

    L’intervento chiave della serata è stato quello di Giuseppe Sommario, ricercatore presso l’Università Cattolica di Milano. Sommario ha parlato delle radici storiche del territorio, del fenomeno delle “spartenze” e del turismo di ritorno, evidenziando l’importanza di riscoprire e valorizzare le tradizioni locali. Ha sottolineato come il turismo slow, di cui è un convinto sostenitore, possa trasformare la ruralità in una risorsa preziosa per lo sviluppo economico e culturale della regione. “La riscoperta delle nostre radici non è solo un atto di memoria, ma una strategia concreta per il futuro. Il turismo di ritorno offre opportunità uniche per rafforzare l’identità culturale e promuovere un’economia sostenibile”, ha affermato Sommario.

    Storie di Successo: Innovazione e Collaborazione

    I protagonisti della serata sono stati i produttori e le attività del territorio che hanno condiviso con entusiasmo e passione le loro esperienze e traguardi.

    Cesare Renzo ha illustrato l’impegno della Condotta Slow Food Magna Grecia-Pollino. Ha spiegato come l’organizzazione stia lavorando per promuovere la sostenibilità alimentare e preservare le tradizioni culinarie locali, puntando su una produzione etica e rispettosa dell’ambiente.

    Eugenio Celestino, rappresentante della Pro-loco Camigliatello, ha parlato delle numerose iniziative volte a promuovere le bellezze naturali e culturali della zona. Ha sottolineato l’importanza di un turismo integrato e sostenibile, capace di valorizzare il patrimonio locale e di attrarre visitatori in cerca di esperienze autentiche.

    Manuela Laicona, co-founder de La Catasta Pollino, ha condiviso come la sua iniziativa stia contribuendo a creare una rete di supporto tra i produttori locali. La Catasta è diventata un punto di riferimento per la comunità, facilitando la collaborazione e lo scambio di idee e risorse tra i vari attori del territorio.

    Vincenzo Brunetti di La Sulla ha raccontato la sua esperienza nell’innovare rispettando le tradizioni. Ha evidenziato come sia possibile coniugare modernità e tradizione per creare prodotti di alta qualità che rispecchiano l’identità locale.

    Dino Briglio della cantina L’Acino ha raccontato di come una piccola realtà territoriale possa diventare protagonista anche all’estero, esportando i propri vini in paesi come Giappone e Canada. Ha spiegato come l’attenzione alla qualità e alla sostenibilità siano stati elementi chiave per il successo internazionale della cantina.

    Il team di Cirò Revolution, rappresentato da Cataldo Calabretta, Francesco De Franco e Maria Angela Parrilla, ha dimostrato come la collaborazione possa trasformare un settore importante come quello vitivinicolo anche in Calabria. Calabretta ha spiegato come il loro progetto stia rivoluzionando il modo di fare vino in Calabria, puntando su qualità, autenticità e cooperazione tra i produttori.

    Infine, Daniele Campana ha raccontato il successo del progetto Pizza in Teglia, che valorizza i prodotti locali e promuove la cultura gastronomica calabrese. Ha spiegato come l’utilizzo di ingredienti locali e la cura nella preparazione siano fondamentali per creare un prodotto unico e apprezzato dai consumatori.

    La serata è stata un’importante occasione di confronto e di ispirazione, mostrando come l’innovazione e la collaborazione possano portare a risultati straordinari, valorizzando il territorio e le sue eccellenze.

    Fare Rete: Valori Etici e Rispetto Umano

    Un tema centrale emerso durante la tavola rotonda è stato l’importanza di fare rete tra i soggetti che condividono valori etici e rispetto umano. Questo approccio collaborativo non solo rafforza le iniziative locali, ma crea anche un ambiente di fiducia e supporto reciproco, fondamentale per il successo a lungo termine. “Il nostro territorio ha bisogno di unire le forze. Solo attraverso la cooperazione e il rispetto reciproco possiamo affrontare le sfide del futuro e valorizzare le nostre risorse in modo sostenibile”, hanno osservato i relatori.

    Un Legame Osmotico con il Territorio

    Riflettendo sui 10 anni di attività, il fondatore de Il Biscardino, Gino Marino, ha ricordato come l’idea di creare un legame osmotico con il territorio sia stata alla base del loro successo. “Dipendiamo dalle risorse del territorio e dalla sua autenticità, e al contempo, il territorio necessita del nostro impegno per essere valorizzato, promosso e rigenerato. Questa simbiosi è la chiave del nostro successo e della nostra sostenibilità”, ha affermato Marino.

    L’evento si è chiuso con un rinfresco collettivo, dove i partecipanti hanno potuto degustare i prodotti genuini dell’agriturismo locale, celebrando le eccellenze gastronomiche del territorio e rafforzando il senso di comunità e collaborazione. “Questo momento di convivialità è un simbolo della nostra filosofia: valorizzare i prodotti locali e costruire comunità attraverso la condivisione”, ha concluso il padrone di casa Gino Marino.

    Con la partecipazione attiva delle attività locali ed il sostegno delle autorità pubbliche e dei cittadini calabresi, il futuro del turismo rurale anche nella Sila Greca appare luminoso e promettente. La serata ha ribadito l’importanza di valori etici e del rispetto umano come pilastri per costruire una rete solida e prospera, capace di affrontare le sfide del futuro con coesione e visione comune. Questo evento non solo celebra il decennale di un’attività di successo, ma rappresenta anche l’inizio di una collaborazione più intensa e strutturata per la rinascita del territorio. “Il nostro impegno per il futuro è continuare a innovare rispettando le nostre radici, promuovendo un turismo sostenibile che valorizzi il territorio e le persone che lo abitano”, ha concluso Vulcano.

    *Il progetto dell’agriturismo Il Biscardino, nasce 10 anni fa da una felice intuizione di Gino Marino con la collaborazione di suo fratello Giuseppe. LEGGI TUTTO

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    Rosso di Montalcino, il vino del libero arbitrio

    Il Rosso di Montalcino DOC è la denominazione di ricaduta della celeberrima DOCG Brunello di Montalcino. Si definiscono informalmente “di ricaduta” quelle DOC o IGT, solitamente di estensione uguale o superiore alle altre insistenti sullo stesso territorio, in cui, per l’appunto, “ricadono” vini: che per qualsiasi motivo hanno subito un declassamento rispetto alla DOC o DOCG più nobile del territorio; che sono concepiti per rappresentare la versione più giovane e immediata della DOC o DOCG più nobile del territorio; per i quali il produttore ha volutamente rifiutato di reclamare la DOC o la DOCG più nobile del territorio.

    Questa alquanto esaustiva spiegazione del termine “di ricaduta” l’ho tratta dal sito italvinus.it. A ben guardare, se ci si sofferma sul senso di alcune parole come declassamento, rifiutato, giovane, immediato, verrebbe da pensare che i vini che rientrano in questa denominazione non siano poi di un livello particolarmente eccelso e che non potranno mai ambire al rango di grandi vini, prerogativa riservata per l’appunto solo alla DOCG più aristocratica del territorio.

    Non è così per il Rosso di Montalcino, anzi, dopo aver partecipato alla degustazione che celebrava il quarantennale della nascita della DOC Rosso di Montalcino, tenutasi nell’ambito della manifestazione Red Montalcino, ho avuto la netta sensazione che i produttori di quell’areale, uno dei più vocati al mondo, si trovino di fronte una bella gatta da pelare in termini di promozione e posizionamento del prodotto perchè la qualità del Rosso di Montalcino è complessivamente molto elevata, ma non solo, può essere un vino molto longevo, in definitiva si possono aprire delle grandi bottiglie, quindi come la mettiamo con il Brunello?

    Paradossale?potrebbe essere, ma basti citare, a titolo di esempio, il Rosso di Montalcino Poggio di Sotto 2009 che inserito alla cieca in una batteria di Brunello monumentali, darebbe filo da torcere anche al degustatore più esperto che certamente farebbe fatica a riconoscerlo come Rosso di Montalcino.

    Avercene di questi problemi, si dirà, e in effetti pochi terroir al mondo sono baciati da cotanta fortuna. L’unico rischio di trasformare un’opportunità in una minaccia è quello di comunicare in maniera sbagliata il Rosso di Montalcino. Ad esempio, mi trova un po’ freddo l’idea che la promozione possa concentrarsi principalmente su un determinato target di consumatori, nello specifico i giovani.

    Credo sia un errore proprio perché significherebbe ridurne gli orizzonti, facendolo vivere ancora all’ombra del vino mito, il Brunello. Invece, il Rosso di Montalcino è ormai pronto per vivere di luce propria. Potrebbe invece essere, in puro stile bordolese, una sorta di “second vin” che farebbe felici appassionati (giovani e meno giovani) che vogliono stappare e bere un’ottima bottiglia, che può essere anche grande come abbiamo detto.

    A tal proposito, sempre pescando dai ricordi della degustazione del quarantennale, cito Fattoria del Pino 2015, Sesti 2016, Banfi Poggio alle Mura 2016, Poggio Antico 1993. Bottiglie che, comprate appena uscite sul mercato, viaggerebbero a prezzi più contenuti rispetto ai Brunello delle stesse aziende, salvo poi, per chi ha voglia di aspettare, ritrovarsi dei veri e propri tesori tra le mani.

    Vino del libero arbitrio il Rosso di Montalcino, definito così con una felice intuizione da Barbara Di Fresco, giornalista di RaiNews24, moderatrice del convegno di apertura del quarantennale della denominazione denominazione che ha visto la partecipazione di Enzo Tiezzi, past president del Consorzio del vino Brunello di Montalcino e ‘padre putativo’ del giovane Rosso, Andrea Costanti tra gli artefici del successo commerciale di questo vino e Francesco Ripaccioli, produttore e nipote del primo presidente l’ex Consorzio del Rosso poi confluito nell’ente consortile unitario a metà degli anni ‘90, Primo Pacenti. Del libero arbitrio si diceva perché decidi tu quando berlo, giovane appena esce sul mercato, oppure dopo averlo dimenticato per qualche anno in cantina. La certezza è che, qualunque sia la tua decisione, il Rosso di Montalcino non ti deluderà mai, caratteristica non comune a tutti i vini, ne converrete.

    Se i Rossi di Montalcino sono singol vineyard, se vengono da un cru, di per sé, avrebbero identità più marcata, perché l’elemento ossigeno essendo meno presente va a piallare un pochino meno gli elementi descrittivi dei luoghi. Teoricamente un Rosso di Montalcino per quanto sia considerato da sempre non un figlio di un dio minore, ma un secondo vino rispetto al Brunello, in realtà il segreto dell’identità dei luoghi è forse un po’ più marcato su un rosso di Montalcino che su un Brunello perché c’è un elemento omologante che si chiama ossigeno che è meno presente.

    (Roberto Cipresso)

    Per chi volesse approfondire  l’impatto sul mercato del Rosso di Montalcino, riporto un estratto della relazione dell’Osservatorio UIV

    Il Rosso di Montalcino è tra quelle denominazioni ancora in grado di produrre crescita in un contesto internazionale certamente complesso per la tipologia. Il vino ilcinese si inquadra in una domanda ancora reattiva per i prodotti dalla forte identità, ancorata a territori di grande riconoscibilità, territori/brand come vengono definiti, ma soprattutto prodotti in grado di trasmettere una immagine più contemporanea di sé e del loro ambiente.

    La dimostrazione plastica la si trova nella costante crescita dei prezzi medi del Rosso, con posizionamenti ben consolidati sui segmenti più profittevoli (Horeca) e allargamento delle vendite verso fasce di prezzo a più alto valore aggiunto

    Nel 2023 i prezzi medi hanno registrato aumenti importanti: +10% sul mercato interno, sopra la media nazionale, e +5% all’estero.

    Molto interessanti – e spia comunque di una denominazione in salute dal punto di vista della reputazione – è la dinamica dei prezzi medi di vendita: negli ultimi tre anni si è avuta una forte decrescita della fascia cosiddetta “basic” (fino a 8 euro/bottiglia, franco cantina), passata dall’80% al 52%, con contemporanea crescita delle fasce superiori: quella da 8 a 10 euro ha raddoppiato il proprio peso, portandolo al 35% di share, così come ha fatto la fascia 10-15 euro, che è arrivata al 5% di quota.

    I prodotti ad altissimo valore (sopra i 15 euro la bottiglia) costituiscono un piccolo cameo, che vale circa il 3% delle vendite. Il trend del 2023 conferma questa “premiumizzazione” del prodotto: calo significativo della fascia basic (-35%), aumenti rispettivamente del 16% e 47% per quelle tra 8-10 e 10-15 euro.

    Fino al 2022 per le vendite di Rosso di Montalcino Doc la parte preponderante era costituita dal mercato domestico, con una quota volume/valore pari al 55%. Il 2023, a fronte di una diminuzione più netta del mercato nazionale, ha segnato un ribilanciamento delle vendite all’estero, che hanno aumentato il loro peso arrivando al 47% sul totale.

    Il Rosso di Montalcino è venduto in oltre 90 Paesi. Secondo i dati dell’Osservatorio Economico del Consorzio, circa il 40% del valore delle vendite viene generato dal mercato statunitense, seguito dal Canada (14%), per un’incidenza totale del blocco Nordamerica pari al 51%. I Paesi di seconda fascia sono tutti europei, con in testa Germania (6%), Svezia (5%), UK (4%) e Norvegia (1%).

    Eccettuata la Svezia, tutti i principali mercati sono in una fascia di prezzo superiore agli 8 euro/bottiglia (prezzo franco cantina).

    Nei primi 4 mesi di quest’anno, segnala l’Osservatorio Uiv su base SipSource, i consumi negli Usa del Rosso di Montalcino sono cresciuti, in netta controtendenza con il mercato complessivo (i rossi italiani segnano un -8%), del 4,5%. LEGGI TUTTO

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    Amalberga, rinasce la DOC Ostuni

    Dario De Pascale, socio fondatore di Amalberga, durante il webinar di presentazione dei vini della sua cantina, ripete questo concetto più volte, come un mantra: “Abbiamo deciso sin dall’inizio di questa avventura, più di dieci anni fa, che saremmo usciti sul mercato solo quando i nostri vini fossero stati veramente pronti”. Scelta coraggiosa in un’epoca in cui vige il tutto e subito, dove la capacità di saper attendere invece che essere vissuta come una virtù è vissuta spesso come un disagio.

    Dario De Pascale

    E pensare che tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, per fare un parallelo con la musica, le case discografiche aspettavano almeno fino alla pubblicazione del terzo long playing/CD per poter decretare il successo o l’insuccesso di un’artista, tanto per dire, se non fosse stato così, ci saremmo persi Lucio Dalla. Di questi tempi, se non sforni almeno un tormentone al mese duri una stagione al massimo, tutto questo a scapito della qualità media della produzione musicale, oggi davvero scarsa. Tornando al vino e ad Amalberga, la dimensione dell’attesa che ha animato Dario De Pascale e i suoi soci (amici) Roberto Fracassetti e Roberto Candia, con la collaborazione degli enologi Valentino Ciarla e Gloria Battista, grazie anche alla forte volontà di far rinascere la DOC Ostuni, ha prodotto risultati davvero notevoli.

    Gloria Battista

    Vini davvero intriganti quelli di Amalberga, confesso di essermene innamorato perché sono l’esempio lampante di quello che dovrebbe essere il vino oggi, che con un termine un po’ abusato potremmo definire moderno ma tant’è. Il segreto dei vini di Amalberga, se di segreto possiamo parlare, è di essere semplici dove per semplicità si intende essere dotati di una bevibilità estrema associata a una capacità innata di accompagnare il cibo, essere gastronomici come si dice in gergo. Il bello però è questi stessi vini presentano tratti di grande originalità, eleganza e anche complessità, mi riferisco in particolare ai due bianchi Stùne e Icona d’Itria, anche dotati di grande capacità di reggere il tempo. L’Ottavianello Ostuni Rosso, invece, è il vino che vorrei trovare tutti i giorni sulla mia tavola, anche d’estate, leggermente fresco è davvero irresistibile.  

    La cantina e il territorio della DOC Ostuni

    Il nome della cantina si ispira alla monaca belga Amalberga di Temse, nota come santa nelle Fiandre e protettrice di agricoltori e marinai. Amalberga ha compiuto un lavoro meticoloso sui vigneti già esistenti e su nuovi piccoli appezzamenti seguendo i dettami dell’agricoltura biologica. Negli 11 ettari di proprietà e nei restanti 12 di aziende collegate si allevano le viti di francavilla, impigno, minutolo, bianco D’Alessano, primitivo, verdeca, ottavianello, susumaniello, aleatico e negroamaro.

    Tra questi spiccano i vigneti storici di primitivo, risalente al 1952, di verdeca, con alberelli di oltre 60 anni, e di negroamaro, con un’età media di 55 anni. Nonostante il debutto ufficiale avvenuto a Vinitaly 2024 e il completamento della struttura programmato sempre per l’estate 2024, il progetto Amalberga inizia nelle campagne ostunesi più di 10 anni fa con obiettivi chiari e innovativi per la denominazione e per il territorio: la creazione diun’azienda vitivinicola contemporanea nei vini, nell’architettura e nell’accoglienza.

    La storia della Doc Ostuni

    Istituita nel gennaio 1972 per riconoscere e normare la vocazione vitivinicola del territorio e gestita sin dal principio dalla cantina cooperativa di Ostuni, la denominazione include nel disciplinare Bianco di Ostuni – che vede l’impiego di uve impigno, francavilla e verdeca – e Ottavianello di Ostuni, che oltre a quest’ultimo prevede il notardomenico e in piccola parte il negroamaro, il susumaniello e il primitivo.

    Nonostante la tutela riservata all’area ostunese, gli incentivi all’espianto dei vigneti, gli scandali dell’enologia italiana negli anni Ottanta e politiche nazionali e comunitarie poco lungimiranti hanno portato alla estirpazione della quasi totalità della superficie vitata di Ostuni e della valle d’Itria, che contava oltre 4000 ettari vitati. Un danno consistente per il territorio, per il comparto vitivinicolo e per la Doc Ostuni che è sopravvissuta solo grazie al lavoro della famiglia Grecoche con un solo ettaro di proprietà ha rivendicato ogni anno la denominazione.

    OggiAmalberga, attraverso il suo progetto e i suoi vini, punta a raccontare e valorizzare questo territorio affinché abbia la posizione che merita nel panorama vitivinicolo regionale.

    I Vini degustati

    Il progetto Amalberga nasce con l’obiettivo di riscoprire la denominazione Doc Ostuni, un territorio straordinario, ma dal potenziale inespresso.

    Stùne DOC Bianco Ostuni 2023: la semplicità è una cosa complessa dice l’enologo Valentino Ciarla durante il webinar, perfetta sintesi di questo vino ottenuto 50% da uve impigno e 50% da uve francavidda. Naso delicato e al tempo stesso avvolgente di frutta agrumata e fiori. Al sorse è fresco sapido, dinamico, piacevolezza unita ad eleganza.

    Icona d’Itria IGT Salento Verdeca 2023 la Puglia attuale, senza dimenticare da dove si viene. Questa verdeca in purezza ottenuta da vigneti di oltre sessant’anni è di una espressività disarmante. All’olfatto è un vino di grande complessità, frutta fresca e agrumata ma anche delicate note vegetali. Al sorso è elegante, pieno, espressivo, finale lungo e avvolgente. Un vino di grande longevità, mi aspetto grande soprese per il futuro.

    Stùne Ottavianello DOC Ostuni Rosso 2023: da uve ottavianello, è il vino che vorrei trovare tutti i giorni sulla mia tavola, anche d’estate, leggermente fresco è davvero irresistibile, dicevo sopra. All’olfatto profumi di frutta rossa di grande piacevolezza, al palato è dinamico e succoso, da bere e da ribere. LEGGI TUTTO

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    I sessant’anni del Consorzio Collio: Il Collio è vivo, evviva il Collio

    Il 31 maggio del 1964, 152º giorno dell’anno secondo il calendario gregoriano, la luna si trovava nell’ultimo quarto, e le radio trasmettevano in continuazione le note di È l’uomo per me di Mina e di Love Me Do dei Beatles. Nei cinema, Sedotta e abbandonata di Pietro Germi smuoveva coscienze e sbancava al botteghino. Il 31 maggio 1964 era una domenica, giorno inusuale per la firma di un atto notarile, ne converrete. Ma, ça va sans dire, il motivo era sicuramente da ricercare nella necessità di non sottrarre tempo prezioso al lavoro in un giorno feriale.

    Ebbene, proprio in quella data di 60 anni fa, si firmava l’atto costitutivo del Consorzio Collio. Il primo presidente, nonché deus ex machina di tutta l’operazione consorzio, fu il conte Douglas Attems. Il conte, che proprio in quel periodo aveva iniziato a imbottigliare i suoi vini, compattò attorno a sé un gruppo di produttori con l’intento di arrivare il prima possibile all’ottenimento della DOC. Attems, a seguito della promulgazione della Legge 930 del 1963 che sanciva la nascita delle Denominazioni di Origine Controllata, ne aveva intuito l’importanza e la necessità di arrivarci al più presto, perché questo avrebbe significato prestigio e riconoscimento per quelle dolci colline che circondano Gorizia e che sarebbero poi diventate il Collio.

    Le botti dipinte della Cantina Produttori di Cormons

    Il conte soleva iniziare il suo discorso, quando parlava con qualcuno di vino, con una frase che era una sorta di manifesto programmatico: “…vede, noi del Collio…”. In quelle parole c’era la necessità di esibire tutta la grandeur che Attems, con un senso di preveggenza, attribuiva a quella piccola denominazione dalla quale sarebbe ripartita poi, grazie a pionieri come Mario Schiopetto e Marco Felluga, la rinascita del vino bianco italiano.

    Lo staf del Consorzio Collio con al centro il presidente David Buzzinelli e la direttrice Lavinia Zamaro

    Sessant’anni fa, si diceva, numero tondo, motivo di orgoglio e di festa per il Consorzio Collio, guidato oggi dal presidente David Buzzinelli e dalla direttrice Lavinia Zamaro, che hanno voluto celebrare la ricorrenza con un evento dedicato alla stampa e agli amici di sempre, proprio nello stesso giorno della firma dell’atto costitutivo, che ha avuto il suo momento clou con la masterclass “Assaggi di storia del Collio”. Occasione ghiotta per fare il punto dello stato di salute della denominazione grazie anche alla sapiente guida dell’ottimo Michele Paiano, sommelier per più di un ventennio de La Subida di Cormons.

    Michele Paiano

    La degustazione è stata una sorta di percorso nel bicchiere, attraversando il Collio di ieri e di oggi in tre momenti: Il Collio oggi, ovvero Ribolla Gialla 2022, Pinot Grigio 2022, Friulano 2021, Sauvignon 2023, Collio Bianco 2022. La longevità del Collio Bianco con una degustazione orizzontale di cinque annate dalla 2013 alla 2018 e Il Collio Rosso con degustazione delle annate 2008, 2012, 2013, 2018.

    Diciamo subito che la denominazione è in grandissima forma. Dopo il periodo di stanca di qualche anno fa, ricordo ancora le parole di Marco Felluga al Premio Collio del 2014, quando l’allora past president lanciò un grido d’allarme ritenendo che il Collio stesse perdendo appeal. Oggi, quel fascino, che si traduce in grandi vini nel bicchiere, è stato ritrovato quasi del tutto, soprattutto negli assaggi di Friulano, Sauvignon, Pinot Grigio e Pinot Bianco, anche se quest’ultimo non era presente tra i vini della masterclass; forse è la sola Ribolla Gialla a non esprimersi ancora su grandi livelli, ma questo discorso meriterebbe un approfondimento.

    Ovviamente non sto parlando della Ribolla Gialla di Oslavia perché quello è un microcosmo a sé. Su ottimi livelli anche il Collio Rosso. In questo caso parliamo di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot, ovvero i vitigni che vanno a comporre gli assemblaggi dei vini degustati. I vitigni bordolesi, che ormai potremmo definire autoctoni, in Collio si esprimono su grandi livelli, è un dato incontrovertibile. La vera perla identitaria, se così si può definire, resta però il Collio Bianco e qui si apre un discorso piuttosto delicato.

    Alcuni sono convinti che il territorio sia talmente espressivo da prevalere sempre sulla varietà e pertanto per fare il Collio Bianco, anche per non destabilizzare il consumatore, ha senso utilizzare tutte le uve a bacca bianca previste dal Disciplinare: chardonnay, malvasia istriana, picolit, pinot bianco, pinot grigio, riesling italico, riesling renano, ribolla gialla, sauvignon, friulano e con un massimo del 15% degli aromatici traminer e müller thurgau. Invece, per quanto mi riguarda, trovo molto più affascinante l’idea di ottenere il Collio Bianco solo da uve autoctone.

    Mappa del Collio

    Già nel 2017 mi appassionò l’idea, purtroppo poi tramontata, del Collio Bianco Gran Selezione, che doveva essere realizzato con le varietà autoctone storiche: friulano (dal 40% al 70%), ribolla gialla (max 30%) e malvasia (max 30%). Sembrava che questo progetto dovesse trovare la strada spianata grazie all’approvazione del nuovo Disciplinare che prevedeva, tra l’altro, oltre al recupero dell’uvaggio storico, l’uscita sul mercato dopo almeno 24 mesi d’invecchiamento e con una riconoscibilità evidente dovuta alla “Bottiglia Collio”, pensata qualche anno prima da Edi Keber.

    Era l’idea vincente per riposizionare il Collio tra i grandi terroir del mondo. Come spesso succede, quando si tratta di mettere d’accordo più teste che la pensano in modo diverso, l’idea rimase al palo, preferendo il mantenimento dello status quo. In realtà, questo pensiero non ha mai abbandonato un manipolo di produttori che in quel disegno, marcatamente identitario, vedevano e vedono una straordinaria possibilità per il rilancio del Collio tout court e che hanno dato vita, per l’appunto, al progetto “Collio Bianco da uve autoctone”.

    Il convegno “Collio, un viaggio lungo 60 anni”

    Nessuno mette in dubbio che in Collio gli internazionali diano grandi vini e che questi già trovino e possano continuare a trovare in futuro la loro strada nella DOC; ma alla fine qual è il vero tratto distintivo del Collio? Non può bastare il solo fatto che qui si facciano grandi vini bianchi. In una fase piuttosto delicata del comparto vino, e con altri areali sia italiani che internazionali pronti ad insediare il primato bianchista del Collio, è necessario distinguersi, è necessario essere unici e il Collio Bianco ottenuto da sole uve autoctone con l’uvaggio tradizionale (friulano in prevalenza, malvasia e ribolla gialla) va sicuramente in questa direzione.

    Il termine tradizione deriva direttamente dal sostantivo latino “traditio”, il cui primo significato era “consegna”; si legava infatti al verbo “trado” che voleva dire appunto “consegnare, porgere, trasmettere”. Spesso capita che la parola tradizione sia associata a una sorta di immobilismo, di conservatorismo; in realtà è vero l’opposto. Tradizione significa trasmettere ad altri affinché vadano avanti, nel percorso di vita che gli spetta, senza fermarsi e così all’infinito.

    Il Collio è vivo, evviva il Collio! LEGGI TUTTO

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    Kalòs e Kagathòs: La Filosofia di Avignonesi tra Bellezza e Nobiltà d’Animo

    di Patrizia Vigolo

    Nel cuore della meravigliosa campagna toscana, la Cantina Avignonesi è diventata un simbolo di sostenibilità e innovazione nel mondo vinicolo.

    Nata nel lontano 1974 come azienda agricola, Avignonesi ha progressivamente ridefinito il proprio scopo, evolvendo da semplice produttore di vino a un leader nel settore della “buona industria vitivinicola”.

    Nel 2009 la cantina ha subito una trasformazione significativa quando è stata acquistata da Virginie Saverys. Da allora, Avignonesi si è distinta non solo per i suoi vini eccellenti, ma anche per il suo impegno verso l’agricoltura biologica e biodinamica, ponendosi come leader nell’industria vitivinicola sostenibile.

    Lavorare per un futuro migliore

    La filosofia di Avignonesi può essere riassunta nel concetto di kalòs e kagathòs, termini dell’antica Grecia che uniscono il bello (kalòs) e il buono (kagathòs), esprimendo una profonda coerenza tra etica ed estetica. Questo concetto sottolinea che per essere veramente “belli”, i prodotti e le azioni devono essere intrinsecamente buoni e giusti. In pratica, questo significa che la qualità estetica dei vini e delle esperienze offerte deve essere accompagnata da un impegno etico e sostenibile.

    Produrre vini nobili significa anche comportarsi in maniera nobile, rispettando la terra, le persone e la comunità di Montepulciano. Questo impegno si riflette nella missione dell’azienda di nutrire la terra e le persone, creando un mondo migliore per le generazioni future.

    Vigneto “La Stella”

    Ecco perché sotto la guida di Virginie Saverys, Avignonesi ha adottato pratiche agricole biologiche e biodinamiche, riconosciute formalmente nel 2021 con il riconoscimento di Società Benefit. L’azienda utilizza tecniche che migliorano la salute del suolo e la biodiversità, minimizzando l’impatto ambientale e producendo vini di qualità superiore. Questa dedizione alla sostenibilità si estende anche ai sistemi distributivi e all’educazione del consumatore, con un approccio trasparente e innovativo.

    “Lavorare ogni giorno per diventare un buon antenato: Questa frase rappresenta il cuore della filosofia di Avignonesi. Significa impegnarsi quotidianamente per lasciare un’eredità positiva e sostenibile, non solo per la propria generazione, ma per quelle future. Questo approccio si riflette in ogni scelta aziendale, dalla gestione dei vigneti alla produzione dei vini, fino alle pratiche di ospitalità e distribuzione.

    Matteo Giustiniani_Amministratore Delegato del Gruppo Avignonesi

    La scelta di abbracciare l’agricoltura biologica e biodinamica non è quindi solo una decisione tecnica, ma un impegno etico. La biodinamica, in particolare, va oltre il biologico, considerando la fattoria come un organismo vivente che deve essere autosufficiente e sostenibile. Questo significa evitare pesticidi e fertilizzanti chimici, promuovere la biodiversità, e utilizzare preparati naturali per migliorare la salute del suolo e delle piante.

    Vini d’eccellenza, frutto di passione, rispetto e competenza

    Avignonesi raggruppa vigneti, un orto sinergico, oliveti, bosco e seminativo. I vigneti occupano circa 170 ettari in cui si coltivano principalmente Sangiovese, Merlot, Trebbiano e Malvasia.

    Da queste uve nascono vini di pregio, che narrano la storia del territorio e la dedizione di Avignonesi. Tra le eccellenze spiccano il Vino Nobile di Montepulciano, un prestigioso DOCG che incarna l’essenza stessa della cantina, e il Vin Santo Occhio di Pernice, un vino dolce e avvolgente che rappresenta la quintessenza della tradizione enologica toscana.

    Inoltre, l’azienda possiede 7 ettari di oliveti, un orto sinergico su una superficie di 0,5 ettari (un metodo di coltivazione che sfrutta la sinergia tra le piante e gli elementi naturali), 43 ettari di bosco e 48 ettari di terreni seminativi.

    Un vino che ci ha particolarmente colpiti è stato il “Vino Nobile di Montepulciano D.O.C.G. 2013” 10 Year Vintage Release.

    Uve 100% Sangiovese. Fermentato, invecchiato, imbottigliato e conservato con cura nella cantina di Avignonesi. La fermentazione alcolica con macerazione sulle bucce dura da 20 a 30 giorni, variando a seconda dei singoli lotti di vino. Questo processo è condotto dai lieviti selezionati dal pied de cuve dell’azienda. Il vino è poi affinato per 12 mesi in barrique francesi, seguiti da 6 mesi in botti di rovere di Slavonia, e infine riposa per almeno 8 anni in bottiglia, sviluppando così la sua complessità e profondità aromatica.

    Il colore è di un intenso rosso rubino. Al naso, il bouquet è elegante e complesso, iniziando con note floreali di viola mammola e rose selvatiche, seguite da sentori di prugna, marasca e frutta rossa. Nonostante si tratti di un 2013, i sentori fruttati sono ancora freschi ma accompagnati da sfumature di goudron, liquirizia, caffè e cacao. Al palato, il vino si presenta rotondo e fresco, ben strutturato e di lunga persistenza, con piacevoli note balsamiche in chiusura.

    E’ una incantevole combinazione di aromi che conferma ancora una volta la capacità del Sangiovese di evolvere in maniera iconica.

    Classica Day: un evento dedicato agli appassionati Ogni anno, nel mese di marzo, Avignonesi organizza il Classica Day, un evento dedicato agli operatori del settore e agli appassionati di vino. Un’occasione per scoprire le ultime novità della cantina, degustare i migliori vini e approfondire la conoscenza del territorio e della filosofia produttiva di Avignonesi. L’edizione 2024, svoltasi il 17 e 18 marzo, ha visto la partecipazione di 450 persone, che hanno potuto apprezzare l’eccellenza dei vini Avignonesi e vivere un’esperienza unica nel cuore della Toscana.

    Le due giornate sono state caratterizzate da attività specifiche pensate per favorire il dialogo e promuovere una viticoltura di qualità. La cena di gala, ospitata nell’Appassitoio de Le Capezzine, uno dei luoghi più emblematici del Gruppo Avignonesi, si è aperta con delle bollicine, sia alcoliche (Clarabella 180) che virtuosamente analcoliche (French Bloom Rosé). La serata è poi proseguita con la degustazione dei vini di Avignonesi, tra cui il Dadi Rosso 2022, un vino che rappresenta un ponte verso il futuro e l’innovazione.

    Successivamente, è stato servito il Vino Nobile di Montepulciano del 2010, una delle icone del gruppo e della denominazione, un 100% Sangiovese proveniente dalla riserva storica di Avignonesi.

    La cena è culminata con il Vin Santo Occhio di Pernice 2010, una gemma rara e preziosa. Color ambra con riflessi dorati. Al naso, il vino si rivela avvolgente ed estremamente complesso, con sentori di miele, castagna, mandorla, marmellata d’arancia, datteri ed albicocca. In bocca emergono note di mandorla tostata, amaretto, noce fresca e fico secco. Il vino è caldo e piacevole, con un finale lungo e persistente.

    La giornata del 18 marzo è stata altrettanto ricca di eventi, iniziando con una masterclass dedicata al “Desiderio” Toscana Merlot Igt nelle annate 2017 e 2018.

    Il “Desiderio” 2017 ha un impatto olfattivo è esplosivo. Il bouquet aromatico, ampio e complesso, spazia dalla confettura di ciliegie e prugne a note di tè nero, rabarbaro e grafite, con lievi accenni finali di tabacco fermentato. L’ingresso al palato è prorompente, investendo i sensi con la tipica e imponente struttura del Merlot toscano, avvolgente e calorosa.

    Il “Desiderio” 2018 invece fa sicuramente emergere maggiormente la parte fruttata e in secondo piano emergono alcune spezie più dolci. Note fresche di frutti di bosco, mirtillo e lampone si intrecciano con delicate sfumature di spezie dolci come lo zafferano e il cardamomo, arricchite da fresche note di erbe mediterranee e pino marittimo. Al palato, il vino si presenta morbido, corposo, rotondo e ben strutturato, con tannini setosi e un retrogusto persistente arricchito da un tocco di cioccolato fondente.

    “Piantiamo gli alberi sotto la cui ombra non ci siederemo mai”.

    (Antico Proverbio) LEGGI TUTTO

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    Vini Naturali in vetrina: VinNatur 2024 a Gambellara

    Di Patrizia Vigolo

    La 19ª edizione del VinNatur Tasting, tenutasi a Gambellara (Vicenza) dal 13 al 15 aprile 2024, ha confermato il suo successo come uno degli eventi di riferimento per gli appassionati di vino naturale in Italia e all’estero. Entrare al VinNatur è come varcare una soglia verso un mondo parallelo, fatto di etichette vintage, altre più pop, e altre ancora così originali da sfidare qualsiasi classificazione.

    Oggi parlare di vino naturale non è più come in passato: ancora non esiste una definizione ufficiale ed univoca, ma il grande pubblico e soprattutto i produttori hanno le idee chiare su cosa significhi “bere naturale”. Il vino naturale deriva da metodi di lavoro che prevedono il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina, e l’assenza di additivi chimici e di manipolazioni da parte dell’uomo.

    Angiolino Maule, tra i pionieri di questa filosofia, oggi si mostra ancora più convinto della strada intrapresa ma con un passo in avanti. Durante una delle masterclass organizzate al VinNatur, ha sottolineato che un vino deve essere naturale ma allo stesso tempo deve rispettare i canoni della qualità: non deve presentare odori sgradevoli e, in generale, deve avere correttezza gusto-olfattiva.

    Ai banchi d’assaggio, oltre 200 produttori provenienti da Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Austria, Ungheria, Slovenia e Repubblica Ceca hanno offerto un’ampia panoramica del mondo del vino naturale.

    Angiolino Maule

    In questa edizione del 2024, il VinNatur ha proposto Masterclass estremamente interessanti. Queste lezioni hanno affrontato argomenti concreti che hanno suscitato interesse sia tra gli addetti ai lavori che tra gli appassionati.

    Una delle Masterclass più interessanti è stata quella intitolata “Alterazioni microbiologiche dei vini”, tenuta da Giacomo Buscioni. Durante la degustazione, è stato possibile assaggiare vini opportunamente modificati per comprendere le principali alterazioni organolettiche di origine microbiologica e le loro caratteristiche più comuni.

    Per approfondire la conoscenza del vino naturale, l’attività migliore è stata ovviamente degustare e chiacchierare con i produttori presenti alla manifestazione. Sono stati tanti gli assaggi, i nuovi incontri e le conferme, ma sarebbe impossibile raccontare tutto. Ecco quindi il nostro podio, i migliori 3 assaggi della manifestazione VinNatur 2024:

    Reyter – Trentino Alto Adige

    Ci troviamo nella zona di Caldaro/Termeno e sicuramente ciò che caratterizza maggiormente la cantina Reyter è il vitigno Schiava. La Schiava è un solitamente un vino che amo definire “vivace”: vitigno autoctono dell’Alto Adige con una storia alle spalle che risale a prima del ‘500. La sua leggerezza è il suo punto forte. Una trama di tannini moderati ma ben presenti. Al naso emergono le tipiche note di violetta e frutti di bosco. Proprio questa sua leggerezza lo rende un vino versatile: adatto agli aperitivi ma anche come tutto pasto.

    Röck – Alto Adige

    Una cantina familiare che produce circa 30.000 bottiglie. Abbiamo parlato con Carmen, la figlia. Spirito esuberante che ben rappresenta l’amore per ciò che la famiglia produce e per il territorio dove vive. La Valle Isarco è la regione vitivinicola più a nord dell’Italia, dove il clima è decisamente più fresco rispetto al resto dell’Alto Adige. Viel Anders, annata 2020 è uno dei vini che abbiamo degustato. E’ un vino che parla davvero di Carmen. Esuberante, profondo ma che si esprime con una leggerezza che colpisce. Si è subito sentita al naso gli effetti dell’estate calda del 2020 ma che sono stati magistralmente gestiti grazie ad una vendemmia leggeremente anticipata per riuscire a mantenere la freschezza.

    Štemberger – Slovenia

    Non potevamo non degustare la Vitovska di Štemberger, vino simbolo della terra slovena. Un vino che sa impressione per l’eleganza. I sentori sono netti, ben delineati e su tutti emergono le note agrumate. Un’immagine chiara balza agli occhi quando degusti questo vino: senti la durezza del Carso e la leggerezza della brezza marina dell’Adriatico mescolata alla fredda Bora. Una visione che si trasforma in un sorso fresco, minerale e intenso. LEGGI TUTTO