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    Delegat Group – risultati 2024

    Delegat non è più la “lepre” delle aziende vinicole quotate. Dopo i dati scricchiolanti del 2022/23, nel 2023/24 (anno chiuso a giugno) l’azienda non è riuscita a far crescere le vendite e ha mancato gli obiettivi che aveva comunicato a inizio anno. Tuttavia, il management ha rimarcato che l’andamento dell’anno è stato molto soddisfacente se si considerano le mutate condizioni del mercato.
    Per venire ai numeri, le vendite sono rimaste stabili a 376 milioni di dollari neozelandesi mentre i dati di EBITDA e utile operativo normalizzati segnano un progresso del 6-7% sull’anno scorso, con l’utile netto stabile a 60 milioni e come dicevamo inferiore alla forchetta annunciata l’anno scorso. Oltre ai mancati obiettivi, anche le previsioni sono state delundenti: i volumi non sono previsti in leggerissimo calo poco sotto 3.6 milioni di casse e l’obiettivo triennale passa da 4.1 a 3.9 milioni di casse. Soprattutto, l’utile netto è previsto tra 55 e 60 milioni, dunque nel migliore dei casi allineato a quello del 2023-24, che a sua volta era stato stabile rispetto al 2022-23. Il risultato è un andamento borsistico molto negativo. Le azioni hanno perso il 30% da un anno a questa parte e valgono di questi tempi circa 600 milioni di dollari neozelandesi, cui si aggiungono 360 milioni di debiti (in crescita).
    Nel resto del post, tabelle, ulteriori grafici e un commento più dettagliato.

    Le vendite sono stabili a 376 milioni, con un calo del 2% dei volumi a 3.61 milioni di casse e un progresso del prezzo medio del 2% a 104 dollari per cassa. Dal punto di vista geografico, i volumi sono calati del 4% in Europa a 1.18 milioni di casse, dell’1% in Nord America a 1.72 milioni e sono invece cresciute del 2% in APAC a 706mila casse.
    Le previsioni di 3.9 milioni di casse al 2027 hanno “perso” il dettaglio per area anche se il Nord America è menzionato come il mercato di crescita primario per il gruppo.
    I margini sono in leggero recupero sull’anno scorso e questo consente una crescita del 6% dell’utile operativo a 103 milioni, aiutato anche dall’andamento favorevole dei cambi oltre che dal miglioramento del prezzo-mix che ha sostenuto il margine lordo (passato dal 43% al 46%). Il maggiore debito e i tassi di interessi in crescita hanno però determinato una crescita degli oneri finanziari, oltre a una maggiore tassazione e dunque l’utile netto è rimasto stabile a 60 milioni.
    Dal punto di vista finanziario, il debito sale da 319 a 360 milioni di dollari, dopo aver pagato investimenti per 70 milioni e dividendi per 20 milioni, con una generazione di cassa dichiarata dal gruppo in calo del 5% sull’anno scorso a 57 milioni di dollari.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Constellation Brands – risultati primo semestre 2024

    Tempi duri anche per Constellation Brands, che ha dovuto pubblicare un aggiornamento ad hoc a inizio settembre per ridurre alcuni degli obiettivi comunicati al mercato per l’anno e ha riportato risultati oggettivamente disastrosi nel secondo trimestre a inizio ottobre. E questa volta la colpa è proprio della divisione vino: le prospettive per l’anno sono passate da vendite stabili a un calo del 4-6%, e da un utile operativo in calo del 10% circa al -17%. Oltre a questo, e si vede bene nei numeri del secondo trimestre, l’azienda ha svalutato i marchi del segmento vino per 2.25 miliardi di dollari (misura che non determina esborsi di cassa), il che ha portato il bilancio del secondo trimestre a una perdita di 1.2 miliardi di dollari. Per dire la verità nonostante il disastro della divisione vino, un misto tra mercato e immagino iniziative non andate a buon fine, gli obiettivi “totali” del gruppo non sono cambiati, anzi sono anche leggermente migliorati grazie all’andamento sempre ottimo della divisione birra (i cui obiettivi sono stati leggermente alzati), da un po’ di oneri finanziari in meno. E dunque anche il titolo in borsa non ne ha risentito più di tanto, rimanendo circa stabile anno-su-anno in un contesto piuttosto negativo per le aziende che si occupano di bevande alcoliche.
    La considerazione a valle di questi dati è più ampia. Siamo di fronte a un cambio di passo per il mondo del vino? Questi dati sono solo l’ultimo di una serie di post in cui mettiamo in luce un problema di crescita (o meglio di calo) per le grandi aziende vinicole nel 2024. Pensiamo a LVMH o a altri campioni di crescita come Delegat in Nuova Zelanda o, nel passato, Concha y Toro. E pensiamo anche a quello che ha scritto il Financial Times qualche tempo fa a proposito della vendita della divisione vino da parte di Pernod Ricard (link alla nostra traduzione).
    Passiamo a commentare qualche dato.

    Le vendite di CBrands del secondo trimestre sono state in crescita del 3% a livello consolidato, con un calo del 12-13% per la divisione vino e una crescita del 6% della divisione birra. Nel secondo trimestre la divisione vino e spiriti pesa il 13% delle vendite del gruppo, il vino in senso stretto il 12% del totale. Nella divisione vino va notato l’orrendo calo del 18% delle vendite al dettaglio dei prodotti CBrands nel secondo trimestre.
    Lasciando stare la svalutazione dei marchi, la divisione vino ha mantenuto un margine stabile nonostante il calo delle vendite al 18% circa nel trimestre (utile operativo) realizzando 71 milioni contro gli 81 dello scorso anno. La divisione birra ha invece un margine del 38% per un utile operativo che sfiora il miliardo di dollari in soli 3 mesi.
    Passando alla parte finanziaria, CBrands ha rassicurato i mercati circa i piani di remunerazione degli azionisti, nell’ambito dell’obiettivo di tenersi intorno a 3 volte il rapporto debito/EBITDA. Alla fine del trimestre proprio a 3 volte stiamo, con un debito di 11.5 miliardi di dollari e 3.8 miliardi di EBITDA. E nei primi 6 mesi dell’anno, sono stati pagati oltre 800 milioni di dollari (rispetto a una capitalizzazione di 45 miliardi, quindi “annualizzando” intorno al 3.6% di rendimento), più o meno tanti quanti ne sono stati investiti.

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    Advini – risultati primo semestre 2024

    Il semestre difficile del mercato del vino si riflette anche sulle vendite di Advini, in calo del 2% rispetto al 2023. L’azienda francese ha però intrapreso un percorso molto ambizioso di taglio dei costi dopo gli orrendi risultati soprattutto della prima parte del 2023 e i primi risultati cominciano a vedersi. Il mix del fatturato verso le marche proprie cresce al 42% del totale (36% l’anno scorso), con un impatto favorevole sui margini di profitto, il controllo dei costi (personale stabile e servizi esterni “tagliati”) consente di recuperare oltre 1 milione di euro per un EBITDA semestrale che cresce da 7.4 a 9.0 milioni di euro. Siamo sempre sotto gli 11 di un paio di anni fa, ma i progressi si vedono. Anche il debito, uno dei grandi problemi recenti dell’azienda dopo tutte le acquisizioni, comincia a stabilizzarsi (anche se sale ancora un pochino).
    Le azioni di Advini restano intorno ai minimi storici, per un valore di borsa di 53 milioni di euro.
    Il management propone un quadro riassuntivo dove indica gli obiettivi e il loro raggiungimento… Advini è avanti sul taglio dei costi, in linea su tutti gli altri obiettivi. In conclusione, si prevede un secondo semestre in netto recupero.
    Passiamo a un breve commento dei dati.

    Le vendite calano del 2% a 138 milioni. Advini ritiene di essere andata molto meglio dei concorrenti nell’Europa del Nord e negli USA, mentre ha pagato pegno nel mercato francese (-9%). Il calo delle vendite si legge con un -1.6% organico e un -0.3% derivante dai cambi.
    I margini sono in recupero. Il margine “industriale” sale dal 36.6% al 37%, grazie all’incremento dei prodotti di marca, mentre il taglio dei costi consente anche un recupero in valore assoluto dell’EBITDA e dell’utile operativo. Quest’ultimo chiude a 2.6 milioni di euro contro il pareggio del semestre 2023.
    Purtroppo gli oneri finanziari salgono a 5 milioni (considerati il picco dal management) e il bilancio chiude con 2.5 milioni di perdita, comunque in calo rispetto ai 4.1 dell’anno scorso.
    A livello di struttura finanziaria, il debito sale a 175 milioni, rispetto a 167 dell’anno scorso a giugno e 174 a fine anno 2023 (tutti dati escluso IFRS16). A livello operativo la generazione di cassa è stata di 3.6 milioni (con un taglio importante degli investimenti e un controllo molto più stringente delle scorte), “mangiata” dai 5 milioni di oneri finanziari. Come dicevo, secondo il management siamo arrivati al punto di inversione del debito, che a fine giugno era a 11 volte l’EBITDA (12x a fine 2023). LEGGI TUTTO

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    Naked Wines – risultati 2023/24

    Gli anni tumultuosi per Naked Wines non sono ancora finiti. Per chi di voi non la conoscesse Naked Wines è un ecommerce di vino con un modello di business un po’ particolare, atto a promuovere nuove cantine attraverso il meccanismo degli “angels” (ora circa 900mila) e delle sottoscrizioni, con circa 235 cantine (tutte alternative direi).
    Il ritorno del fondatore al timone ha fatto partire una forte cura dimagrante, con cambi di management e limite ai costi, il tutto per portare Naked Wines su una dimensione più piccola ma più sostenibile. Non si comperano più vini che magari non si vendono (e bisogna svalutare), le spese sono “cappate” a una % del fatturato e via dicendo. Quindi il risultato sono dati di vendite in calo (-18% nel 2023) destinate a scendere ancora nel 2024-25 (-7/-17% previsto), perdite nel conto economico essenzialmente dovute alle svalutazioni di magazzino e agli oneri per ristrutturare, ma una “chiusura dei rubinetti” per salvaguardare la cassa, che infatti nell’anno è cresciuta (da 10 a 19 milioni di sterline) grazie proprio alla gestione del capitale circolante.
    Dicevamo che il 2024-25 è un altro anno di purgatorio, visto che l’utile operativo è previsto di nuovo in negativo per colpa delle svalutazioni ma un altro anno di generazione di cassa (altri 10 milioni). Il mercato per ora non apprezza. L’azienda quota sulla borsa inglese a 40 milioni di sterline di valore di mercato (contro 290 milioni di vendite…).
    Qual è il problema? Oggi Naked Wines si sta ristrutturando, cosa succede quando la cura dimagrante è finita? Sarà ancora in grado di correre? Sarà questo modello di business, basato sui vini alternativi, ancora profittevole?
    Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite sono calate del 18% a 290 milioni di sterline, di cui -23% negli USA a 129 milioni, -9% nel Regno Unito a 124 milioni e -20% in Australia a 37 milioni.
    In termini di contributo dalle tipologie di cliente, 24 milioni vengono dai nuovi clienti (su cui si perdono 23 milioni) e 267 milioni dai clienti esistenti, sui cui si fa un margine “lordo” di 65 milioni. Il tutto per un margine di contribuzione di 42 milioni, in forte calo dai 65 dell’anno scorso per colpa dei clienti esistenti. Questa “perdita” di 23 milioni si è solo in parte ribattuta in parte sull’utile operativo, calato da 17 a 5 milioni, grazie al forte taglio dei costi (peraltro esplosi negli ultimi anni!). Ci sono poi stati 17 milioni di svalutazioni e costi di ristrutturazione, che hanno portato il saldo a -12 milioni, contro -14 dell’anno precedente. Alla fine soprattutto per colpa degli oneri straordinari, il bilancio chiude con una perdita di 21 milioni (17 l’anno prima).
    La parte finanziaria va meglio. La cassa prima del debito IFRS16 cresce da 10 a 19 milioni, grazie a un calo del capitale circolante di 12 milioni, essenzialmente guidato dal magazzino, che passa da 166 a 145 milioni di euro.

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    Italian Wine Brands – risultati primo semestre 2024

    I risultati del primo semestre di Italian Wine Brands sono ottimi. Pur in un contesto di vendite deboli (-3%, 191 milioni), l’azienda è riuscita a migliorare i margini grazie in parte a un miglior margine industriale (minore costo dei materiali “secchi”, quindi vetro e via dicendo, miglior mix delle vendite e internalizzazione della produzione) ma è anche intervenuta in modo importante sulla base di costi operativi, con i costi per servizi calati in valore grazie in parte ai costi energetici e di trasporto ma anche per l’integrazione commerciale. Così il margine operativo lordo cresce del 27% a 22 milioni e l’utile netto raddoppia a 10.3 milioni di euro, beneficiando tra l’altro di minori oneri finanziari, grazie al minor debito (da 138 milioni a 94, prima di IFRS16, pur avendo restituito 5 milioni agli azionisti tra acquisto azioni proprie e dividendi). Dopo un risultato così positivo, la prospettiva per il secondo semestre è più cauta nel contesto di un mercato in rallentamento e anche l’approccio alla crescita per acquisizioni (IWB è stata molto attiva negli ultimi tre anni) sta diventando più selettivo. I progressi di questi mesi sono ben visibili nelle quotazioni di borsa, che sono migliorate sensibilmente con le azioni intorno ai 22 euro subito il comunicato dei risultati, in progresso del 18% dall’inizio dell’anno e del 21% negli ultimi 12 mesi, per un valore di mercato che ha di poco superato la soglia dei 200 milioni di euro. Nel resto del post un’analisi più dettagliata e tutti grafici e tabella riassuntiva dei numeri.

    Le vendite calano del 3% riflettendo un calo del 4% delle vendite “distance selling” a 28 milioni (all’interno di questo numero 9.3 milioni di vendite online, +7%), un calo del 3% delle vendite wholesale a 135 milioni di euro e un incremento del 2% delle vendite HoReCa a 27.6 milioni (dato dell’anno precedente riclassificato da 30 milioni a 27). IWB commenta che i suoi marchi “top brand” crescono del 9%, contribuendo al miglioramento dei margini.
    Da un punto di vista geografico, l’Italia cresce del 16% a 36 milioni mentre le vendite estere calano del 6% a 155 milioni con un andamento negativo nel Regno Unito e Germania non compensato dai dati positivi in USA e Svizzera.
    Abbiamo detto sopra delle ragioni di miglioramento dei margini. L’EBITDA rettificato passa dall’8.8% all’11.5% delle vendite, da 17.3 a 21.9 milioni di euro, +27%, l’utile operativo è a +43% da 11 a 15.6 milioni di euro, con un ammontare di oneri non ricorrenti di circa 1.6 milioni di euro (1 milione nel semestre 2023). Utile netto quasi raddoppia a 10.3 milioni (rettificato, mentre quello dopo gli oneri non ricorrenti è a 9.1).
    La parte finanziaria vede un calo del debito da 101 milioni di fine anno (139 a fine giugno 2023) a 94 milioni a fine giugno, dopo aver pagato 4.7 milioni di dividendi e aver acquistato azioni proprie per 0.5 milioni. Gli investimenti molto limitati (1.4 milioni rispetto a 4 dell’anno precedente) aiutano a spiegare il calo del debito, insieme al fabbisogno molto limitato di capitale circolante, incrementato solo di 3 milioni (nonostante la stagionalità) rispetto ai +15 milioni del semestre 2023.

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    Concha y Toro – risultati primo semestre 2024

    Il sole sembra tornato a splendere sui risultati di Concha y Toro in parte in seguito all’ulteriore cura dimagrante sui costi che l’azienda ha messo in atto, ma soprattutto grazie alla forte svalutazione del peso cileno che ha ridato competitività all’azienda, che come sapete si sostiene sulle esportazioni, 68% delle vendite nel primo semestre e che hanno goduto di un impatto valuta del 17% rispetto a una crescita (in recupero sul 2023) del 25% totale. Ad ogni modo i dati semestrali 2024 sono incoraggianti. Le vendite crescono in totale del 22%, anche grazie alla ripresa delle vendite locali in USA, il gross margin torna in area 39% dopo la caduta al 36% dell’anno scorso e lo stesso fanno il MOL e l’utile operativo, anche se non siamo ancora al livello record (sia in valore assoluto che in termini percentuali al fatturato) del semestre 2021. Il titolo in borsa ha reagito bene ai dati, con un recupero che ha riportato il titolo non distante dai massimi recenti, anche perché con il fatturato degli ultimi 12 mesi è già arrivata all’obiettivo 2024 e quindi gli serve soltanto essere stabile nel secondo semestre (ma crescerà probabilmente anche solo per i cambi). Il suo valore di mercato si aggira intorno ai 900 miliardi di peso. Questo, come i numeri che daremo sono tutti in miliardi di peso cileno, per avere un’idea in euro dividete per 1000 (quindi pensati 1 miliardo di peso =  1 milione di euro). Passiamo a un breve resoconto dei dati con tabelle e grafici.

    Le vendite crescono del 22% a 443 miliardi di peso, di cui 66 sono “locali” in Cile e stabili, 299 sono esportazioni (+25%) e 70 sono “locali” in USA (+32%). L’impatto dei cambi sulla crescita è importante ed è stato il 17%, mentre il volume totale è stato in crescita del 5% nel semestre a 15 milioni di casse.
    Il prezzo/mix delle vendite è stato quindi stabile, anche se la quota di prodotti che CyT definisce premium/high-end è arrivata al 53% delle vendite.
    Il “gross margin”, quindi dopo i costi di produzione e prima di quelli commerciali e generali torna al 39% dopo la caduta al 36.4% dell’anno scorso, aiutato dalla svalutazione del peso cileno e dai programmi di efficienza. Il vantaggio cumulato sui margini si allarga man mano che si scende nel P&L ed arriva a 7 punti percentuali sull’utile operativo, che passa dal 5% al 12%, di fatto tornando al livello del 2022.
    Dal punto di vista finanziario le cose vanno un po’ meno bene, con il debito di 406 milioni che sale sia rispetto a fine anno (ci sta, vista la stagionalità), ma anche e soprattutto rispetto a un anno fa (375 milioni). La ripresa dell’EBITDA determina comunque un calo del rapporto debito/EBITDA che scende a 3.1 volte.

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    Treasury Wine Estates – risultati 2023/24

    Appena completata l’acquisizione di DAOU (ricordiamo: “luxury wine” in USA, pagata 1.3 miliardi di dollari australiani, aggiunge circa il 20% agli utili), TWE annuncia il prossimo passo: la riorganizzazione della divisione “commercial” e “premium”, mettendo insieme la parte australiana (cioè tutto meno Penfolds) e un pezzo delle attività americane che sono attive in questa fascia di mercato… per sbarazzarsene e diventare così un’azienda focalizzata sui “luxury” wines, che hanno margini (Penfolds 42%) e prospettive di crescita superiori (IWSR per gli USA +2.5% annuo al 2028 per i vini sopra i 40 dollari, contro un -0.8% annuo del mercato in generale). Questa storia l’abbiamo vista in altre occasioni (Constellation Brands che vende a Gallo, Pernod Ricard che vende ai private equity) ed è ulteriore conferma del “problema” del consumo di vino di fascia media e bassa, destinato a diminuire nel tempo.
    Venendo all’argomento del giorno, i risultati, tutto come previsto. Avevano detto crescita a media/alta singola cifra per l’anno dell’utile operativo dopo un brutto primo semestre e hanno fatto +6.4%, che poi è diventato un rotondo +29% considerando DAOU e i minori costi corporate. Le vendite (2.74 miliardi di dollari nell’anno, +13%) si stanno riprendendo anche e soprattutto grazie alla riapertura del mercato cinese (con i costi di ri-entrata connessi) e l’acquisizione di DAOU è stata ben digerita con una buona parte del prezzo pagato dagli azionisti, tale per cui il rapporto debito/EBITDA sale di poco, da 1.9 a 2.1 volte. Il titolo in borsa ha reagito bene ai numeri, anche grazie all’annuncio di un obiettivo per il 2024-25 di un utile operativo di 780-810 milioni di dollari australiani, rispetto ai 669 del 2023-24. Passiamo a guardarli più in dettaglio con tabelle e grafici aggiuntivi.

    Le vendite di 2.74 miliardi crescono del 13%, con un calo dell’1% dei volumi, una crescita del 12% del prezzo per cassa (125 dollari per le 12 bottiglie) e un contributo positivo dei cambi del 2%.
    Il mix migliora in modo significativo, con Penfolds e TWE America entrambe a 1 miliardo di vendite e in crescita del 22% sull’anno scorso, con un margine del 42% (dal 45%) e 23% (dal 25%). TWE Premium invece, concentrata su Australia e Europa, vede un calo delle vendite del 6% e un margine che resta stabile intorno al 10%.
    Si arriva quindi a un utile operativo di 421 milioni per Penfolds, +15%, di 231 per l’America, +13% e di 76 milioni per TWE Premium, che dopo i costi centrali fanno un totale di 669 milioni, +29% sul 2022-23 e in linea con gli obiettivi del gruppo. Sotto l’utile operativo aumentano gli oneri finanziari per il maggiore debito (acquisizione) ma soprattutto vengono contabilizzati 320 milioni di dollari di svalutazioni tra valore dei marchi e goodwill di precedenti acquisizioni, che portano l’utile netto a scendere a circa 100 milioni di dollari australiani (408 se si escludono gli oneri non ricorrenti).
    Dal punto di vista finanziario il debito sale a 1.2 miliardi di dollari, che diventano 1.7 includendo i leasing IFRS16, per un rapporto sull’EBITDA di poco superiore a 2.

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    Andrew Peller – risultati 2023 (marzo 2024)

    Come promesso nell’ultima assemblea degli azionisti, Andrew Peller ha messo a segno un sostanzioso miglioramento dei margini nel 2023 (anno concluso il 31 marzo 2024), grazie alla riduzione dei costi esterni e all’aumento dei prezzi per compensare una variazione negativa di dazi. Non è ancora abbastanza: nonostante l’utile operativo si sia ripreso (da 38 a 50 milioni di dollari) e il management (il signor John Peller, tra l’altro prossimo alla pensione) abbia dato un messaggio rassicurante, l’azione in borsa è stabile sui livelli minimi toccati l’anno scorso, che restituiscono una valorizzazione di borsa pari a circa 180 milioni di dollari, che corrisponde, sommando i 200 milioni circa di debito, a un rapporto con le vendite di 1 volta e a un rapporto con l’EBITDA di circa 5.3 volte. A guardare il grafico degli utili storici, in effetti di strada ce n’è ancora molta da fare per tornare ai 63 milioni di dollari toccati nel 2019 e 2020. Passiamo a un’analisi più dettagliata con grafici e tabelle ne resto del post.

    Il fatturato 2023 è aumentato dell’1% a 386 milioni (di cui circa 12 fatturati all’export) nonostante la debolezza nelle vendite dirette a causa di un minor traffico di visitatori e degli incendi boschivi nell’ovest del Canada. Inoltre, la riduzione di circa 6 milioni di dollari risultante dall’abrogazione del dazio federale sulle accise ha avuto un leggero impatto negativo, non compensato dagli aumenti di prezzo appositamente predisposti a compensazione.
    Il margine lordo è aumentato al 39% dal 37% dell’anno precedente, da 142 a 131 milioni in valore assoluto, grazie al programma di taglio dei costi pari a circa 9 milioni di dollari canadesi, ossia circa il 2.5% delle vendite, che hanno riguardato rinegoziazione delle tariffe di trasporto per le materie prime e la valutazione di fonti alternative per le bottiglie di vetro e altri componenti. Durante l’anno fiscale 2024, questi programmi hanno comportato un risparmio di costi di 9,3 milioni di dollari. L’utile netto è ancora sotto il punto il pareggio.
    Dal punto di vista finanziario, l’indebitamento resta stabile a 208 milioni di dollari dopo aver pagato dividendi per 10 milioni di dollari canadesi, stabili rispetto allo scorso anno e investito per 14 milioni di dollari, molto meno che nell’annata precedente (20 milioni).

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