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    Treasury Wine Estates – risultati 2024/25

    TWE chiude il 2025 un filo sotto le indicazioni che aveva fornito a febbraio (riducendole rispetto all’obiettivo originario), a causa di un secondo semestre dove ha innestato la retromarcia, soprattutto dal punto di vista dei volumi. Aveva inizialmente dato un obiettivo di 780-810 milioni di dollari australiani di utile netto, ha poi detto a febbraio 780 e ha finito a 770. Nonostante i risultati poco convincenti, l’azione in borsa ha reagito in modo leggermente positivo, con un leggero recupero, anche sostenuto dall’annuncio di un piano di riacquisto di azioni (200 milioni su 6.3 miliardi di valore… “l’importante è il pensiero”) ma anche dalla riconferma di una attesa di ulteriore crescita degli utili nel 2025.
    Resta ad ogni modo il risultato più elevato della storia di TWE, anche guardando alle vendite (+7% a 2.9 miliardi) e all’utile netto (+15% quello rettificato a 471 milioni), ovviamente ottenuto attraverso l’acquisizione in USA di DAOU, che secondo i nostri calcoli ha rappresentato praticamente tutta la crescita delle vendite, mentre a livello organico (-1%) la crescita di Penfolds (+7%) ha compensato la debolezza del portafoglio “non-luxury”.
    Proprio per questo motivo, TWE ha annunciato a 5 anni di distanza un nuovo cambio di modello divisionale (vedere tavola allegata al post), “tirando fuori” da TWE America il portafoglio luxury (1.9m di casse di vino) e mettendo il resto (4.4m di casse) insieme al TWE Premium Brands, che si rinominerà Treasury Collective. Questa divisione avrebbe generato nel 2025 16.5m di casse di vino sulle 21.3 totali e 1.13 miliardi di fatturato dei 2.9 totali. Ovviamente si tratta della divisione “non core” del gruppo, con tassi di crescita negativi, che un giorno o l’altro TWE cercherà di vendere.
    Passiamo a un breve commento dei dati (che sono tanti!).

    Le vendite crescono del 7% a 2.94 miliardi di dollari, nonostante un calo dei volumi del 3% a 21.3 milioni di casse.
    Penfolds cresce del 7% a 1.07 miliardi (ma cala del 6.5% nel secondo semestre) e genera un utile operativo di 477 milioni, +13% (-3% nel secondo semestre).
    La divisione americana è ovviamente sostenuta dall’acquisizione di DAOU. Senza di essa, le vendite sarebbero calate del 5% con un declino dei volumi del 6.6%. Ad ogni modo nel 2025 le vendite sono salite del 17% a 1.2 miliardi, con un secondo semestre a -3%, mentre l’utile operativo cresce del 34% a 309 milioni, con un movimento positivo anche nel secondo semestre (+12%).
    La divisione che va male è quella dei premium brands (che volevano vendere e non sono riusciti), dove le vendite calano dell’8% a 351 milioni e l’utile operativo scende del 27% a 55 milioni. Da notare che questa divisione “gira” ben 12 delle 21 milioni di casse vendute nell’anno da TWE.
    Dal punto di vista finanziario il debito è stabile a 1.25 miliardi di dollari (esclusi i lease) e la leva sta a 1.9 volte l’EBITDA, con un’attesa di restare su questi livelli dopo il pagamento dei dividendi e il riacquisto delle azioni.

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    Yantai Changyu Pioneer Wine – risultati 2024

    Yantai Changiu Pioneer Wine è, come ben sapete se leggete il blog, la principale azienda vinicola cinese. Sapete anche che il consumo di vino in Cina è da più parti stimato in calo. Facendo uno più uno si arriva a leggere questi dati: fatturato in calo del 25% a 3.3 miliardi di CNY (420 milioni di euro al cambio medio 2024, 390 al cambio attuale che si è svalutato), utile netto quasi dimezzato a 300 milioni di CNY (424 milioni di utile operativo) e ben lontano dal miliardo su cui viaggia poco prima del Covid, per non parlare dei 2 miliardi di 15 anni fa. D’altronde i volumi di vendita di vino dell’azienda sono calati da circa 1 milione di ettolitri medio di qualche anno fa al livello attuale di 570mila ettolitri.
    Le prospettive non sono rosee e i commenti sono piuttosto aspri: “l’ambiente di mercato è ostile senza segni immediati di miglioramento”. La domanda complessiva del mercato vinicolo cinese continua a essere debole, con una forte concorrenza da parte di bevande alcoliche come il Baijiu e la birra. Gli amministratori prevedono dunque per il 2025 un fatturato di 3.4 miliardi (quindi un leggero rimbalzo dopo il crollo del 2024) e un utile operativo di 400 milioni almeno, che si confronta con i 424 registrati nel 2024. Il titolo in borsa si è invece stabilizzato nell’ultimo anno, e resta su valutazioni molto elevati, circa 15 miliardi di CNY (al 25 luglio 2025) che al cambio attuale significano 1.8 miliardi di euro.
    Passiamo a discutere i principali dati.

    L’azienda ha generato 3.3 miliardi di CNY di fatturato, di cui 2.4 miliardi nel segmento vino, calato del 22% su volumi scesi del 12% a 576mila ettolitri (57.6mila tonnellate). L’altra principale attività, il brandy, è calato del 36% a 740 milioni di CNY.
    Dal punto di vista geografico, il calo è soprattutto in Cina, -29% a 2.7 miliardi, mentre le vendite estere sono a -6% nel 2024 (591 milioni).
    Dal punto di vista operativo, il segmento vino ha generato un margine lordo di 1.4 miliardi, pari al 57% del fatturato, il 75% del totale.
    L’utile operativo è calato da 739 a 424 milioni di euro, per un margine sceso al minimo storico del 13% (era il 40% nel 2012), mentre l’utile netto scende da 532 a 305 milioni di CNY.
    Dal punto di vista finanziario, dopo anni di generazione di cassa, il 2024 ha visto la cassa netta scendere da 1.7 a 1.5 miliardi di CNY, nonostante Changiu abbia minimizzato gli investimenti (100 milioni di CNY, nessuna acquisizione) ma dopo aver pagato 340 milioni di CNY di dividendi agli azionisti (che diventeranno 280 nel 2025 dopo il calo degli utili).

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    Constellation Brands – risultati primo trimestre 2025

    Per capire bene questi numeri di Constellation Brands bisogna andare indietro a rileggersi l’ultimo post, in cui raccontavamo della pesante riduzione di perimetro prevista per il 2025, dopo la vendite di numerosi brand a The Wine Group (link) e la dismissione di Svedka (vodka), che porterà la divisione vini e spiriti a 800 milioni di dollari vendite annue e zero utile operativo. È così molto chiaro come mai le vendite di vino siano scese a 281 milioni di dollari americani da 389 nel primo trimestre e l’utile operativo sia passato da 60 milioni a -6%.
    Nel comunicare questi dati, il management ha anche sostenuto che nel nuovo e ridotto perimetro le vendite al dettaglio dei loro marchi non sono in realtà calati come l’8% segnato da tutto il portafoglio (ancora incluso per il trimestre) ma sono cresciute del 2%.
    Sebbene già era risaputo, non vanno bene nemmeno le vendite di birra in questo momento, essendo scese del 3%, con un impatto del 5% sugli utili della divisione. E, per dirla tutta, continua ad arrancare anche la fabbrica delle canne, da cui non è mai uscito un euro di utili. Alla fine, il management ha lasciato l’indicazione del profitto per azione 2025 invariata a 12.6-12.9 e si è messo a ricomprare azioni e pagare dividendi, che sta diventando la prerogativa di Constellation Brands, visto che di nuovi investimenti non conviene farne, vista l’incertezza di mercato.
    Passiamo a un breve commento dei dati.

    Constellation Brands ha chiuso il primo trimestre fiscale 2025/26 con 2.52 miliardi di dollari di vendite, -6% di cui -4% organico, e un calo degli utili del 10-11%.
    La divisione vino ha perso il 28% di fatturato da 389 milioni a 281 milioni, di cui -21% organico (!!!), andando addirittura sottozero con 6 milioni di perdita operativa.
    Le vendite al dettaglio del portafoglio sono scese in termini organici dell’8%, di cui +2% per i vini che resteranno nel perimetro. Mi immaginerei che tra marzo e maggio (periodo di questo trimestre) i marchi in vendita siano stati lasciati al loro destino e quindi è ovvio che l’attenzione sia andata su tutti gli altri… da vedere cosa succede quando sono da soli…
    Le attese dell’azienda sono state confermate per la divisione vino: -17/20% di fatturato e… -97/100% per l’utile operativo, ossia zero o poco più di zero (il 3% dell’utile operativo dello scorso anno è 10 milioni di dollari).
    Dal punto di vista finanziario, il debito (che non vede ancora l’incasso della dismissione dei vini, chiusa il 2 giugno) sale a 11.5 miliardi di dollari, un po’ più sia di fine febbraio che di maggio 2024, con una distribuzione agli azionisti di 488 milioni di dollari tra dividendi e riacquisti azionari (385 lo scorso anno) e un taglio degli investimenti a 196 milioni (375 milioni un anno fa).

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    Masi – risultati primo semestre 2025

    Masi chiude il primo semestre 2025 con ricavi in leggero calo (-3%) ma margini stabili, peraltro sui livelli molto bassi dello scorso anno. Due però sono le novità più importanti del gruppo: primo, l’investimento nel nuovo visitor center Monteleone 21 è finalmente terminato ed è stato aperto a maggio 2025. Secondo, l’azienda ha raggiunto (anche se non reso pubblico) un accordo di rifinanziamento del debito con le banche, che era stata la ragione per rimandare di una settimana la pubblicazione di questi dati.
    L’azienda è stata in questi ultimi 2-3 anni tra l’incudine e il martello, ossia con la necessità di terminare due importanti investimenti (uno produttivo e uno per il centro visitatori) e un contesto di mercato oggettivamente non semplice, soprattutto per il segmento per cui Masi è più conosciuta (vini rossi molto corposi). Lo sforzo per contenere la crescita del debito (32 milioni, contro i 34 di 12 mesi fa) è molto evidente nella gestione del capitale circolante, sceso di 9 milioni (sui 12 mesi, in parte grazie alla cessione pro-soluto di crediti) e dal mancato pagamento di dividendi.
    Le azioni di Masi sono quotate in Borsa a un valore di circa 4 euro (per circa 130 milioni di valore) e hanno reagito positivamente a questo annuncio, ma soltanto l’8% del capitale è nelle mani degli investitori borsistici. Infine, per quando riguarda il futuro, Masi anticipa un incremento delle vendite “high single digits” nel terzo trimestre anche se avvisa che sembra essere originato da un incremento delle scorte dei distributori e non da un migliore andamento del mercato sottostante. Non ci sono considerazioni sul nuovo centro visitatori ma ovviamente immaginiamo dal secondo semestre un impatto positivo e soprattutto un calo degli investimenti tale da ridurre anche il livello di debito.
    Bene passiamo a un commento più dettagliato dei numeri.

    Le vendite calano del 3% a 29 milioni nei 6 mesi con due dati che spiccano: il primo è il tracollo dell’Italia, -11% a 8.4 milioni (minori vendite Horeca menzionate), e il secondo meno comprensibile, è il calo dell’8% dei vini classici a 8 milioni, che a nostro avviso sono quelli con il minor prezzo e il maggior costo per l’azienda (i vini DOC per intenderci).
    Il cambio di mix delle vendite con più top wines (+3%) ha aiutato i margini che sono risaliti un pochino (67% il gross margin, dove stava nel 2019 per la prima volta da quel momento). L’EBITDA chiude a 3.9 milioni contro il 3.8 aggiustato dell’anno scorso, l’utile netto del semestre è in pareggio.
    Dal punto di vista finanziario, l’indebitamento scende da 34 a 32 milioni di euro, nonostante altri 3.6 milioni di investimenti (ben oltre gli ammortamenti di 2.2 milioni), grazie all’attenta gestione del circolante che ha generato ben 9 milioni di euro negli ultimi 12 mesi (assorbiti 2 milioni nel semestre in particolare, ma si tratta di un andamento stagionale), come dicevamo sopra.

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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2024

    Come ben sapete Laurent Perrier è la più profittevole, capitalizzata e performante tra le aziende quotate che si occupano di Champagne, ovviamente ad esclusione della portaerei di LVMH (di cui peraltro si continua a parlare di un possibile disimpegno). Eppure, il 2024 non è stato un buon anno nemmeno per LP, che ha sofferto il terzo calo consecutivo dei volumi (-6%, in linea con le spedizioni della denominazione per il periodo corrispondente (aprile2024-marzo2025). Dal picco di spedizioni di 12.3 milioni di bottiglie del 2021 siamo dunque scesi a 9.6 milioni nel 2024 (marzo 2025). La differenza di quest’anno è che il calo dei volumi non si accompagna a un miglioramento del prezzo-mix, che per la prima volta peggiora, con il peso dell’alta gamma che passa dal 44.6% al 42% dei volumi. Ne consegue un esercizio che vede un calo delle vendite del 7% (tutto concentrato in Europa), margini in decisa contrazione e debito in salita, anche per effetto del capitale circolante e dell’inizio di un piano di riacquisto di azioni. Ovviamente stiamo parlando di cali e “peggioramenti” che si confrontano gli anni d’oro post Covid. Se li confrontiamo con il pre-Covid 2019, il discorso cambia in modo radicale. Nel 2019 Laurent Perrier aveva un utile netto di 41 milioni, contro i 76 di oggi, e un debito di 277 milioni, contro i 216 (pre-IFRS16) di oggi.
    Le azioni di Laurent Perrier quotano circa il 18% sotto il prezzo di un anno fa nel momento in cui scrivo (5 luglio) e sono scese del 7% da inizio anno. Un risultato simile a Lanson BCC, di cui abbiamo recentemente analizzato i dati, e allineato a Vranken Pommery, di cui leggerete nei prossimi giorni.
    Passiamo a commentare i dati con grafici e tabelle.

    Le vendite annuali calano del 7% a 283 milioni, combinando un -17% nel primo semestre e un +4% nel secondo semestre (151 milioni). Il calo è concentrato nel resto d’Europa (-15%, 123 milioni), mentre la Francia cala soltanto del 3% e il resto del mondo è invece addirittura cresciuto del 2% a 105 milioni. La dinamica del secondo semestre nonostante la comparazione più facile vede sempre l’Europa perdere l’8%, mentre la Francia rimbalza del 16% e il resto del mondo accelera a +26%.
    I margini sono sotto pressione. Il margine sul costo del venduto scende dal 63% al 60% e nonostante il taglio dei costi operativi del 3-4%, l’utile operativo cala del 21% a 76 milioni per un margine che scende dal record storico del 2023 del 32% al 27% del 2024. Con oneri finanziari in leggera crescita e una tassazione stabile al 25% dell’utile pre-tasse l’utile passa da 64 a 48 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario, il debito sale da 187 a 216 milioni dopo aver pagato 12 milioni di dividendi e aver ricomprato azioni per 6 milioni di euro. Quindi, dopo queste “uscite volontarie” l’anno si chiude con un deficit di 10-11 milioni di euro, essenzialmente guidato dal capitale circolante (in particolare il magazzino in salita di 35 milioni di euro).

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    LVMH – risultati primo semestre 2025

    I risultati del primo semestre 2025 della divisione vino e spiriti di LVMH mostrano ancora un calo sia delle vendite (-8%) che, soprattutto, dei margini di profitto (dal 27% al 20%, dopo aver toccato il 35% nel 2022). In questa generale “negatività”, ci sono però alcuni segnali di stabilizzazione soprattutto nel segmento dei vini e dello Champagne, dove i volumi sono quasi stabili (-1.5% per lo Champagne) o in leggera crescita (+2% per gli altri vini) e le vendite non sono calate, pur subendo un calo dei margini. Dove le cose sono ancora molto complicate è nella parte del Cognac e degli spiriti, dove il fatturato cala ancora a un ritmo del 15% con volumi in discesa tra il 6% e il 9%. I commenti del management di LVMH sono stati invece piuttosto speranzosi, facendo riferimento per il settore del lusso nel suo complesso a un potenziale miglioramento di qui in avanti dopo un periodo di forte contrazione. Come sempre LVMH non fornisce indicazioni quantitative dei suoi obiettivi futuri.
    Passiamo a un commento dei dati in dettaglio.

    La divisione vino e spiriti chiude il primo semestre 2025 con un fatturato di 2.59 miliardi di euro, -8%, di cui 1.19 miliardi di euro sono di Cognac e spiriti (-16%) e 1.4 miliardi di euro sono di Champagne e vini (+0.1%). L’impatto del cambio è stato negativo dell’1% e i volumi venduti sono stati nel complesso in calo del 4%, indicando quindi un “prezzo-mix” negativo del 3%.
    I volumi di Champagne nel semestre sono calati dell’1.5% a 25.2 milioni di bottiglie, mentre quelli degli altri vini crescono del 2% a 31.8 milioni, per un totale della divisione di 57 milioni e dunque un prezzo medio di 24.5 euro per bottiglia, stabile sull’anno precedente, quando invece per il Cognac si verifica ancora un calo dell’8%.
    Se il fatturato del vino tiene, i margini sono ancora in discesa, presumibilmente per il cambio di mix dallo Champagne ai vini. Nel semestre, l’utile operativo scende dal 25% al 19% per questa parte, ossia da 351 a 261 milioni di euro. Un calo ancora più marcato si verifica per il Cognac, il che porta il totale della divisione da 777 a 524 milioni di euro, -33%.
    Dal punto di vista finanziario, LVMH ha reagito con un deciso taglio degli investimenti, scesi a 115 milioni di euro, comunque il 5% del fatturato, mentre continuano a salire le giacenze di prodotti, arrivate a 8.4 miliardi di euro da 8.2 di fine anno.
    Vi lascio alle tabelle e ai grafici,

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    Purcari Wines – analisi di bilancio 2024 e OPA

    Appena trovata Purcari Wines, una nuova azienda vinicola quotata… e viene ora probabilmente de-listata dalla borsa rumena in seguito a un’OPA lanciata da Maspex, un gruppo polacco attivo nel segmento alimentare. Tempo buttato a costruire il modello…
    Il prezzo a cui viene proposta l’acquisizione è di 21RON (vedere grafico qui sopra, prezzo mai raggiunto dalle azioni), che corrispondono a un valore totale di 840 milioni di RON e a un valore di impresa di 1.03 miliardi di RON (che diviso 5 fa circa 200 milioni di euro). Se consideriamo le attese degli analisti per il 2025 di Purcari (piuttosto aggressive visto l’andamento molto poco convincente che commenteremo di seguito – 470 milioni di RON di vendite 131 milioni di EBITDA e 63 milioni di utile netto), l’acquisizione proposta è a un multiplo di 2.2 volte le vendite, 8 volte l’EBITDA e 13 volte gli utili.
    Tornando ai dati del 2024, diciamo che sono stati molto lontani dagli obiettivi di crescita che avevano previsto. Avevano cominciato indicando +16/20%, poi a maggio dicevano +12/15%, ad agosto 5-10% e hanno finito a +3.7%. Hanno invece centrato in pieno l’obiettivo di margine, 26-28% e hanno chiuso a 28.1%, ma sotto l’EBITDA sono raddoppiati gli oneri finanziari, crescono gli ammortamenti e alla fine (anche per colpa di alcuni proventi non ricorrenti dello scorso anno) si arriva a un utile netto di 54 milioni di RON contro i 60 dell’anno precedente. Infine, il capitale circolante cresce e con gli investimenti ha portato il debito a 1.8 volte l’EBITDA da 1.4 dell’anno precedente.
    Passiamo ad analizzare qualche dato insieme.

    Le vendite di 382 milioni di RON (dividere per 5 per avere euro) crescono del 3.7% grazie alla crescita del 15% in Romania e dell’8% in Moldavia, mentre gli altri mercati e le attività minori sono in calo del 18%.
    Il margine lordo è in forte progresso, dal 41% al 48% delle vendite, già al livello previsto a piano per il 2027 (48-51%) ma viene mangiato quasi completamente dall’aumento di oltre il 30% dei costi operativi, tra cui sottolineerei il marketing, per cui si arriva a un EBITDA del 28% contro il 27% dell’anno scorso, comunque nell’intorno delle indicazioni sull’anno. Come dicevo sopra poi ci sono oneri finanziari in crescita (da 3.2 a 7.2), le tasse che raddoppiano (da 7 a 14 milioni) e quindi il progresso operativo si perde per arrivare a un utile netto di 54 milioni di RON contro 60 dell’anno scorso.
    A livello finanziario il debito netto passa da 138 a 195 milioni di RON, con oltre 50 milioni di RON di assorbimento di circolante (che è tanto), altri 57 milioni di investimenti (che sono tanti considerato che gli ammortamenti sono la metà, 29), 14 milioni di acquisizioni e dulcis in fundo 26 milioni di RON di dividendi, contro i 22 pagati lo scorso anno.
    Il primo trimestre ha visto una accelerazione delle vendite a +12%, ma una diluizione del margine EBITDA dal 28.3% al 26.2% e un utile netto calato da 11 a 9 milioni di RON. Ma a questo punto, poco importa, visto che l’azienda sarà molto probabilmente comperata, e sarà un problema dei nuovi proprietari.

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    Chapel Down – risultati 2024

    Se oggi parliamo di Chapel Down, il leader della produzione di spumanti inglesi, è perché la revisione strategica di qualche mese fa che avrebbe dovuto portare alla revoca della quotazione dalla borsa inglese non ha avuto successo. Detto in altre parole: nessuno se l’è comprata e quindi si va avanti con i soldi che ci sono cercando di tirare la cinghia perché la combinazione di investimenti in nuove vigne (122 acri nel 2024 per arrivare a oltre 1000) e l’incremento del vino in invecchiamento sta portando il debito su livelli più elevati del budget.
    Ad aggravare la situazione ci troviamo a commentare un bilancio 2024 che alla cieca mai si attribuirebbe a un’azienda con una prospettiva così brillante (obiettivo: 1% del mercato dello Champagne nel 2025, ossia 3 milioni di bottiglie): le vendite sono calate del 5%, l’EBITDA si è più che dimezzato, l’utile operativo è in pareggio e si è passati da un leggero utile a una leggera perdita.
    Il titolo ha sofferto nell’ultimo anno (-35%) pur riprendendosi un po’ nel 2025. Il valore di borsa è di circa 80 milioni di sterline. Le prospettive per l’anno non sono state comunicate, anche se si parla di una buona partenza d’anno.
    Passiamo a un’analisi più dettagliata dei numeri.

    Le vendite calano del 5% a 16.3 milioni di sterline, di cui il 2% dovuto all’uscita dal segmento degli spiriti (e un pezzettino anche dovuto al fatto che gli inglesi avevano beuto tanto per l’incoronazione di re Carlo nel 2023!!!). Chapel Down specifica che i dati sono molto migliorati nel quarto trimestre, che ha segnato un +10%. La principale ragione del calo (anche dei margini che vediamo dopo) è il forte calo della distribuzione (offtrade) che ha ridotto le scorte, -20% a 6.8 milioni, mentre le vendite nel canale ontrade (bar e ristoranti) sono cresciute del 16%, così come le vendite dirette e l’ecommerce (+13%), con le due categorie a rappresentare una buona metà del fatturato.
    I margini sono in calo, anche escludendo il milione di sterline speso nella review strategica. Tra le altre ragioni, spicca un maggior peso di vini fermi nel mix di vendite, dovuta all’eccezionale volume del raccolto del 2023, insieme al fatto che nel 2024 sono stati venduti prodotti del 2022 che avevano un costo unitario molto elevato. Alla fine, il margine lordo scende dal 52% al 48%, l’EBITDA dal 32% al 15% delle vendite (con dentro costi straordinari e i costi di marketing che continuano a crescere), l’EBIT come dicevamo va a 0 e la perdita netta è di 1 milione.
    Dal punto di vista finanziario, gli stock di vino salgono di 4 milioni, viene perso un altro milione nel capitale circolante, e con gli investimenti in nuove vigne (2.5 milioni), il debito sale da 1 milione a 9 milioni di sterline, cui se ne aggiungono altri 10 di affitti IFRS16. Proprio questo incremento di 8 milioni del debito è il problema di Chapel Down, visto che può contare su linee di credito piuttosto limitate (20 milioni) e quindi bisogna invertire il trend.

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