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    Italian Wine Brands – risultati primo semestre 2020

    Italian Wine Brands ha registrato risultati esplosivi nel corso del primo semestre 2020, frutto del posizionamento “perfetto” del gruppo nel contesto della crisi COVID (vendite a distanza e nella grande distribuzione) e del lavoro portato avanti negli ultimi anni per ridurre i costi. Alla crescita delle vendite del 32% (92 milioni) ha anche contribuito l’acquisizione di Raphael Dal Bo, di cui abbiamo parlato a luglio commentando i dati 2019, che con la sua esposizione sul mercato del prosecco in Svizzera ha fatto diventare questo mercato il principale sbocco all’estero insieme alla Germania. Con i costi operativi che si sono mossi coerentemente con le vendite (ricordiamo che IWB opera principalmente acquistando materie prime, quindi senza attività agricole), salvo che per il costo del personale, il MOL è cresciuto di quasi il 50%, l’utile operativo del 65% e l’utile netto dell’87%. La posizione finanziaria netta è a debito per circa 9 milioni, rispetto alla parità di fine anno, ma vanno considerati sia l’acquisizione di RDB (12 milioni), che la stagionalità dell’attività, che tende a generare cassa nella seconda parte dell’anno. Le azioni di IWB ne hanno beneficiato di conseguenza. Con un prezzo di oltre 18 euro e un valore di mercato di quasi 140 milioni di euro sono cresciute del 40% rispetto a inizio anno. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite crescono del 32% a 92 milioni di euro, con un incremento del 36% per la parte di vendita all’ingrosso (che beneficia dell’acquisizione) e un +27% per le vendite dirette ai consumatori. Entrambe le divisioni hanno beneficiato della crisi del COVID: le vendite B2C che negli ultimi anni erano in calo strutturale causa l’esposizione ai canali mailing e teleselling, sono cresciute del 27% a 41 milioni, tornando di fatto al livello del 2015, con il mercato italiano a +21% e un risultato particolarmente forte nel mercato inglese, come vedete dalla tabella. Nel B2B, la Svizzera si rafforza come primo mercato, passando da 11 a 19 milioni, di cui oltre 5 grazie all’acquisizione, ma sono positivi anche molti altri mercati (Austria +20%, Germania +52%), salvo l’Inghilterra.
    I principali costi variabili (acquisti e servizi) sono in crescita simile alle vendite, mentre il costo del personale sale solo del 9% e insieme agli ammortamenti (poco rilevanti) consentono al gruppo di salire da 5 a 8 milioni di utile operativo, con un margine che dal 7% passa al 9%. L’utile netto beneficia poi di oneri finanziari stabili e di un leggero calo (dal 27% al 25%) dell’aliquota fiscale, passando da 3.1 a 5.8 milioni di euro.
    L’indebitamento è stabile anno su anno a 10 milioni, e cresce di 10 milioni rispetto alla posizione neutra del 31/12, ma bisogna considerare l’acquisizione (12-13 milioni), il forte incremento stagionale del capitale circolante (7 milioni, contro 10 del primo semestre 2019). Hanno contribuito al miglioramento le vendite nette di azioni proprie di 1.5 milioni di euro (in parte per finanziare l’acquisizione), mentre i dividendi di 0.8 milioni sono stati inferiori a quelli pagati nel 2019.
    L’acquisizione di RDB e la situazione COVID sono destinate a persistere nel secondo semestre. Nonostante una visione prudenziale nella relazione degli amministratori, c’è da aspettarsi un bilancio 2020 record per l’azienda.
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Advini – risultati primo semestre 2020

    Advini ha chiuso il primo semestre con un bilancio in pareggio e un calo del 7% del fatturato. Possiamo dunque dire che le cose non siano andate troppo male, grazie alla forte esposizione del gruppo alla distribuzione rispetto alla ristorazione, dove peraltro si è incentrata la strategia di crescita degli ultimi anni. Il punto forte di questi numeri è nella generazione di cassa: Advini è riuscita a mantenere il livello di debito che aveva a fine anno, e dunque il confronto con giugno 2019 è molto favorevole. Il punto debole è invece nel calo pesante dei propri marchi che erano quasi arrivati al 40% del fatturato e sono ora ricrollati a circa un terzo. Da questo dato si comprende molto bene come sia andata l’attività dei vini di alta gamma, per loro natura più rivolti verso la ristorazione. Il messaggio del management resta positivo: visti i dati di “uscita” dal semestre (giugno e luglio), l’attesa è di migliorare nel secondo semestre. Ma di obiettivi non ne vengono forniti. Passiamo ai numeri.

    Il fatturato del primo semestre cala del 7% a 122 milioni di euro. L’azienda non fornisce un quadro chiaro delle vendite per mercato (pur lamentandosi dei dazi introdotti da Trump per i vini francesi).
    Fornisce invece la quota di fatturato con i marchi propri rispetto ai marchi di terzi. Il bilanciamento passa da 39/61 a 32/68. Questo significa che i marchi propri sono calati da 51 a 39 milioni di euro (-24%) a vantaggio delle private label che invece sono cresciute da 80 a 83 milioni di euro (+4%).
    Nonostante questo il margine industrial non è calato molto, dal 38% al 37%. Scende invece di più il margine operativo lordo (dal 6.4% al 4.6%), per via dell’incidenza maggiore dei costi fissi commerciali e generali. In valore assoluto la contrazione è del 23% a 5.6 milioni di euro.
    Con l’incremento degli ammortamenti, l’utile operativo è in pareggio e in fondo al bilancio il dato è anch’esso leggermente negativo.
    Meglio vanno le cose dal punto di vista della cassa. L’azienda ha un debito di 142 milioni di euro, contro 174 milioni di euro a fine giugno 2019 e 145 milioni di euro a fine anno 2019 (ma il fine è strutturalmente un buon momento per prendere la misura del debito). Contribuiscono a questo risultato una generazione di cassa di 5 milioni di euro, l’assenza di pagamenti di tasse, ma soprattutto circa 2.5 milioni di euro di calo del capitale circolante. Nella parte di investimenti, sono stati ceduti attivi per 1 milione di euro.
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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2019

    Con la chiusura a marzo 2020, Laurent Perrier è stata marginalmente lambita dalla crisi COVID. I numeri che sono stati presentati sono comunque positivi e seguono la linea degli ultimi anni, e cioè: incremento del prezzo-mix (+4.5% nell’anno) a discapito dei volumi (-6%) con lo spostamento sulle cuvee speciali (41% delle vendite), internazionalizzazione del business (Francia sotto il 20%) e mantenimento di una struttura finanziaria molto solida (valore del magazzino doppio rispetto all’indebitamento finanziario). Gli utili sono rimasti pressochè stabili a fronte del leggero calo delle vendite e dell’incremento degli ammortamenti, ma la generazione di cassa è migliorata e ha consentito sia di aumentare i dividendi (sempre molto pochi peraltro) e di ridurre il debito. Possiamo dunque dire che Laurent Perrier si presenta in piena forma pronta per superare la prova COVID. Passiamo ai numeri.

    Le vendite calano dell’1% a 231 milioni, a fronte di un calo dell’11% in Francia (complice anche la riduzione strutturale del business all’ingrosso), di vendite stabili in Europa (101 milioni) e di un incremento del 9% nel resto del mondo, che resta il vero motore di crescita del gruppo. In termini di volumi, le vendite sono scese da 11.8 a 11.1 milioni, -6%, compensato da un quasi corrispondente incremento del prezzo mix (+4.5%).
    L’incremento dei prodotti speciali (dal 40.9% al 41.2% del totale) e lo spostamento verso nuovi mercati aiuta il margine industriale, che sale di 1 punto dal 49.8% al 50.8%, ma ovviamente determina maggiori costi operativi sia commerciali che generali, oltre che richiedere maggiori investimenti. Così, la metà di questo 1 punto di beneficio si perde a livello di EBITDA e la quasi totalità a livello di utile operativo, che passa dal 17.6% al 17.8% delle vendite ed è stabile in valore assoluto a 41 milioni di euro. Nessuna novità su tasse e oneri finanziari, talchè si scende con un utile netto prossimo a 28 milioni di euro, +3%.
    La generazione di cassa è cresciuta del 4% a 32 milioni di euro, che sono andati a coprire l’aumento del circolante per 16 milioni (principalmente magazzino, quindi si tratta di una specie di “investimento”), agli investimenti per 3 milioni (una tregua dopo i forti investimenti degli ultimi 5 anni, mediamente erano 10-11 milioni) e ai dividendi per 7 (erano 6 l’anno scorso). Più o meno la differenza tra queste voci corrisponde al miglioramento di 6 milioni dei debiti, da 283 a 277 milioni (abbiamo tolto dal numero ufficiale l’impatto falso di IFRS16).
    Poco, molto poco, si dice come sempre sulle prospettive, salvo che non ci sono problemi di liquidità e non ci sono problemi nelle operazioni del gruppo. Staremo a vedere, sicuramente le altre aziende della Champagne sembrano essere più vulnerabili.
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    Concha y Toro – risultati primo semestre 2020

    I numeri del primo semestre 2020 annunciati a fine luglio da Concha y Toro sono stati fragorosamente positivi, soprattutto letti alla luce della crisi che stiamo attraversando. Questo ci consente di fare una considerazione generale: non si è bevuto meno vino, si è bevuto in modo diverso e comperando in altri posti. Chi è nel […] LEGGI TUTTO

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    Yantai Changyu Pioneer Wine – risultati 2019

    Le notizie provenienti dalla Cina circa le difficoltà nella produzione di vino e di un mercato domestico non più così positivo sembrano molto ben riflesse nei dati di Changyu Pioneer Wine, di cui presento quello che sono riuscito a mettere insieme leggendo il bilancio cinese (in inglese, ma sempre un bilancio cinese). I volumi di vendite di vino nel 2019 sono in calo (e non di poco, -15%), vendite sono in leggera discesa (grazie alla crescita del brandy e del prezzo mix), i margini industriali un tempo molto elevati restano su livelli più moderati e l’azienda genera meno cassa del passato, nonostante abbia decisamente tagliato gli investimenti (dopo la scorpacciata degli ultimi anni). Naturalment resta un’azienda estremamente profittevole, con circa 650 milioni di vendite, 115 milioni di euro di utile netto e una cassa di quasi 100 milioni da investire. Ma come vedete anche dai grafici allegati, che dicono più di mille parole, non sta andando nella direzione auspicata. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Changyu Pioneer Wine ha realizzato 5 miliardi di yuan di vendite nel 2019, di cui il 76% nel vino (in calo del 4%) e il 21% nel brandy (in crescita del 7%). Queste due componenti combinate a una quota marginale di altre vendite messe insieme fanno il calo di cui dicevamo sopra del 2% a livello consolidato. Il calo sembrerebbe principalmente legato al -16% realizzato nei mercati esteri, mentre la componente domestica che vale poco meno del 90% è rimasta stabile.
    I volumi sono la ragione principale dell’andamento del fatturato: la produzione di vino cala del 15% a 96mila tonnellate (lo converto con qualche patema d’animo in circa 1 milione di ettolitri), mentre quella di brandy è stabile a 39mila.
    Il margine industriale cala al 62.5% dal 63% dello scorso anno soprattutto per il cambiamento di mix delle vendite verso il brandy, dove i margini sono leggermente sotto il 60% rispetto al 63.5% del segmento vino.
    Non sappiamo molto altro di questo bilancio salvo l’utile netto di 892 milioni di yuan, 115 milioni di euro, in calo dell’8% sull’anno scorso e sul cash flow, -14% a 838 milioni di yuan. Non riusciamo a ricostruire il cash flow, ma è evidente il calo degli investimenti, da 500 a 200 milioni di yuan (dal 10% al 4% del fatturato), ma dopo i colossali investimenti per costruire la famosa città del vino. L’azienda ha infatti investito tra il 2012 e il 2017 quasi 6 miliardi yuan in tutto.
    Vi lascio ai numeri e alle tabelle, ricordandovi che il 17% di questa azienda è di proprietà di ILLVA, di proprietà a sua volta della famiglia Reina, il cui leader Augusto è mancato recentemente. Un grande imprenditore.
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    Masi – risultati primo semestre 2020

    I conti del primo semestre di Masi mostrano chiaramente l’impatto del COVID sul segmento alto del vino, più esposto al canale della ristorazione. Le vendite che erano calate solo del 2% nel primo trimestre sono invece crollate del 47% nel secondo, per chiudere con un calo del 27% nel semestre. È evidente il “peggioramento” del mix delle vendite, visto lo scivolone dei “top wines” (Amarone e poche altre referenze) a vantaggio dei “classical wines”, cioè i vini base della gamma. Ma negli ultimi tempi Masi ha compiuto diversi passi importanti. Dal punto di vista dell’attività sono cambiati i distributori in Germania e Stati Uniti (Santa Margherita). Questi sono due mercati un po’ scoperti per Masi, perlomeno considerando quanto sono importanti per il settore in Italia. Masi ha poi lanciato l’ecommerce. Dal punto di vista dell’azionariato è finalmente terminata l’esperienza del private equity che ha venduto le proprie azioni ad altri investitori (qualche investitore di borsa e una quota del 5% alla finanziaria di Renzo Rosso). Le azioni in Borsa sono scivolate intanto al minimo storico di 2 euro circa, che valutano l’azienda poco più di 64 milioni di euro. Considerando il poco debito, si può certamente dire che la valutazione è oggi inferiore al combinato del valore delle terre e del vino in fase di invecchiamento in cantina… passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Le vendite calano del 27% nel primo semestre a 22 milioni di euro, con un -30% in Europa, -19% in Nord America e -48% nel resto del mondo (Asia principalmente).
    I margini tengono a livello industriale (dal 67% al 66.5%), ma si fanno poi sentire i costi fissi del personale e di struttura, che portano l’EBITDA a EUR1.8 milioni e l’utile operativo a poco meno del punto di pareggio.
    Con molti meno oneri finanziari del 2019, la perdita netta viene contenuta solo 0.6 milioni di euro.
    Le cose vanno decisamente meglio a livello finanziario. Con un miglioramento del capitale circolante di circa 1 milione di euro, la decisione di sospendere il dividendo e il contenimento degli investimenti (Masi sta predisponendo una nuova sede e visitor center in Valpolicella), il debito cresce solo di 0.6 milioni rispetto a fine anno euro a 9.3 milioni, ed è addirittura più basso del giugno 2019 (10 milioni). Per proteggersi dal potenziale ulteriore calo dell’attività nei prossimi mesi (anche se l’Italia a luglio è girata in positivo), Masi ha predisposto nuovi prestiti per 12 milioni di euro che hanno ulteriormente rafforzato la già sana struttura finanziaria.
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    Treasury Wine Estates – risultati 2019/20

    TWE ha la fortuna di chiudere l’anno a giugno e quindi i numeri che presentiamo oggi non danno l’idea dell’impatto del virus sui conti, nonostante la forte esposizione dell’azienda alla Cina: le vendite sono calate “solo” del 6% e l’utile operativo del 23% con volumi a -8%. Se però restringiamo il confronto al solo secondo semestre dell’anno ci accorgiamo di una realtà ben diversa, fatta di un -16% di fatturato (che comunque non è così drammatico) ma un -59% in termini di utile operativo. Nelle due aree più importanti per il gruppo, Asia e America, TWE ha subito un calo degli utili di oltre il 50% nel semestre gennaio-giugno (il secondo per loro). In America ha però subito il “de-stocking” dei distributori, quindi ha venduto di meno di quanto hanno venduto a loro volta i loro clienti (per circa il 7%), mentre in Cina dopo cali del 50% e più in febbraio-marzo, l’attività è migliorata per chiudere con un +40% in giugno sull’anno scorso. Forte di una struttura finanziaria stabile e di un rapporto debito/EBITDA di poco superiore a 1x, TWE non cambia strategia, anzi rilancia: sta comperando vigneti in Europa (Francia, per ora) per arricchire la sua offerta di vini di “lusso” sotto il marchio Penfolds. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite 2019/20 sono scese del 6% a 2.65miliardi di dollari australiani, con un contributo positivo dei cambi del 3% circa. Il calo a cambi costanti sarebbe dunque stato del 9%, sostanzialmente dovuto al -9% dei volumi venduti, passati da 35 a 32 milioni di casse.
    Se restringiamo al secondo semestre, il calo delle vendite è del 16%.
    L’anticipo del COVID in Asia ha fatto sì che questa sia la regione più impattata del gruppo, con un calo del 29% dei volumi (-41% secondo semestre) e del 18% delle vendite (-41%). L’Americ è calata del 6% nell’anno e del 14% nel secondo semestre, causa calo dei volumi anche legati al processo di cui dicevamo sopra.
    L’utile operativo cambia un po’ dall’anno scorso causa l’implementazione del principio contabile IFRS16 che aumenta del 2-3% gli utili, distorcendo l’analisi del bilancio (suggerisco ai promotori di rimanere nell’ombra per evitare il linciaggio). Comunque, l’utile operativo cala del 23% a 492 milioni nell’anno e del 59% a 128 milioni nel solo secondo semestre. Asia e America sono le due divisioni più colpite, con un calo dell’utile operativo del 17% e 33% rispettivamente (51% e 54% nel solo secondo semestre), mentre hanno subito cali meno pesanti il mercato locale (-15% nell’anno) e l’Europa (addirittura stabile nell’anno, -21% nel secondo semestre, ma conta poco).
    Il debito finanziario (escluso quindi quello falso di IFRS16) rimane quasi stabile a 736 milioni di dollari, il che si confronta con circa 700 milioni di EBITDA, con una posizione finanziaria molto solida. Nell’anno TWE ha investito 190 milioni (160 nel 2018/19), ha venduto attività per 100 milioni (102 l’anno prima) e ha pagato dividendi per 276 milioni, contro 245 dell’anno precedente.
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    LVMH – risultati primo semestre 2020

    Con un calo del 20% delle vendite e del 23% dell’utile operativo nei primi 6 mesi del 2020, la divisione wine&spirits di LVMH è passata da essere il fanalino di coda del gruppo alla parte più resistente alla crisi. Infatti, l’interruzione dei flussi turistici ha avuto un impatto ben più devastante sulle altre divisioni di quanto non abbia avuto lo stop di bar e ristoranti per i vini, Champagne e Cognac del gruppo. Giusto per fare qualche esempio, i beni di lusso sono giù del 46% come utile operativo (parliamo di Louis Vuitton, Balenciaga, Loro Piana e via dicendo), i profumi e cosmetici, ma anche gli orologi e la gioielleria (Bulgari, Tag Heuer, Hublot) sono passati direttamente a una perdita operativa, il retail (Sephora e DFS negli aeroporti) sono in profondo rosso. Ovviamente non c’è da rallegrarsi, anche se la distribuzione globale di LVMH, con un rapido spostamento dall’Asia al Nord America delle vendite ha aiutato. In tutto questo, cognac meglio di Champagne, soprattutto dal punto di vista dei margini. Passiamo ai numeri.

    Le vendite di vino e champagne sono calate del 21% nel primo semestre 2020 a 755 milioni, a fronte di un calo del 30% dei volumi di Champagne (17 milioni di bottiglie) ma di un incremento dei volumi di vendita degli altri vini del 20% a 18 milioni di bottiglie, anche grazie alle acquisizioni di Château d’Esclans e di Château du Galoupet.
    Se mettiamo i due gruppi insieme, arriviamo a circa 36 milioni di bottiglie, -11% con un calo del prezzo medio di vendita del 10% circa.
    La divisione Cognac e spirits ha fatto leggermente meglio sul fatturato (-19% a 1230), ma la differenza tra le due sottodivisioni emerge quando si guarda all’utile operativo. Champagne e vini passano da 214 a 103 milioni di euro, quindi dal 22% al 14% di margine operativo, il cognac incredibilmente tiene sul margine al 36-37% e vede un calo degli utili quindi molto simili al calo del fatturato.
    Come sapete il primo semestre conta meno del secondo nel settore del vino e quindi sarà importante vedere come si esce dalla crisi. La strategia chiaramente non cambia, i prezzi non si tagliano ma semmai si aumentano per cercare di compensare la perdita di volumi, perchè poco di quello che produce LVMH “va a male” e anche dal punto di vista finanziario il gruppo ha la forza di supportare gli investimenti (+38% nel primo semestre a 155 milioni) e il capitale investito (calato da 16 miliardi a 14 miliardi per via della svalutazione di alcuni marchi).
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