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Dal Valpolicella di Hemingway all’Amarone

C’è una Valpolicella diversa, e intendo diversa dal mainstream dell’Amarone mangia e bevi, dei vini caricati e caricaturali, dell’opulenza a tutti i costi, dei vini fatti per vendere, costi quel che costi. C’è una Valpolicella che Mario Soldati andò cercando circa cinquant’anni fa (era il ’68), ispirato dalle sue letture di Hemingway. Nel libro “Di là dal fiume e tra gli alberi” faceva bere al suo personaggio, ripetutamente e con gusto, un vino della Valpolicella che descriveva come amarognolo e leggero, appena abboccato, con tanto sale, e una traccia vinosa. Ma già a quel tempo, nel suo peregrinare e assaggiare, il Soldati non trovò quel che cercava, a meno di accontentarsi delle buone somiglianze riscontrate nei vini di Quintarelli. E va tenuto conto che già allora la Valpolicella contava centinaia di cantine, a conferma del suo essere a pieno titolo una delle denominazioni italiane più storiche, insieme a Chianti e Soave.

Ma già all’epoca di Soldati la tipologia Amarone era ben delineata, concepita nel 1933 per una sorta di fortuito errore. Fu una rifermentazione non voluta del Recioto a portarlo a secco, accrescendolo in gradazione. Il risultato fu di carattere pienamente amaricante, non più edulcorato dal residuo zuccherino e ricco in alcol, così fu facile (e forse poco fantasioso) dargli il nome di Amarone. La prima commercializzazione fu nel 1939, dopo 6 anni di paziente affinamento, necessario a smussarne la potenza e ad amalgamarla con una materia ricca e complessa.

L’Amarone, oggi simbolo e nome trainante della Valpolicella, è figlio come detto del Recioto, vino prezioso, considerato al pari di dote familiare per le occasioni importanti, realizzato solo quando le annate lo consentivano. Significa che veniva prodotto solo 2 o 3 volte in un decennio, selezionando solo le “ali” dei grappoli (le ‘recie), ovvero le parti laterali più spargole che arrivavano meglio a maturazione e consentivano un appassimento con minori rischi di muffe.

Dai primordi fino ad oggi tutto il processo si è affinato, a partire dal metodo di raccolta, con selezioni scalari, da settembre ad ottobre, prelevando solo i grappoli giusti da appassire, spargoli, maturi ed integri, per evitare marciumi e muffe. Le uve vengono depositate subito in cassette e disposte su graticci in fruttaio, dove per almeno un mese appassiscono, in maniera naturale o forzata a seconda delle scelte aziendali. La fine dell’appassimento è oggi determinata più dai dati analitici delle uve piuttosto che dalle date della tradizione.  Quello che sorprende oggi, e firma un contradditorio col passato, è il fatto che circa metà della produzione di vigna della Valpolicella è oggi destinata all’Amarone,  La mallolattica viene spesso innescata durante la ferm alcolica. Alcuni non la svolgono proprio. Anche la fermentazione viene chiusa spesso con lieviti selezionati per alte gradazioni. Circa metà produzione di vigna è destinata agli Amarone, che in origine, come detto, era invece un vino prodotto solo in annate particolari, ed in quantità esigue. Scissione netta con la tradizione quindi, in nome di un obiettivo concreto: il mercato, che specie oltreoceano identifica questa zona con il suo vino più opulento. Ma per il vero, come appurabile da ogni bevitore avveduto e appassionato, le tecniche di appassimento sminuiscono i caratteri precipui di uve e territorio, sacrificandoli e appiattendoli, concedendo più enfasi alla tecnica che alla materia prima. E’ bene sottolineare il fatto che la fama internazionale dell’Amarone (il 70% va all’estero) può essere un bene per il territorio, che si vede riconosciuto e valorizzato, anche economicamente. Ma è altresì vero che la zona rischia di perdere le sue differenze interne, la sua tradizione originaria, la sua vocazione genuina al vino quotidiano e serbevole, quale era il Valpolicella ai tempi di Hemingway. Ma ci sono ancora avamposti enoici in grado di preservare questa anima primordiale del territorio, declinando le uve in golosissimi vini. Alcuni di questi sono stati selezionati da Francesco Falcone per una degustazione organizzata con ONAV Faenza, il cui scopo era mostrare la parte “leggera” della Valpolicella, e le espressioni più intriganti dell’Amarone, spaziando anche al di fuori dei nomi storici, aggiungendo nuove esperienze al bagaglio dei degustatori più curiosi.

I Valpolicella per la tavola

Novaia – Valpolicella Classico 2016. Vino di altura, dalla valle di Marano, la più montana e chiusa, ma ben esposta a sud. Vigneti in conduzione bio da molti anni, su terreni vulcanici (localmente detti toar) posti a 400 metri di quota. Nitido il naso su ricordi di ciliegia e lampone, freschissimo in bocca, sorso rilassato e scorrevole, dinamico e saporito, con tannino dolcissimo e appena un richiamo amaricante di nocciolo in chiusura. La semplicità al servizio del sorso più disimpegnato ma non privo di gusto.

Monte dall’Ora – Valpolicella Classico Saseti 2016. Quota e geografia diverse. 90 metri, pedecollina di San Pietro in Cariano, a Castelrotto. Solo uve vinificate fresche (non appassite), per un profilo leggermente erbaceo, inizialmente ridotto ma intriso di spezia. La maggiore quota di Corvinone porta note di pepe. Trainato da acidità di agrume e melograno, con chiusura amaricante, di resine e incenso, austero e pieno, con ricordo fumè.

Ettore Righetti – Valpolicella Classico Superiore Pavajo 2015. Versione che in contrapposizione col precedente vede invece un appassimento delle uve per 3 settimane, ipotesi di lavoro oggi molto frequente ma non sempre felice. Corvinone e corvina in quantità quasi eguali, con saldo dei vitigni minori.  Note di ciliegia matura, succo più scuro, accenno di pasticceria, si sente l’appassimento nei profumi, si avverte in bocca con una sensazione lievemente dolce, poi ricordi di buccia di mandorla, un velo di tannino, chiude amaricante e fresco, ma rotondo. L’approccio è più ammiccante, il vino è ricco, con spezie, more, pepe, calore e buon sale, e anche qui una traccia amaricante, che ne smorza le morbidezze.

Secondo Marco – Valpolicella Classico 2014. Dedica un intero vigneto al solo Valpolicella, fatto piuttosto raro in zona. Esegue una vendemmia verde e tiene solo i grappoli buoni. Colore più ossidativo, ma trasparente. Ancora ricordi da uve fresche, geranio, erbe aromatiche, basilico. Assaggio con grande succo, corre via nervoso, su ciliegia fresca. Maturazione in tonneau e botte grande, la trama che ottiene è bellissima, elegante e dritto, tipico di Fumane. Tornandoci si trovano lamponi e tratti di radice e fiore, con punta sanguigna da sanguinella, acidità viva e sapore duraturo.

Luca Fedrigo/L’Arco – Valpolicella Ripasso Classico Superiore 2012. Produttore poco noto in Italia, perché vende il 97 percento all’estero. Ma parliamo di un uomo che è stato per 12 anni cantiniere di Bepi Quintarelli, una gavetta piuttosto formante senza dubbio. Fedrigo propone una versione aggraziata del ripasso, versione del Valpolicella con l’uso del “governo alla toscana”, introducendo le vinacce svinate dal recioto o dall’amarone, con una parte di vino ancora non a fine fermentazione. Vino che cambia facilmente espressione, si svela ad ogni olfazione: amarena, spezia, balsamico, con tabacco e un cenno di pellame. Sorso goloso, con traccia tannica presente e accompagnata da scia sapida, bocca dinamica e con mordente, segnata da un tratto ossidativo (un ricordo di buccia di mela), ma ben articolata e senza eccessi alcolici, nonostante il corpo sia sostenuto. Naso contadino ma assolutamente non grossolano. Bella versione davvero.

Pillole di terroir: a Negrar, Cerè e Costa di Buso, si hanno i cru più importanti, che danno i vini più completi. A Marano invece è facile ottenere più freschezza. Fumane dona maggiore austerità.  

La Valpolicella Classica, si sviluppa a Ovest, fino alla Valdadige, e comprende i 5 comuni di Sant’Ambrogio, Fumane, Marano, Negrar e San Pietro in Cariano, per un complessivo di 3500 ettari. La Valpolicella allargata si dipana ad est, nel vicentino, conta meno storia produttiva e rimane più legata al talento delle singole aziende piuttosto che a una consolidata identità territoriale. Lì le vallate sono più aperte, i clivi più alti ed il clima più freddo, non mitigato dal Garda. Inoltre i terreni sono maggiormente ricchi di calcare e di origine alluvionale nelle zone più basse. Tornando ad ovest, invece, nella zona Classica, troviamo toar (o tufo) e basalto, calcare o pietra di Prun, e una fascia pedecollinare principalmente ghiaiosa, e qui il clima è mitigato dalle correnti d’aria prodotte dal Garda e dall’influsso del fiume Adige.

La Valpolicella è complessivamente larga 45 km, con 30 mila ettari distribuiti su 19 comuni. La sottozona Valpantena è una fascia centrale piuttosto ampia, con circa 500 ettari, divisa dalla zona classica da una irta collina sopra il paese di Parona, dove troviamo altri 200 ettari dedicati alla denominazione. Nell’intero comprensorio si contano 478 fruttai, e 229 aziende che realizzano il ciclo completo, dalla vigna all’imbottigliamento.

E’ bene raccontare che la Cantina di Soave svolge il ruolo del leone nel comprensorio, controllando il 42% delle vigne, e ben 15 fruttai. Trova un valido competitor nella Cantina di Negrar, poggiata su una solida base di produttori nel comune.

Pillole di vitigni: I metodi di allevamento dei vigneti sono prevalentemente a pergola e guyot, quest’ultimo molto diffuso nella zona orientale, mentre nella zona classica circa l’80% dei vigneti è a pergola veronese. Gli impianti si trovano dagli 80 ai 600 metri d quota, con il grosso della produzione concentrata nella fascia di media collina, tra 250 e 350 metri. Le uve coltivate si contano all’incirca un 50% dedicato alla corvina, il 30% al corvinone, il 10% alla rondinella, il resto spartito tra dindarella, negrara, molinara, ed altri vitigni rossi ammessi, tra cui anche sangiovese, cabernet, merlot.

La corvina ha molti biotipi, muta forma di grappolo, ma è nobile per profumi, tannini, acidità fine, mai erbaceo. Ha però diversi limiti agronomici., tra questi l’infertilità sulle prime gemme, la tendenza all’aborto floreale, il pericolo di scottature e di marciumi, a causa del grappolo compatto e della buccia fine. Un’uva capricciosa ma nobile. Il corvinone differisce per grappolo più spargolo, buccia carnosa ed acino olivoide. Soffre meno in vigna ma tende ad aromi più vegetali e di frutti scuri. Terza per diffusione è la rondinella, uva che appassisce bene, grazie ad acini più coriacei, non patisce muffe, matura facilmente, ed è per questo coltivata spesso nelle posizioni peggio esposte. Per difetto però ha poco sapore, incide poco sul profilo aromatico del vino. La molinara una volta era obbligatoria da disciplinare mentre oggi è in disuso. Matura tardivamente e porta in dote buona capacità di dare sapidità, ma ha poca carica antocianica.

La selezione di Amarone

Speri – Amarone della Valpolicella Classico 2012. Azienda storica (nasce nel 1878), in campo agrario inventori della pergoletta modificata, che consente una densità d’impianto pari all’allevamento a guyot. E furono i secondi in ordine temporale a valorizzare i singoli cru in etichetta, solo dopo Masi. Sensazione alcolica iniziale, che traina oliva, spezia, tabacco, moka. Secco, fumé, tannino fine e freschezza viva, potente ma gastronomico, giovane, focalizzato su prugna, piuttosto austero ma con la carica alcolica che non invade la bocca, anzi scorre agile. Chiude con tono scuro portandosi un segno del tufo vulcanico dei terreni di Fumane, che qui confermano la vocazione a vini austeri ma di buon slancio.

Ettore Righetti – Amarone della Valpolicella Classico 2012. Prima produzione ufficiale di questo vino concepito a Negrar, zona di vini completi. Il terroir della cantina è in gran parte identico a quello di Quintarelli, cui è attiguo, ma hanno anche terra a Moron, da cui ricavano solo vino da tavola. Vino intrigante, diretto su visciola e cioccolato al latte, pepe, con attacco dolce al palato (5 grammi il residuo). Ma la bocca prende slancio con freschezza e tannino fitto, che ritorna amaricante, di succo scuro, non lunghissimo, ma onesto e con potenziale evolutivo.

Ca’ La Bionda – Amarone Classico 2012. Marchio lussuoso, virtuoso, in mano a Federico, tradizionalista che  si affida solo a botte grande per l’affinamento, svolgendo macerazioni tra i 60 e i 90 giorni, a seconda dell’annata, con uve appassite naturalmente, in alcuni casi sfruttando anche un deumidificatore. Le uve vengono dalla parte bassa di Marano, comunque in quota, nello specifico col Vigneto Ravazzol posto sui 200 metri. Naso impetuoso di alcol e impatto balsamico, mentolato, l’analogia più facile è col boero. L’alcol arriva potente anche in bocca, appannando il finale, scuro ma svilito dalla carica di calore.

Novaia – Amarone Corte Vaona 2012. Un appassimento poco forzato, sono tra i primi a pigiare le uve dell’Amarone, ed il risulta è di un nitore spiazzante. Ciliegia croccante, cannella, una frazione animale, un cenno erbaceo di basilico. Sorso succoso, innervato e slanciato, senza opulenza tannica nè alcolica, che liberano l’espressione vivida delle uve. Bella sorpresa.

Secondo Marco – Amarone della Valpolicella Classico 2011. Contempla un buon 50% di uve corvinone, che plasma il vino verso un profilo austero, amplificato dal territorio di Fumane. Pepe in evidenza,  vibrante e  sapido, si chiude sul tannino, fine ma fitto, che stringe le guance, e lascia un ricordo di cuoio e matita, lungo e perentorio, quasi piccante in chiusura. Residuo zuccherino di 6 grammi/litro, ma assolutamente mascherato dalla “serietà” della struttura.

Luca Fedrigo/L’Arco – Amarone della Valpolicella Classico 2011. Altro produttore talentuoso, che opera lunghissimi appassimenti naturali, deumidificando solo in caso di condizioni pessime. Le vigne sono tutte nel fondovalle di Negrar, e per l’amarone non utilizza il Corvinone. Piuttosto inusuale la sua scelta di buttare le uve se infavate da muffa nobile, ovviamente in piccola percentuale. Solo botti vecchie per l’affinamento, e macerazioni di almeno un mese. Mostra toni evoluti nel colore, e si sviluppa con un naso accattivante, balsamico di menta e lavanda, poi prugna e spezia dolce. Dolce anche l’attacco dell’assaggio, ma con nervo che riporta un sapore scoppiettante di spezia e frutto candito. Avvolgente, rotondo, con finale caldo, lungo e mutevole nei ricordi, ben  foderato di tannino. Un dolce velluto dalle mille sfumature, con evidenza sul frutto appassito.

Terre di Leone – Amarone della Valpolicella Classico “Terre di Leone” 2009. Figlio dell’avventura vinicola dell’ex rugbista Federico Pellizzari, che gestisce vigneti nella parte alta di Marano. I profumi sono articolati e complicati da qualche deviazione, così al caffè e alla nocciola si aggiungono odori di sedano e brodo, poi amarena, e sbuffi di smalto e volatile. In bocca lo zucchero si avverte, ma viene scalfito subito da un’acidità decisa e dal tannino, un rilievo di radice e agrume amaro. Grande complessità in stile evolutivo, tra ricordi di carne brasata, chinotto, ciliegia sotto spirito e cacao dolce. Lontano dalle ruffianerie, affascinante nelle sue sgrammaticature.

Monte dall’Ora – Amarone della Valpolicella Classico “Stropa” 2009. Realtà virtuosa in quel di Castelrotto, con vigne tra 80 e 120 metri di quota, su terreni alluvionali ricchi in calcare di riporto. Per me l’amarone più convincente dell’intera batteria, completo, complesso, generoso nei profumi di radici, erbe, cacao, amarena e lampone, con un tono scuro di grafite. E tutto torna perfettamente in bocca, dove non serve stare a pensare al gioco di equilibri. Tutto si materializza con eleganza, scorre perentorio quanto cesellato, ha uno stile quasi “borgognone”, dura lunghissimo al palato, ancora centratissimo sul frutto, che solo nel finale lascia trapelare ricordi di appassimento, aggiungendo un’ulteriore sfumatura ad un già coloratissimo mosaico. (Nota: questa cantina svolge lunghi affinamenti, e il 2009 era l’ultima annata uscita in commercio al momento della degustazione)

Manara – Amarone della Valpolicella Classico “Postera” 1999. Si chiude con due esempi più datati, a testare l’evoluzione in questi vini che per loro natura possono dare il meglio proprio dopo diversi anni di affinamento in bottiglia, smussando gli ingombri di alcol e tannino e regalando suggestive evoluzioni. Qui purtroppo a dominare è una nota di glutammato iniziale, poi un ricordo vegetale, un tono tostato deciso e buon frutto di amarena. L’ingresso in bocca è dolce, sferzato da buona acidità, ancora ricco in tannino, denso. Scorre piuttosto bene ma resta monocorde nell’espressione, abbandonandosi sulla strada del pellame e del tabacco.

Bertani – Amarone della Valpolicella Classico 1981. Un marchio simbolo, che fa del lungo affinamento (già prima della commercializzazione) uno dei punti di forza. Un vino che non si vergogna della sua volatile, utile a veicolare una serie di profumi da pasticceria, dal boero al candito di arancia, dal marron glace al caffè. Il sorso non ha invece quasi nulla di dolce, è succoso, con tannino di grana sottilissima, l’alcol è contenuto e non esce dalle righe nemmeno nel finale, tutto in slancio, con bel ricordo di rosa appassita.

Questa bottiglia come altre quali Novaia e Monte dall’Ora, dimostrano come l’Amarone riesca ad andare oltre i propri limiti nelle versioni migliori, facendo dimenticare la sua opulenza e spiccando il volo con grazia ed eleganza. In fondo la Valpolicella nasceva con queste caratteristiche, di vini succosi, ricchi di frutto, che si fanno bere e ribere con gusto, senza diventare necessariamente vini da meditazione. Quando questo riesce ad un Amarone si può essere felici di trovare ancora un po’ di quella originaria vocazione anche nel prodotto che per sua concezione rischia spesso di nasconderla.


Fonte: https://www.iltaccuvino.com/category/regioni/feed/


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