A Bassano del grappa hanno avuto un’idea coraggiosa, quella di andare a creare un nuovo Festival del Vino, atto un minimo rischioso dal momento in cui le date degli eventi enoici si moltiplicano come conigli ed ogni weekend la proposte di fiere ed eventi a tema vino in giro per l’Italia riserbano sempre nuovi ed interessanti appuntamenti. Ed oltretutto la sfida sceglie come campo una zona di non enorme richiamo per il vino, anche se il consumo dello stesso è ben consolidato in quell’area, vicina alle zone del Prosecco quanto al Veronese e ai Colli Euganei.
Poco più di cento produttori di vino, da tutta Italia ma ovviamente con una forte rappresentanza veneta, con vini in degustazione libera e possibilità di acquisto diretto, sul modello della fiera FIVI, con tanto di carrelli della spesa. La location fieristica offriva i giusti spazi per la dimensione di questa prima edizione, che forse dovrà cercare nuovi ambienti se l’obiettivo sarà di allargare sia il numero di espositori che di visitatori.
L’invito a questa manifestazione da parte dell’organizzazione, con la complicità di Francesco Saverio Russo di Wineblogroll, mi ha dato l’occasione di rivedere un angolo di Veneto che ha sempre un fascino poco conosciuto, a che ho apprezzato da subito attraversandone le strade. Ne ho scritto sul mio diario digitale “non vinoso”.
Sono giunto con lo spirito giusto, fuori un tempo uggioso che faceva dei banchi di degustazione un caldo posto dove concedersi alla curiosità e al dialogo con i tanti produttori, per lo più (da me) sconosciuti.
Un po’ di assaggi sparsi, rimpinguati dall’intenso panel organizzato da Saverio per decretare insieme a due attente e capacissime degustatrici come Laura Vianello e Valentina Di Carlo, i vini più interessanti della manifestazione, chiedendo ai produttori presenti di proporci una loro referenza significativa.
Parto da una nuova realtà, nata solo nel 2016 con la prima vendemmia di terreni recentemente acquisiti, un po’ per scommessa, dopo essersi innamorati di una tenuta in Trentino. E’ Vini Traversi di Dario Dall’O’ con il Dall’O’ Inpirmis 2016, chardonnay di croccante frutto di mela, screziato di agrume e dal finale saporito, incisivo quanto basta per lasciare il segno nella memoria e appuntare questo nome per scoprirne le prossime uscite. In cantiere anche un Pinot ero ed una nosiola, da vigne più basse, in affitto a Cavedine, sui 300 metri, mentre il corpo principale è costituito da 3.5 ettari in corpo unico attorno alla tenuta, tra i 550 ed i 600 metri di quota.
In quanto a Prosecco quello più intrigante è stato senz’altro il Valdobbiadene Prosecco Brut di Mettosantin, dalle mani di un giovanissimo ragazzo che dai 4 ettari di famiglia, in Valdobbiadene località Guia, ricava varie etichette di cui il Brut rappresenta certamente la punta espressiva, con bella complessità fatta di dettagli che oltre al netto richiamo su frutti di pera e mela, accenna a foglie di aromatiche e lime. Il dosaggio non è bassissimo (sono un amante dei pas dosé) ma armonizza il tutto e amplifica il sapore senza stancare.
E per spingersi su un dosaggio ancora più ricco, da provare sia ad inizio pasto con un’ostrica o una cozza sauté che da testare su un dolce del periodo, come un pandoro di Verona, il Valdobbiadene Prosecco Dry di Francesco Follador, (19gr/l, 90% glera con saldo di perera e verdiso), svela tutto il potenziale delle uve complementari, con note di pera e acidità viva che ne allunga il sorso, oltretutto di fine sapidità in chiusura.
Gamma di altissimo livello su tutta la linea per Aquila del Torre, azienda che ho rincontrato con grande piacere, riscoprendo alcune annate anche meno recenti, ma ancora in grande forma, come il Riesling 2010, in evoluzione su note di cotognata e idrocarburi intensi, secco e sapido, e una vera perla come il Picolit 2009, un gioiello di ambra, dalle mille sfaccettature odorifere, di camomille, miele, castagne, propoli, incensi, frutta candita, dolce e avvolgente, una coccola senza fine, ben sostenuto da un’acidità luminosa.
Altra produzione prosecchista interessantissima quella di un’altra azienda giovane, Siro Merotto, tra i pochi a produrre la tipologia Tranquillo, versione senza bolle, che porta in dote i sapori del prosecco, con residuo quasi nullo e bevuta asciutta e pulita. Espressione centrata, saporita e appagante nel Valdobbiadene Prosecco Rive di Col S. Martino, succoso di mela verde, fresco e di bolla fine, dissetante e spensierato, ma lungo nel sapore. Buono (e bellissima l’etichetta) anche In un Sol Bianco, rifermentato in bottiglia che chiama le bevute estive, con grande frutto, con accenti agrumati, e finale di ciottoli e rocce spaccate. Fa venire voglia di spiaggia nonostante il freddo e la pioviggine.
Una delle rivelazioni più belle al banchetto di Calalta, anche qui un giovanissimo, che ha da pochi anni preso in mano le vigne del nonno, 5 ha a Mussolente (VI), ripiantandone e ammodernandone una parte nel 2009. Nel 2016 la prima vendemmia con le nuove etichette, da cui gli assaggi di Bassano. Il Mentelibera 2016 è un bianco dinamico e gioviale, fresco, leggermente erbaceo, fresco di agrumi e fiori bianchi, assemblaggio di Bronner, Incrocio Manzoni e Riesling. Il Davvero 2016 è riesling renano in purezza, ma con la particolarità di una macerazione sulle bucce di 10 giorni, e affinamento per 6 mesi in tonneau usati. Mi ha colpito, il sapore non gli manca, ma la distanza dai “canoni” del riesling mi ha un po’ spiazzato, senza convincermi del tutto ma lasciandomi con la curiosità di riassaggiarlo, magari con più calma. Vera sorpresa e vino da non perdersi il Grijer 2015, da uve syrah con saldo di grenache (18%), da vigneti con una parte di alberelli, conservati dalle vigne originarie del nonno. Affinamento di due anni in tonneau, è da poco uscito, ma p splendido nella sua cornice di spezie e pepe, generoso nel frutto dolce scuro e rosso, quasi piccante al palato, saporito e pieno, ma scorrevole, dinamico come solo i rossi del veneto sanno essere, ma con una polpa mediterranea. Davvero un rosso per stupire. Più austero infine il Monsaulente 2015, bordolese base cabernet franc e merlot, vinificati ad acino intero in barrique per 40 giorni, poi svinati e rimessi in legno per 2 anni, dal tratto tannico intenso, impalcatura solida e tratti scuri. Vino che guarda al futuro senza paura, oggi un po’ rigido e serioso.
E’ indelebile ancora il ricordo del Timorasso Intensità 2012 di Pernigotti, cedro ed evoluzioni minerali, ricordi rieslingheggianti come solo il timorasso sa dare, ma con quella potenza di bocca che è tutta trama acido-salina, un carroarmato di cristallo che percorre la bocca.
Reduce di una recente serata a tema Barbera ho trovato convincente la Barbera d’Alba 2016 di Le More Bianche (alias Alessandro Bovio), con tanto succo di frutti rossi maturi e un bicchiere che richiama la tavola imbandita per una mangiata improvvisata e le risate degli amici, innervato di un’acidità viva ma fusa in una materia ricca di sapore e senza spigoli.
Riconferma felicissima il Pinot Nero Vigna Bindesi 2015 di Maso Grener. Fausto Peratoner ha un bel feeling con questa uva difficile e riesce a metterla in barrique senza tirarne fuori un vino offuscato dal legno. Merito delle uve coltivate con rigore e grande attenzione all’equilibrio biologico del vigneto? Merito della sua lunghissima esperienza sul campo? I meriti sono plurimi, come plurimo è l’uso di questo vino, godibilissimo ora, coi suoi tratti speziati ma una bocca setosa, ma da riscoprire tra qualche anno con sicure belle sorprese.
Premio Vino della Tradizione per una vera rarità, che si produce ormai solo in pochi esemplari in Abruzzo e Marche, per mia conoscenza. Trattasi del Vino Cotto Stravecchio 2003 di Loro Piceno di Tiberi David, ottenuto da mosto d’uva (montepulciano) lungamente cotto e poi fermentato, per un liquido denso e dolce, ricco, dai tratti ossidativi, mille sfumature dalla carruba al cioccolato, dal malto alla noce, dal tabacco ai datteri. Un vero fine pasto, da meditazione, ma soprattutto da spartire con persone speciali, con cui sorseggiarlo a piccole gocce, guardandosi negli occhi e godendo di questo nettare. E perché no abbinandolo ad un bel Parmigiano Reggiano 48 mesi.
(alcune immagini sono tratte dal profilo FB di Francesco Saverio Russo, di cui approfitto per sopperire alle immagini pessime del mio cellulare)