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Il Nebbiolo secondo Beppe Rinaldi

Personaggio controverso Beppe Rinaldi, mito suo malgrado, lui che i miti li odia e cerca di abbatterli a suon di taglienti parole, che gli hanno fruttato il soprannome di “citrico”. Schivo e difficile, serve entrare in sintonia col suo pensiero, con le sue ombre ed i suoi sprazzi di generosità. E nel scriverlo sembra di parlare del nebbiolo più che di una persona. E forse nulla cade a caso.

Scrivo con la mente ancora fresca delle bevute di ieri sera, dove protagonista è stato il Langhe Nebbiolo di Giuseppe Rinaldi, in un percorso di anno in anno dal 2015 a ritroso fino al 2008.

Abbiamo lasciato il tempo ai vini, per esprimersi e concedersi nei calici, mentre la cena scorreva, insieme alle nostre chiacchiere intorno al vino, nella saletta dell’Osteria Don Abbondio di Forlì, coccolati da una cucina sincera e gustosa.

Ci sono stati momenti di concentrazione, come fossimo davvero in ascolto del vino, come stessimo lì a goderci uno spettacolo, senza interromperlo con le parole, senza coprirlo di commenti a sproposito.

Quando il vino ti trova, ti permea ed entra per qualche minuto a fare parte della tua vita, concretamente, interagendo coi sensi e col corpo, stuzzicando la mente e l’emozione, allora si apprezza qualcosa di più del vino, e di se stessi persino, come in fronte a uno specchio.

Questo il pensiero coniato prima di coricarmi, a chiosa della degustazione: “L’eleganza di un nebbiolo che è mezzo vestito da Barolo. Androgino, mutevole e camaleontico come il miglior David Bowie. Contemporaneo e proiettato nel futuro nonostante le radici nella tradizione. Saluta tutti e viaggia su traiettorie siderali, pur continuando a farsi dare del tu. “What if God was one of us” cantava Joan Osborne, e poteva essere la colonna sonora della serata, così come Ziggy Stardust o Riders on the storm dei Doors, o Cello Song di Nick Drake, tanto per buttare lì qualche suggestione musicale. Sinfonie vive di profumi, sapori, colori, e le voci e gli sguardi che condividevano l’esperienza. Grazie a tutti. E grazie a Beppe Rinaldi e alle sue figlie che hanno suonato per noi.”

Questo è quello che abbiamo trovato nei nostri 8 calici di nebbiolo: un vino che muta continuamente, svelando altalene di impressioni, rivelando tratti comuni ma sempre modellati dalle diverse annate e dalla differente evoluzione. Difficile stilare classifiche, e nemmeno utile forse, dato che un rapido sondaggio delle preferenze ha mostrato come il gusto di ognuno desse origine a predilezioni completamente diverse, a riprova che punteggi e classifiche poco contano. Per godere il vino, quando vivo e vero, come in questo caso, basta assaporarlo, lasciare un attimo all’attenzione dei sensi e poi lasciare andare l’istinto. E’ lui che sempre ci porta verso ciò che inconsciamente cerchiamo.

Langhe Nebbiolo 2015. Prima grande prova della volubilità di questi vini, che qui mi ha premiato con la fortuna di stapparlo qualche ora prima e coglierne una sincerità iniziale che si è andata poi nascondendo come in cerca di un timido riserbo. Prime impressioni di melograno, sospinto da lieve vena di volatile, e un inseguirsi di cipria, erbe, resine lievi e un misto di pesca e ciliegia fresca. Tanto nervo ed una bocca tersa, dal tannino sottile e infiltrante, che spedisce la mente a suggestioni borgognone. Eleganza e potenza a braccetto, con momenti di ritrosia giovanile.

Langhe Nebbiolo 2014. Apre più polveroso, con cenni di rossetto e fiori scuri. Ha nervi scoperti, fibre muscolari che compaiono nitide sotto una pelle fine, tutta la tensione dell’annata fresca, con bel finale di fiori, fruttino rosso di ribes e fragolina, un cenno di humus, tutto intrecciato in un sorso da tannino tonico e dalla scorrevolezza gustosa. Torrente limpido e fresco.

Langhe Nebbiolo 2013. Una lieve riduzione in apertura presto svanisce e apre ad una parte agrumata netta, di arancia e mandarino, e ancora spremuta di melograno, che lascia divagare i miei pensieri fino ai Chianti di Radda più centrati, tanto più per la parte di bocca, con tannino vibrante e finissimo, pur se fitto, una materia importante ma elegantissima, con l’acidità a sferzare il palato come un fantino su un purosangue. Cavallo di razza, sarebbe un perfetto esemplare da riproduzione, se si potesse usarlo per generare vini di odierna goduria e future certezze.

Langhe Nebbiolo 2012. L’annata calda lo fa baroleggiare con una bocca ampia e avvolgente, dal frutto maturo, con ancora una bella frazione agrumata, e indizi di artemisia e liquirizia, di una incipiente evoluzione. Il tannino soffice si scioglie al palato, lasciandolo dolcemente accarezzato da questo vino consolatorio e crepuscolare.

Langhe Nebbiolo 2011. L’unico vino a lasciare qualche delusione. Ammalia immediatamente con un naso complesso, di carne cruda, erbe, basilico e radici. Gioca tutte le sue carte e sembra restare spiumato come un pavone che perda la coda. Dopo qualche minuto lascia scoperta una volatile sopra le righe, qualche sporcatura nei profumi, leggermente corrotti come frutta ammaccata. Ha il fascino di un volto con una cicatrice, come di qualcosa che l’ha segnato. A suo favore un’acidità che ancora sostiene il palato, ed il tannino fine e vivo. Bel tessuto ma con qualche macchia.

Langhe Nebbiolo 2010. Il vino che più ci ha messo alla prova, l’annata più “classica” insieme alla 2013, di quelle che capisci presto che potrai rincontrarle tra 5 o 10 (o magari 20?) anni e stare ancora lì a divertirti e discuterne, in compagnia o persino con te stesso. Il naso è compresso da una riduzione importante, mista ad evoluzione, come se fosse in una fase di chiusura. Un ricordo di brodo, poi tanta nocciola tostata, cacao, confetto. Il sorso ribalta tutto, scuote il palato, corre con la potenza esplosiva di Bolt ma invece che fare 100 metri parte per un 10000 facile facile, lasciandoti di stucco. Il tannino è rock, rock duro e puro, un classico senza tempo alla Deep Purple. Bicchiere su cui tornare sempre più curiosi, senza mai capirlo a fondo, ma ogni volta chiudendo il sorso con un sorriso, una volta beffardo e l’altra beffato. Abbandonato il bicchiere per mezzora diventa liquirizia nera, per poi mischiare ancora le carte e riaprire i giochi.

Langhe Nebbiolo 2009. La più luminosa e completa delle annate calde in rassegna, che porta in dote frutto maturo che oltre alla ciliegia in confettura va sulla pesca matura, un ricordo di arancia rossa, una sensazione netta di carne, e man mano susseguirsi di fiori secchi, liquirizia, spezie e pellame. Grande equilibrio e armonia nel sorso, dal finale sapido, con un tannino che sfuma confortevole, l’alcol mai sopra le righe, un’acidità che alimenta un lungo finale. Comfort wine.

Langhe Nebbiolo 2008. Sfiderei chiunque a non scambiarlo per un Barolo di pari annata. L’evoluzione nella sua veste più bella e completa, di pellame, manciate di spezie, mela rossa e scorza di limone e una grattata di zenzero. Poi ancora rose secche e liquirizia, e ciliegia matura. Il gusto avvolge la bocca come il buio ammanta la notte, il tannino puntiforme si staglia nel palato come stelle nel cielo terso, l’acidità è una brezza di mare, che porta allegria e lascia la sua scia di sale. Ancora una vita davanti forse, ma la gioia di un’estasi generosa. Bellezza senza veli, cruda e immensa come la natura.


Fonte: https://www.iltaccuvino.com/category/regioni/feed/


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