Il climate change è l’argomento del giorno, ma forse non tutti sono consapevoli degli effetti che potrà avere a breve -medio-lungo termine sull’agricoltura in generale e sulla viticoltura in particolare.
Temperature più alte, periodi di siccità più prolungati, eventi atmosferici più o meno violenti e /o frequenti e in momenti dell’anno dove non dovrebbero presentarsi, sono situazioni a cui non eravamo abituati e sono solo alcuni dei segnali che – banale, ma vero – le stagioni non sono più quelle a cui eravamo abituati.
Nel vigneto, temperature più alte comportano molte cose:
accumulo di zuccheri, ma diminuzione di altri elementi, in primis l’acidità (specie quella malica). Anche altri metaboliti secondari, come le antocianine, ne risentono negativamente
maggiore traspirazione delle foglie;
rese/ettaro ridotte. Alte temperature e siccità sono fenomeni spesso correlati. Un deficit idrico va a colpire la fotosintesi, la crescita dei germogli e causa acini più piccoli. Per i produttori di vini rossi, la qualità dell’uva non sarà compromessa (anzi) se il deficit si mantiene entro livelli accettabili, ma se si aggrava e diventa siccità, in aree come quella del Mediterraneo si arriva facilmente allo stress idrico. E se il terreno non è capace di trattenere l’acqua, ciò si traduce in una minor qualità dell’uva al momento della raccolta. Inoltre, se l’assenza di piogge nel periodo estivo si prolunga per troppo tempo, la maturazione dei grappoli finisce per arrestarsi;
effetti sugli aromi del vino. Molti aromi caratteristici di certi vini (come il sentore di pepe tipico dello Syrah, dovuto alla presenza di rotundone) soffrono le alte temperature; altri, come quelli da idrocarburo del Riesling, se ne avvantaggiano, almeno entro certi limiti. Altri ancora (come il geraniolo) sono indifferenti;
vendemmie anticipate; in molte zone, il rialzo delle temperature è positivo perchè permette di raccogliere a piena maturazione, ma quando questa viene raggiunta troppo presto nella stagione (luglio-agosto nel nostro emisfero, gennaio-febbraio in quello opposto), la composizione delle uve può risultare squilibrata, compromettendo la qualità del vino finale.
Esiste il modo per mitigare gli effetti più negativi che il climate change può avere sui nostri vigneti? Gli esperti dicono di sì: basta intervenire sulla fenologia della vite. Per esempio, si possono scegliere portinnesti che inducano un ciclo più lungo. Oppure piantare cloni a maturazione tardiva, o meglio ancora recuperare tanti autoctoni che in passato erano stati abbandonati perchè non maturavano mai. Come pure, nel lungo periodo, bisognerà essere pronti a spostare ancora più in alto le zone di produzione, e a piantare varietà tardive anche alloctone. Inoltre, e sempre allo scopo di ritardare la maturazione, bisognerà ripensare anche i sistemi di allevamento, e adottare quelli più opportuni, anche qualora non fossero tipici del luogo: per esempio, se si tratta di resistere alla siccità, uno dei più indicati è l’alberello. Peccato che al momento non sia meccanizzabile.
Insomma, amici agronomi, tocca a voi: il futuro della vite ( e quindi del vino) è (soprattutto) in mano vostra.
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