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    Esportazioni di spumante Italia – aggiornamento 2020

    Fonte: ISTAT
    Il segmento degli spumanti è stato quello più impattato dalla pandemia. Non lo dicono soltanto i dati italiani che presentiamo qui oggi, che segnano un calo del 6.4% a 1482 milioni delle esportazioni (su dati di volume stabili peraltro), ma anche quelli spagnoli che leggerete a fine mese (-10% con volumi a -1.5%) e quelli francesi che ho pubblicato a inizio mese, dove la denominazione dello Champagne ha fatto segnare un calo del 20% nel 2020, per la maggior parte derivato dai volumi (-17%). Nel caso dell’Italia ci troviamo davanti a un prodotto diverso da quello francese e spagnolo, con un prezzo medio più basso e con un “drive” non secondario derivante dall’utilizzo del prodotto nel segmento degli aperitivi insieme a Aperol. Se considerate che Aperol vende circa 0.52 milioni di ettolitri all’anno nel mondo e considerate che l’altra metà dello Spritz è spumante normalmente italiano, arrivate a circa 0.5 milioni di ettolitri di vendite, di cui il 60-70% all’estero (quota dell’Aperol fuori dall’Italia). Ma torniamo ai nostri dati. Nell’ambito di questo “ottimo” -6% il Prosecco continua a rappresentare un fattore mitigante, essendo calato soltanto del 3%, grazie alla crescita del 5% registrata in tutti quei mercati che non sono gli USA e il Regno Unito. Anche l’Asti nel 2020 è andato piuttosto bene, registrando un dato quasi stabile, supportato dal mercato tedesco e sopratttutto americano. Passiamo ai dati, ricordandovi di andare consultare la sezione Solonumeri (link) per trovare una lista esaustiva dei dati 2020. LEGGI TUTTO

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    Danimarca – importazioni di vino, dati 2020

    Fonte: UN Comtrade
    La Danimarca si conferma uno dei migliori mercati del vino del mondo anche nel 2020, mettendo a segno una crescita del 7% dei volumi (saliti al massimo storico di 2.06 milioni di ettolitri) e del 4% a valore, anch’esso al massimo storico di 683 milioni di euro. Come tutti gli altri paesi nordici, la Danimarca è un mercato molto sbilanciato sul consumo a casa e quindi non ha avuto ripercussioni particolari relativamente al COVID, anzi. È stato anche il 2020 un anno a vantaggio della Francia, che dal 2018 ha ripreso la leadership che aveva perso con la crisi mondiale del 2008-09 a vantaggio dell’Italia. La leadership francese, come abbiamo già avuto modo di dire si avvantaggia della posizione nel segmento degli spumanti, mentre nel mondo del vino fermo in bottiglia le posizioni, pur invertite anch’esse rispetto a qualche tempo fa sono più allineate. Passiamo a commentare qualche numero insieme, non prima di ricordarvi che tutti i numeri dettagliati e copia-incollabili sono a vostra disposizione nella sezione delle importazioni estere di Solonumeri (link).

    La Danimarca ha importato vino per un valore di 683 milioni di euro, in crescita del 4.4% sul 2019 e del 3.9% annuo negli ultimi 5 anni. A fronte di un cambio tra la corona e l’euro stabile (lo è ormai da diversi anni), anche i dati in valuta locale, che trovate allegati nel post sono coerenti, quindi circa 5.1 miliardi di corone danesi nel 2020. Di questi, 493 milioni sono di vino in bottiglia fermo (+5%), 118 milioni d vino sfuso (+4%, con una interessante progressione negli ultimi anni) e 71 milioni sono di vini spumanti (+3%).
    In termini di volume l’import danese sale a 2.06 milioni di ettolitri, di cui quasi 1 milione di ettolitri sono di vino sfuso, proveniente principalmente da Australia (178mila ettolitri) e Sud Africa (151mila).
    Il vino francese allarga ulteriormente il gap con l’Italia, crescendo del 7.6% a 176 milioni, rispetto al +3.4% italiano, 149 milioni di euro, e quindi rappresenta il 25.7% del mercato (+0.8% dal 2019) contro il 21.8% dell’Italia (-0.2%).
    La forza della Francia è nei vini spumanti, che nel 2020 crescono del 4% a 37 milioni di euro e mantengono la quota del 52% dopo il graduale deterioramento visto negli anni scorsi (purtroppo non a vantaggio del nostro spumante che veleggia sui 10 milioni di euro).
    Nel segmento dei vini in bottiglia l’Italia e la Francia sono quasi perfettamente allineate, con 124 milioni e 131 milioni di euro rispettivamente, ma con un ritmo di crescita che vede la Francia prevalere nettamente (+9% contro +6% per il 2020, 8% contro +1% negli ultimi 5 anni).
    Dietro Italia e Francia c’è una voragine, dopo la quale si trova la Spagna (in calo) e gli USA che invece hanno raddoppiato in pochi anni raggiungendo 50 milioni di esportazioni in Danimarca. Vi lascio alle tabelle.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco

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    Esportazioni di vino italiano – aggiornamento 2020

    Fonte: ISTAT
    Con una chiusura d’anno in controtendenza (Novembre +2.4%, Dicembre +3.3%), le esportazioni di vino nel 2020 hanno chiuso con un più che dignitoso calo del 2.2%, per un valore totale di 6298 milioni di euro. Una rapida carrellata di quello che succede agli altri paesi mette la performance 2020 dell’Italia sullo stesso livello della Spagna (-2.3%). La verità è che gli unici sconfitti del 2020 sono stati i francesi e, per quanto meno rilevanti, i tedeschi, che hanno subito un calo dell’11% e 15% delle loro esportazioni. La Francia è stata penalizzata dal posizionamento più elevato dei suoi prodotti (quindi più da ristorante che da casa), dalla  forza dei suoi spumanti (che anche per l’Italia sono stati il tallone d’Achille del 2020), dalle difficoltà del mercato cinese e infine dai dazi introdotto dagli USA, che però potrebbero essere presto rimossi dalla nuova amministrazione. A guardare i numeri preliminari, meglio di Italia e Spagna hanno fatto solo i neozelandesi (+4%) e i portoghesi (+3%). Tornando ai dati, trovate allegato in fondo un tabellone con i principali 25 mercati per volume e per valore, che sono anche replicati nella sezione Solonumeri del blog (link). Ma andiamo nel dettaglio.

    Il dato preliminare finale delle esportazioni 2020 è di 6298 milioni di euro, -2.2%, per un volume apparente di 21.06 milioni di ettolitri. La perdita in valore assoluto rispetto al 2019 è di 142 milioni, di questi 40 milioni sono stati persi nei vini fermi, 100 nei vini spumanti.
    Dal punto di vista dei mercati, gli USA chiudono a 1454 milioni e un calo del 5.6% passando dunque dal 24% al 23% delle nostre esportazioni, mentre è in controtendenza la Germania, che passa dal 16% al 17% del totale, con un incremento del 2.4%. Oltre al dato negativo degli USA e del Regno Unito (-6%), sono stati in calo la Francia (-12%), il Giappone (-15%) e soprattutto la Cina, passata da 134 a 98 milioni di euro di esportazioni nel 2020. Sono stati invece in forte progresso le esportazioni in Olanda (+16%), Belgio (+12%) e Norvegia (+23%).
    Passando brevemente alle categorie (parleremo più specificatamente degli spumanti questo giovedì), nei vini in bottiglia sono meno negativi dei dati generali le evidenze sul mercato inglese (stabile) dove invece spicca il calo dei vini spumanti (-15%), mentre per il mercato americano il -6% dei vini in bottiglia e il -4% degli spumanti sono molto simili. Per quanto riguarda la Germania, gli spumanti sono stabili, i vini in bottiglia crescono del 2% e quindi sono andati leggermente meglio i vini sfusi.
    Bene, vi lascio alle tabelle e ai grafici non prima di fare qualche considerazione sul 2021. Due cose mi sembrano chiare: primo, fino a quando il COVID regna supremo, in termini relativi il vino italiano fa meglio di quello francese e probabilmente anche della media mondiale. Appena tutto riparte i vini francesi faranno faville e si riprenderanno le quote di mercato perse. Secondo, il dollaro è debole (per ora) e il confronto per tutto il primo semestre sarà punitivo, nell’ordine del 6-7% sulle nostre esportazioni americane. 6% moltiplicato per 23% fa un vento contrario di 1-1.5 punti percentuali sulle esportazioni. Primo test del nuovo anno: gennaio, che vede una base di comparazione molto difficile.
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    Andrew Peller – risultati 2019 (marzo 2020)

    Fonte: bilancio aziendale (http://www.andrewpeller.com/financials.php)
    Torniamo oggi su Andrew Peller, l’azienda vinicola canadese quotata in borsa, per discutere il bilancio 2019 (marzo 2020) e quello che sta succedendo nel 2020. Su entrambi i fronti ci sono soprattutto buone notizie: nel bilancio 2019 a fronte di vendite stabili (nonostante l’impatto delle acquisizioni) i margini migliorano, come da obiettivi aziendali che abbiamo discusso nel post precedente, per arrivare a un utile operativo di 63 milioni (di dollari canadesi) e un margine del 16.5% contro 58 milioni e 15.3% del 2018. Va detto che questi miglioramenti non si trasformano in maggiore utile netto principalmente per una serie di questioni contabili. Per quanto riguarda invece il 2020, i dati dei primi sei mesi (marzo-settembre) sono molto incoraggianti: l’esposizione commerciale bilanciata tra Horeca e off-premise ha consentito di mantenere le vendite (202 milioni contro 198 dei primi sei mesi dell’anno scorso) e nonostante un calo del margine industriale (dovuto al mix delle vendite meno profittevole) il forte taglio delle spese di marketing ha addirittura spinto l’utile operativo da 36 a 45 milioni di dollari canadesi. Una performance decisamente superiore alle attese, che ha portato il titolo a recuperare completamente la perdita di valore registrata durante i mesi del COVID. A fine dicembre 2020, l’azienda aveva un valore di borsa di 476 milioni di dollari canadesi, quindi circa 300 milioni di euro. Passiamo a un breve commento dei dati.

    Nel 2019 (marzo 2020) le vendite sono stabili a 382 milioni di dollari canadesi, con un progresso del 5% delle vendite estere, che restano irrisorie a 13 milioni. Nei primi sei mesi del 2020 (aprile-settembre) le vendite sono invece cresciute del 2%.
    I margini sono migliorati nel 2019 a fronte degli attesi benefici dell’integrazione delle acquisizioni, dallo spostamento del mix di prodotto verso l’alto e dal taglio dei costi di produzione. Il margine industriale cresce dal 41.6% al 43.5%, mentre parte del beneficio viene perso a livello di utile operativo aggiustato per via delle spese di marketing. Ne risulta un utile operativo comunque salito dal 15.3% al 16.8% delle vendite.
    L’utile netto dichiarato cresce del 7% a 23.5 milioni, mentre quello rettificato scende del 6% a 28 milioni. Qui entrano in gioco una serie di partite “strane” tra cui la più importante è il beneficio dalla vendita del vino acquisito con le operazioni degli ultimi anni che sta scemando.
    A livello finanziario, l’indebitamento finanziario cresce da 155 a 185 milioni di dollari canadesi, ma di questo incremento circa 18 milioni sono relativi alle rettifiche IFRS16. Se prendiamo soltanto il debito bancario, la crescita è più limitata, da 155 a 165 milioni circa e si confronta con investimenti stabili (23 milioni) e un incremento della remunerazione degli azionisti da 9 a 16 milioni di dollari (dovuto principalmente all’inizio di un programma di riacquisto azioni).

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    Il valore dei vigneti in Francia – aggiornamento 2019

    Fonte: Safer
    Il 2019, l’anno pre pandemia è stato un anno un po’ sottotono per il valore delle vigne in Francia, perlomeno guardando la rivalutazione di cui sono state protagoniste in passato. Nel loro complesso, le vigne AOP sono cresciute di valore dello 0.5% nel 2019 rispetto al +3% medio annuo del decennio 2010-19 e al 5% annuo del periodo precedente. Il rallentamento del 2019 è però molto circoscritto a una specifica zona, che da sola ha un peso fondamentale: la Champagne, ossia un’area vasta (33mila ettari e più) dove il prezzo medio delle vigne viaggia sugli 1.1 milioni di euro e che nel 2019 è calata di valore del 2%. Senza Champagne, tutte le altre AOC messe insieme viaggiano intorno a +4%, quindi in linea con il passato. Tornando al caso Champagne, pensate: un’area 15 volte più grande della zona del Barolo che ha lo stesso valore per ettaro. Non ho ancora elaborato i dati italiani del CREA, ma la prima analisi fatta sui valori DOC per DOC mi davano per l’Italia una crescita dell’1.5-2% circa anche per il 2019, il che metterebbe Italia e Francia sul medesimo piano. Comunque per fare un vero confronto bisogna aspettare e comunque il vero confronto è difficile visto i valori in gioco in alcune zone della Francia… passiamo a commentare qualche dato.

    Il valore dei vigneti AOC francesi cresce dello 0.5% a 148mila euro per ettaro nel 2019, +0.5%. Il rallentamento è legato al calo del 2% della zona della Champagne che ha smorzato la crescita di valore dei vigneti AOC in diverse regioni, come Bordaux (+3.4% a 105mila euro), Borgogna (+4% a 189mila euro), ma anche alcune zone con i valori meno rilevanti (+3/4% sia per la valle della Loira che per quella del Rodano). Unica eccezione eccellente la Champagne, dove però stiamo parlando di un prezzo medio stellare, che cala da 1130mila euro a 1108mila euro, -2% (e comunque la “zone 1”, la cote des blancs che viaggia a 1.6 milioni di euro per ettaro) era ancora in crescita.
    Vi lascio con la divertente tabella (per così dire) dei valori per ettaro in alcune zone specifiche, dove potete apprezzare che nel 2019 gli ettari di grand cru della Borgogna sono saliti ancora del 4% per raggiungere 6.5 milioni di euro per ettaro, picco assoluto in Francia, seguito da Pauillac (2.3 milioni di euro, +4.5%) e Pomerol (+5.6%, 1.9 milioni di euro). Purtroppo tutte zone i cui vini piacciono molto anche a me e che stanno diventando incomprabili…
    Tra le zone più dinamiche, va notata la progressione del valore dei vigneti di Cornas nella Valle del Rodano e dello Chablis.
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    USA – importazioni di vino – aggiornamento 2020

    Fonte: UN Comtrade
    La combinazione del COVID e dei dazi doganali ha giocato un brutto scherzo ai francesi che nel 2020 hanno perso la leadership appena riconquistata del mercato americano. Nel contesto di importazioni calate dell’11% a 5.2 miliardi di euro, la Francia ha subito un calo del 21%. Lo stesso è capitato ad altri paesi sottoposti all’incremento dei dazi (vi ricordo +25% a partire da ottobre 2019), come la Spagna (-13%) o la Germania (-32%). Il vino italiano è dunque riuscito a contenere i danni grazie a questo vantaggio importante di prezzo rispetto ai concorrenti, che però presumiamo essere temporaneo. Con l’arrivo di Biden è probabile che le tensioni commerciali restino nei confronti della Cina ma non più nei confronti dell’Unione Europea. Comunque, questo non è il luogo per fare politica internazionale. Fatto sta che l’Italia si riprende la leadership, con un calo del 3% soltanto e una quota di mercato al massimo storico del 34% sui vini importati in USA, che ricordo rappresentano circa un terzo dei consumi totali di vino nel paese. Passiamo ai dati, ricordandovi che le tabelle complete (incluse alcune che non trovate qui) sono nella sezione Solonumeri del blog, alla sezione altri paesi.

    Le importazioni di vino in USA sono calate dell’11% in euro a 5.16 miliardi di euro nel 2020. Considerando la leggera svalutazione del dollaro (che sarà più marcata nel 2021) da 1.12 a 1.14 il tutto si è tradotto in un calo in valuta locale del 9% a 5.88 miliardi di dollari.
    Se il dollaro resta sul piede dell’1.20 si perderanno altri 200 milioni di euro di valore nel corso del 2021.
    Come abbiamo evidenziato sopra è stato un anno buono per il vino italiano, non toccato come molti altri dai dazi. Abbiamo comunque fatto meglio della maggior parte degli altri, escluso come sempre la Nuova Zelanda, di nuovo con il segno positivo. Il vino italiano torna a essere il primo vino estero in USA, con una quota del 34%, che poi significa che circa il 12-13% del vino bevuto dagli americani è italiani. Il calo del 3% a 1.77 miliardi di euro si compone di una riduzione del 2% del vino in bottiglia a 1.33 miliardi e del -5% del vino spumante a 427 milioni.
    Tutti numeri molto migliori della Francia, che ha visto invece il vino fermo imbottigliato crollare da 1.25 miliardi a 873 milioni (-30%) e gli spumanti perdere il 10% a 643 milioni.
    La terza forza nel mercato americano incredibile ma vero è la Nuova Zelanda con 446 milioni di esportazioni e un incremento del 3%. Viene poi l’Australia che perde il 7% ma supera la Spagna, colpita dai dazi, che perde il 13% a 292 milioni di euro. Sotto del 7-8% sull’anno scorso sono anche Argentina e Cile.
    Bene, vi lascio alle tabelle e ai grafici che includono anche i dati sui volumi (decisamente meno interessanti…).
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    Treasury Wine Estates – risultati primo semestre 2020/21

    Fonte: bilanci aziendali, dati in dollari australiani
    Son tempi duri per TWE a causa del combinato disposto di un problema generale che ben conosciamo e di uno particolare del vino australiano, che è quello dei dazi applicati dai cinesi al prodotto da qualche mese a questa parte. Quando guardiamo il primo semestre 2020/21 (loro chiudono il bilancio a giugno) abbiamo ancora un quadro imcompleto di come sarà la situazione. Le vendite sono calate dell’8% a livello consolidato e l’utile operativo del 21% con l’Asia che rappresenta sicuramente un freno ma che comunque è pur sempre l’area con i margini in termini relativi e assoluti più importante. Nel secondo semestre (Gennaio-giugno 2021) i manager di TWE hanno già scritto chiaro e tondo che non ci si aspetta alcun contributo dall’area asiatica, nonostante il riversamento delle risorse di marketing su altre zone e il posizionamento super-lusso di TWE nell’area (vende a 250 dollari australiani per cassa, il triplo della media totale di 82). Quindi, riassumendo: se mettiamo insieme i due semestri e cerchiamo di fare un anno “solare” 2020 per TWE avremmo un fatturato di 2.5 miliardi di dollari australiani, -12%, con 32 milioni di casse, -7% e un utile operativo di 500 milioni, -33%. Se invece guardiamo a come potrebbe essere il secondo semestre, beh, non saranno lontani dai 100-150 milioni di utile operativo rispetto ai 184 dell’anno scorso che pure si era dimezzato. Quindi tempi durissimi per loro. Il titolo in borsa ha già pagato caro: viaggia ora sugli 11 dollari contro i 18 circa prima della pandemia e i circa 13 che aveva recuperato prima della funesta notizia dei dazi cinesi. Passiamo a qualche numero.

    Le vendite del primo semestre chiuso a dicembre calano dell’8% a 1.4 miliardi di dollari con un calo in tutti i mercati di esportazione e un fatturato di 326 milioni stabile in Australia. Il maggiore calo è in Asia, dove il fatturato scende dell’8% e i volumi del 35%: a fronte di un parziale recupero durante l’estate si è abbattuto sul vino australiano la decisione cinese di applicare dazi pesantissimi (dal 107% al 212% del prezzo di import a partire da dicembre 2020). L’America resta il primo mercato per TWE, con 535 milioni e 6.6 milioni di casse, rispettivamente -12% e -5%.
    L’andamento degli utili rispecchia molto il secondo semestre 2019/20: qui con -8% di vendite si fa -21% di utili, quando nel primo giro COVID a -16% di fatturato si fece -47%. Il maggiore contributore maggiore problema è l’Asia, che di questi 311 milioni di euro di utile operativo ne fa 127, pur in calo del 27% ma con soltanto un mese di “botta dai dazi”. Il margine asiatico, derivato dall’elevatissimo prezzo mix che abbiamo visto prima è del 38% contro il 22% medio del gruppo. Vi lascio alla tabella per analizzare gli altri trend.
    La strategia di sviluppo 2025 intorno a tre divisioni – Penfolds, Treasury Premium Brands e Treasury Americas – rimane immutata e la struttura finanziaria con solo 1 miliardo di debito (che diventa però 400 milioni quando si tolgono gli affitti futuri capitalizzati) dovrebbe essere in grado di supportarla anche senza gli utili cinesi, almeno per il momento.
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