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    Sartori – risultati e analisi di bilancio 2019

    I risultati 2019 di Sartori sono un po’ la continuazione di quanto visto nel 2018, con alcuni aspetti positivi (l’andamento in Italia, la riduzione del debito) e altri negativi (lo stallo delle vendite all’estero, piuttosto che la costante pressione dei costi delle materie prime sui margini). L’azienda giunge alla sfida della crisi COVID potendo fare leva sull’esposizione nel canale distributivo della grande distribuzione (80% delle vendite italiane), che rappresenta una sfida dal punto di vista dei margini (visto il potere negoziale della controparte) ma che in questa fase di chiusura totale del canale Ho.Re.Ca. ha avuto un andamento migliore. E in effetti, anche per Sartori le cose fino ad ora non sembrano essere andate male, visto che le vendite sono fino ad ora calata di meno del 10%. Andiamo dunque ad analizzare più da vicino il 2019.

    Le vendite sono stabili a 52 milioni di euro con un andamento positivo dell’Italia (+6% secondo il bilancio, +9% nella relazione) e un calo del 3% delle vendite esteri, per rispettivamente 15 e 37 milioni di euro. Le vendite nella GDO italiana sono in crescita del 4%.
    All’estero si combinano i progressi in diversi paesi (Germania, Austria e Francia a +8/9%, Regno Unito e Giappone +11%, oltre a forti progressi in mercati meno rilevanti in valore assoluto come la Russia e la Corea del Sud), con il calo nel mercato americano (-20%) dovuto anche al cambio di distributore. Anche in Cina (non vengono forniti numeri) le cose sembrano non andare per il verso giusto.
    I margini sono in ulteriore contrazione. L’utile operativo cala del 7% a 2.5 milioni di euro, per un margine del 4.8% rispetto al 5.1% dello scorso anno. Sia in termini assoluti che percentuali è il livello più basso dal 2013 a questa parte. Il calo del 2019 è determinato per 10 punti base dalle materie prime (che però erano cresciute molto nel 2018) e per 20 punti base per il costo del personale. L’utile netto scende del 6% a 1.3 milioni, con oneri finanziari in calo e un’aliquota fiscale in leggerissimo miglioramento al 28%.
    Nella parte finanziaria, come dicevamo sopra il debito netto cala da 12.6 a 11.1 milioni di euro. Contribuiscono al miglioramento il calo di circa 1 milione di euro del capitale circolante (peraltro la principale causa del balzo del debito nel 2018) e il calo degli investimenti (solo 0.4 milioni nel 2019). Come lo scorso anno, Sartori ha distribuito 1 milione di euro di dividendi ai propri azionisti.
    Il rapporto debito/EBITDA migliora leggermente da 4.7 a 4.4 volte, mentre il ritorno sul capitale cala al 10% (11% nel 2018), nonostante la leggera contrazione del capitale investito (da 25 a 24 milioni di euro).
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Francia – produzione di vino 2019

    Il 2019 è stata una vendemmia sotto-tono per la Francia, soprattutto per i vini di qualità destinati alla distillazione (Cognac e Armagnac). I 42.3 milioni di ettolitri prodotti, certificati da Agreste da cui vengono questi dati, sono chiaramente inferiori ai livelli quantitativi italiani ma anche del 6% sotto la media degli ultimi 5 anni. Dal punto di vista delle aree geografiche sono certamente Borgogna, Jura e la Valle della Loira a presentare i dati meno positivi. Dal punto di vista delle tipologie di prodotto il calo si concentra nei vini bianchi e nei vini da tavola. Passiamo all’analisi dei dati.

    La produzione di vino in Francia cala del 14% sul 2018 a 42.3 milioni di ettolitri, del 6% inferiore alla media degli ultimi 5 anni.
    Sono invece migliori i dati relativamente alla superficie vitata, in crescita dello 0.6% a 750mila ettari, concentrato nel segmento dei vigneti AOC per la distillazione (+2%, seguendo un trend di crescita costante) e registrati per la produzione di vini IGT (+4%). In totale i vigneti AOC sono circa 520mila ettari, mentre quelli destinati ai vini da tavola sono al minimo storico, poco sotto 30mila ettari.
    Tornando alla produzione di vino, gli AOC (che sono i nostri DOC) sono stati prodotti in 19.5 milioni di ettolitri, -13% sul 2018 e -6% sull’anno scorso. Sono soprattutto i bianchi a calare, essendo l’8% sotto la media storica a 6.8 milioni di ettolitri.
    Nel vino soggetto a distillazione (tutto bianco) il dato cala del 20% rispetto al record del 2018, ma si pone con 7.8 milioni di ettolitri dell’8% sotto la media storica.
    Vanno invece meglio i vini IGT, 12.4 milioni di ettolitri, solo il 2% sotto il 2018 e l’1% sopra la media degli ultimi 5 anni. All’interno della categoria noterete dai dati un forte incremento dei rossi +8/9% sia contro il 2018 che contro la media, mentre i vini bianchi crollano del 26% a 2.7 milioni di ettolitri.
    Il quadro vede dunque una produzione di vino bianco di soli 18.4 milioni di ettolitri, addirittura l’11% sotto la media storica, mentre i vini rossi “si difendono”, con una riduzione del 4% sul 2018 e solo il 2% sotto la media storica. Dopo un 2018 in cui le due categorie erano quasi pari, il bilanciamento torna pesantemente a favore dei rossi (come dobbiamo dire è stato nel passato).
    Ci sono anche i dati delle regioni, un po’ ballerini e quindi non pubblicati in tabella (i totali non mi tornano mai). Comunque su questi numeri molto male Borgogna e Beaujolais, il 21% sotto la media storica a 1.9 milioni di ettolitri, e la valle della Loira a 2.3 milioni, l’11% sotto media. La Champagne è in linea (2.5 milioni di ettolitri, -2% sulla media 2014-18), mentre Bordeaux ha chiuso a 5.1 milioni di ettolitri nel 2019, -8% sul 2018 e -7% sulla media storica.
    Il tutto in attesa delle nuove stime sul 2020, anno in cui produrre di meno sarà forse la parola d’ordine…
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    Norvegia – importazioni di vino 2019

    La Norvegia è un altro mercato in cui l’Italia ha vissuto anni di temporanea leadership a danno della Francia e dove ora le gerarchie si sono ristabilite. Già lo scorso anno avevamo commentato il sorpasso della Francia dopo qualche anno di primato italiano, nel 2019 la distanza è aumentata, grazie al +7% segnato dalle importazioni norvegesi di vino francese contro il dato stabile dell’Italia. Una componente importante di questa difficoltà dei nostri prodotti è relativa agli spumanti, che i norvegesi non sembrano apprezzare (o almeno non i nostri), ma nel 2019 anche il vino in bottiglia italiano è cresciuto meno di quello francese. Tornando ai numeri generali, la Norvegia ha importato nel 2019 386 milioni di vino, +3%, con un progresso lento ma costante negli anni. I volumi sono esigui, 0.9 milioni di ettolitri e sostanzialmente stabili nel corso degli anni. Passiamo ai dettagli.

    Dei 386 milioni di cui dicevamo sopra 248 sono relativi al vino in bottiglia (+4% nel 2019 e +2% annuo su 5 anni) e 54 milioni sono di vini spumanti, +3% (+5% annuo su 5 anni). Il rimanente 79 milioni di euro è relativo ai vini sfusi, in calo del 4% nel 2019 e dove l’Italia resta in posizione di leadership.
    La Francia ha avuto un anno migliore. La quota sul mercato norvegese cresce dal 32% al 33% grazie a un +7% sul 2018, con un incremento del 9% per i vini fermi in bottiglia (83 milioni), un calo del 9% dei vini sfusi a 17 milioni e un ottimo +11% sui vini spumanti. Totale: 128 milioni.
    Il vino italiano subisce l’impatto dello scarso successo dei vini spumanti, che calano del 4% a 17 milioni euro, e del trend strutturale negativo dei vini sfusi, -8% a 22 milioni. I vini fermi in bottiglia compensano le altre due categorie con un +4% a 79 milioni, ma lasciano il nostro prodotto a 120 milioni, +1%
    Dopo Italia e Francia, che insieme coprono il 64% delle importazioni norvegesi pochi spunti di riflessione. Il prodotto americano sembra in crescita, mentre sono leggermente negativi i dati di importazione dei vini spagnoli e tedeschi, rispettivamente terzo e quarto paese da cui la Norvegia importa vino.
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    Naked Wines – risultati 2019/20

    In questo inizio di weekend estivo parliamo di Naked Wines, che risorge dalle ceneri di Majestic Wine. Come forse ricorderete lo scorso anno abbiamo commentato il progetto di disfarsi della catena di negozi fisici per concentrarsi sull’ecommerce attraverso l’originale business model di Naked Wines, una specie di negozio online con abbonamento (20 sterline al mese) e con un assortimento quasi completamente alternativo acquistato nel 2015. Nella nuova configurazione Naked Wines ha un fatturato di circa 200 milioni di sterline (erano quasi 500 prima), un utile operativo in pareggio (prima ne guadagnava 15-20 all’anno) ma ha una posizione finanziaria molto migliorata (55 milioni di cassa) e cresce del 15% all’anno. Hanno fatto bene o male? Mah, a guardare l’andamento di borsa si direbbe di no. Ma ovviamente l’avvento del COVID ha cambiato completamente le carte in tavola. Naked Wines vince (crescita accelerata, costi unitari in calo per l’effetto scala), se fosse rimasta con i negozi fisici sarebbe stato un vero disastro. Secondo i dati presentati, nel mercato americano la quota online delle vendite al dettaglio di vino è cresciuta dal 5% pre-crisi al 20% del totale a metà Aprile.  Commentiamo brevemente i numeri.

    Le vendite 2019 (chiusura Marzo 2020) crescono del 14% a 203 milioni di sterline. A trainare la crescita è il mercato americano, +20% a 91 milioni (anche grazie al cambio), mentre il Regno Unito fa +11% (80 milioni) e l’Australia +3%. I clienti pre-esistenti hanno contribuito con 174 milioni di euro di vendite, quelli acquisiti nell’anno (a caro prezzo) 29 milioni di sterline.
    Va però detto che questo investimento nei nuovi clienti (che costa circa 10 milioni di sterline per fatturarne 29) ha un piano di rientro ben preciso sulla base degli acquisiti che questi clienti faranno negli anni futuri.
    A livello operativo le cose sono ovviamente cambiate in peggio, visto che pur in declino l’attività “fisica” generava margini positivi. L’attività è fondamentalmente in pareggio (1 milione di sterline in perdita, 3 milioni lo scorso anno). C’è un ulteriore aggiustamento che Naked Wine fa, togliendo il costo di acquisizione dei nuovi clienti: in questa ulteriore configurazione l’utile operativo sale a 10 milioni di sterline, il 5% dei 200 milioni di fatturato (o forse sarebbe meglio calcolarlo sul fatturato soltanto dei vecchi clienti? Ossia 174 milioni).
    La vendita dei negozi fisici ha consentito di cancellare il debito. Naked Wines ha oggi 55 milioni di sterline in cassa, contro 15 milioni di debito dello scorso anno.
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    Sud Africa – esportazioni di vino 2019

    Le esportazioni di vino del Sud Africa sono calate dell’11% in Euro (poco sotto 600 milioni) e dell’8% in valuta locale (9.5 miliardi di Rand) a fronte di un pesante calo dei volumi esportati. Secondo UN Comtrade il vino spedito dal Sud Africa nel mondo è sceso da oltre 5 milioni di ettolitri a 3.8 milioni, per un calo di oltre il 25%. Pur non essendo del tutto convinto di questo numero, devo ammettere che coincide con altre fonti (Corriere Vinicolo, per esempio). Regno Unito e Germania, i due mercati principali per i vini africani, sono calati pesantemente e non ci sono altri mercati significativi che aiutino a compensare. La Cina resta una piazza marginale (meno del 5% delle esportazioni), così come il mercato americano, dove il prodotto non ha mai sfondato. Si aggiunga che il Sud Africa non può contare su un bacino di paesi importatori nel suo continente: soltanto la Namibia appare nella nostra lista dei principali clienti. Passiamo brevemente a qualche numero.

    Secondo UN Comtrade, il Sud Africa ha esportato vino per 591 milioni di euro nel 2019, con un calo dell’11% rispetto al 2018. In realtà se vedete il grafico vi accorgete che da ormai qualche anno a questa parte le esportazioni oscillano in una fascia 580-660 milioni di euro, e siamo dunque in un anno abbastanza cattivo. Di questi, 411 milioni sono di vini in bottiglia (-5%), 161 milioni di vino sfuso (-21%) e 19 di altri prodotti (spumanti, mosti e via dicendo).
    Il dato sul volume è più difficile da leggere. Secondo UN Comtrade le esportazioni 2018 erano 5.3 milioni di ettolitri, secondo altre fonti 4.8 milioni, secondo altre ancora (SAWIS l’associazione vinicola locale) ancora di meno, 4.2 milioni. Vabbè. Qui prendiamo UN Comtrade e quindi diciamo che le esportazioni sono calate da 5.3 a 3.8 milioni di ettolitri, -27%. -22% per i vini in bottiglia a 1.6 milioni e -29% per i vini sfusi a 2.2 milioni di ettolitri.
    I due mercati chiave sono entrambi negativi: -15% per il Regno Unito a 106 milioni, -20% per la Germania a 69 milioni. Leggendo i dati, mancano “appigli” per trovare un vero trend di crescita in un mercato. Noterete che per trovare un mercato in crescita per così dire strutturale dovete arrivare al Giappone, +19% ma solo 17 milioni di euro. Tutti gli altri sono o in recupero o in declino. Attirerei per chiudere la vostra attenzione sulla linea della Svezia…
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    Russia – importazioni di vino 2019

    Il mercato del vino russo tocca un nuovo picco nel 2019: per la prima volta le importazioni di vino superano quota 1 miliardo di euro (+17%) e, apparentemente, 6.5 milioni di ettolitri (su questo dato sono un po’ meno convinto, ma questo è quanto riportato da UN Comtrade). L’Italia mantiene la sua posizione di leadership assoluta. Il mercato russo è uno dei pochi in cui il vino italiano è andato meglio di quello francese. Ma dietro la Francia sta crescendo molto forte il prodotto spagnolo che è balzato di quasi il 30% e che viene da una serie ininterrotta di anni positivi. Ormai vicino alla Francia, nel 2020 potrebbe anche esserci il sorpasso (COVID permettendo). Sarebbe probabilmente l’unico mercato importante in cui la Spagna supera la Francia. Passiamo ai dati.

    Le importazioni di vino della Russia sono cresciute del 16.6% a 1038 milioni di euro nel 2019, riportando dunque a +4% il ritmo di crescita annuo sugli ultimi 5 anni. Nel 2019 il Rublo ha ripreso un po’ di valore, quindi se tradotte in valuta locale le importazioni sono cresciute un po’ di meno, +14% a 75 miliardi di rubli. Va però specificato che il Rublo ha perso tantissimo prima del 2019 e quindi se confrontiamo il dato in rubli del 2019 (75 miliardi) con quello di 5 anni fa (33 miliardi) ci possiamo rendere conto di quanto sia cresciuto il consumo di vino nel paese.
    L’Italia cresce del 15% a 302 milioni di euro, di cui 116 milioni sono di vino spumante, in crescita leggermente superiore, +19%. La quota di mercato del prodotto italiano è nell’ordine del 29-30%, supportata dalla presenza molto forte negli spumanti, dove abbiamo il 60% del mercato.
    La Francia fa molta più fatica. Nel 2019 le esportazioni crescono solo del 6% a 171 milioni di euro, con gli spumanti a +9% (55 milioni di euro, meno della metà dell’Italia).
    Come dicevamo sopra la Spagna ha oramai raggiunto la Francia, con un balzo del 29% a 167 milioni di euro, di cui soltanto 16 nel segmento degli spumanti (il che lascia ampi spazi di miglioramento).
    Vi allego anche i dati sui volumi, che sono molto diversi da quelli del 2018: nel 2019 vengono riportati 6.5 milioni di ettolitri di importazioni contro 4-4.5 milioni all’anno degli anni precedenti. Per quanto riguarda i volumi, la Spagna e l’Italia sono praticamente appaiate con 1.5 milioni di ettolitri ciascuno.
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    Brasile – importazioni di vino 2019

    Nonostante i problemi economici strutturali e la costante svalutazione della moneta degli ultimi anni, il Brasile è un paese promettente per il consumo di vino. Anche nel 2019, le importazioni sono cresciute a doppia cifra in termini di volumi e, se tradotte in Real, del 7% in valore. Il mercato vale circa 330 milioni di euro e 1.3 milioni di ettolitri, che si combinano ai circa 3 prodotti localmente (secondo le statistiche OIV). La combinazione di vicinanza geografica e regole doganali lo rendono un mercato dominato dai cileni e dagli argentini, seguiti dal Portogallo, di cui un tempo il Brasile fu colonia e che ne ha adottato la lingua. Italia e Francia sono sullo stesso livello, nello specifico del 2019 la Francia ha fatto meglio (come in tanti altri mercati), ma se si allarga lo sguardo su periodi più lunghi il nostro prodotto ha avuto uno sviluppo più sostenuto. Passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Le importazioni di vino in Brasile nel 2019 toccano quota 332 milioni di euro, con un incremento del 4.4% sul 2018 e del 6% annuo sugli ultimi 5 anni. Se tradotti in valuta locale, la crescita diventa del 7% nel 2019 e addirittura del 14% annuo sugli ultimi 5 anni, a causa della forte svalutazione del Real negli ultimi anni.
    I volumi hanno una dinamica ancora più sostenuta: nel 2019 sono stati importati 1.33 milioni di ettolitri, +14%, mentre sugli ultimi 5 anni il ritmo è dell’11% annuo.
    La leadership del mercato è saldamente nelle mani dei cileni, che esportano in Brasile 663mila ettolitri di vino nel 2019 (massimo storico, +29%) per un valore di 131 milioni di euro, in crescita del 6% sul 2018 e del 9% annuo dal 2014 a questa parte. Sono molto positivi anche i dati dell’Argentina (+8%), su valori del tutto diversi (51 milioni di euro per 173mila ettolitri), mentre il Portogallo è cresciuto soltanto del 2% nel 2019 (47 milioni, 183mila ettolitri) dopo un notevole balzo negli ultimi anni.
    Venendo alla performance dell’Italia, come vedete siamo sullo stesso livello dei francesi, 34 milioni, con un volume quasi doppio (121mila ettolitri contro 69mila). Come dicevamo sopra, l’andamento sui 5 anni è migliore (+5% contro -1%) e questo è incoraggiante: quando i valori sono così piccoli i dati di breve termine possono essere molto volatili. Paghiamo lo sviluppo molto limitato dei nostri spumanti, che vengono esportati solo per 4 milioni di euro, contro i 12 milioni di euro della Francia, in un mercato che comunque non sembra essere particolarmente portato per questo tipo di prodotto.
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    Australia – esportazioni di vino 2019

    L’export di vino australiano si sta sempre più legando alla Cina. Anche nel 2019, secondo i dati pubblicati da UN Comtrade, a fronte di un valore totale delle esportazioni in crescita del 2%, la Cina ha segnato una crescita del 12% e ha quindi incrementato il suo peso dal 35% al 39% del totale commercio estero del paese (che poi diventano il 43% se mettiamo dentro anche Hong Kong). Questo resta l’unico spunto veramente positivo del commercio estero vinicolo australiano, per il resto caratterizzato da una sfilza di segni meno negli altri mercati importanti come USA, Regno Unito e Canada. La crisi del COVID potrebbe addirittura salvare il vino australiano più di quanto non succederà ai nostri prodotti. Dopotutto la Cina è entrata prima ed uscita prima dalla crisi, apparentemente (ripeto apparentemente) con un prezzo in termini di vite ed economia inferiore al nostro. Resterà da vedere come cambieranno gli equilibri mondiali dopo questa crisi. Se cioè la Cina riuscirà a mantenere il passo del passato in termini di crescita economica. Per adesso concentriamoci su questi 3 miliardi di dollari australiani e 7.5 milioni di ettolitri che l’Australia ha esportato nel 2019.

    Le esportazioni australiane sono cresciute del 2% nel 2019 a 2.96 miliardi di dollari australiani, nonostante un calo dei volumi dell’8% a 7.5 milioni di ettolitri (proprio dovuto a un crollo di volumi presumibilmente a basso costo spediti in Cina), dopo due anni di “super export” a 8.1 milioni.
    Se tradotte in euro, le esportazioni sono invece stabili a 1.83 miliardi di euro, data la leggera svalutazione del dollaro australiano contro l’euro (e ancora di più contro il dollaro americano: se tradotte in dollari americani saremmo a -5% per 2054 milioni di dollari).
    La Cina è chiaramente il punto di forza degli australiani. Anche nel 2019 le esportazioni sono cresciute, +12% a 1.14 miliardi di dollari. Meno bene è andata a Hong Kong, dove però la situazione è stata radicalmente diversa nel 2019, visti i disordini. In questa “città stato” le esportazioni sono invece calate del 2% a 126 milioni. Messi insieme, questi due mercati sono ormai il 43% dell’export australiano. Un punto di forza o di debolezza? Un punto di forza, tutto sommato secondo me, viste le dinamiche di forte crescita strutturale della Cina. Se volessimo vedere i punti di debolezza dovremmo ovviamente considerare la concentrazione nel singolo mercato e le potenziali variazioni dello scenario regolamentare locali, da non trascurare.
    Negli altri mercati importanti come vedete le cose non vanno bene: in USA -2% a 435 milioni dopo una serie di anni in costante calo, nel Regno Unito le esportazioni ritracciano a 370 milioni, -9%, dopo un buon 2018, e anche in Canada succede la stessa cosa: buon 2018 e cattivo 2019 (-11% a 185 milioni).
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