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    Dalla Piana al mondo: il nuovo racconto del Teroldego

    Ci sono vini che nascono da un luogo, e altri che sono un luogo. Il Teroldego Rotaliano appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Parlare di questo vitigno significa parlare della Piana Rotaliana, di una trama di suoli e di storie che si confondono fino a diventare un’unica identità. In pochissimi altri casi nel mondo il vincolo fra vitigno, vino e territorio appare tanto indissolubile.

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    Ad esempio, molti vitigni italiani – dal Nebbiolo al Sangiovese – hanno saputo adattarsi a luoghi diversi, generando una pluralità di espressioni.Il Teroldego, invece, resta fedele alla sua terra d’origine: ogni tentativo di trapiantarlo altrove ha restituito vini privi della stessa profondità che qui, tra Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, trova la sua misura più autentica.

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    Il Teroldego è un vino che coniuga radici profonde e leggerezza contemporanea: ha corpo e carattere, ma non appesantisce; è ricco senza essere opulento.In un tempo in cui il gusto si orienta verso rossi più agili, gastronomici, capaci di accompagnare la tavola senza dominarla, il Teroldego si rivela moderno nel senso più vero del termine — un vino che parla al presente senza tradire la propria storia.

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    La Piana dell’acqua e della luce

    La Piana Rotaliana – la più ampia pianura del Trentino – si distende tra il torrente Noce, il fiume Adige e il passo della Rocchetta, porta naturale verso la Val di Non. Già nel VI secolo Paolo Diacono la citava come Campo Rotaliano, toponimo di probabile origine celtica che rimanda all’idea di “pianura dell’acqua”: un mosaico di suoli alluvionali e antiche paludi che, nei secoli, ha conservato una fertilità straordinaria.

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    Su questo lembo di terra, incastonato tra pareti di roccia e percorso dai venti del Garda, il Teroldego ha trovato il suo equilibrio. Un vitigno autoctono documentato sin dal Trecento, legato in modo quasi mistico al microclima del Campo Rotaliano: giornate luminose, forti escursioni termiche, un drenaggio perfetto che costringe la vite a scavare in profondità. Ne nascono vini dal colore rubino intenso, profumati di mora, lampone e spezie, dotati di una trama minerale e una beva contemporanea, capace di conciliare struttura e freschezza.

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    Un vino con radici nobili

    La storia del Teroldego è intrecciata con quella del Trentino. Citato per la prima volta in un atto notarile del 1480, guadagnò fama internazionale ai tempi del Concilio di Trento, quando fu servito ai padri conciliari e subito apprezzato per la sua eleganza. Maria Teresa d’Austria lo chiamava Tiroler Gold – oro del Tirolo – un nome che ancora oggi ne accompagna le leggende etimologiche.

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    La sua genealogia, ricostruita grazie agli studi genetici dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, rivela parentele illustri: il Teroldego è progenitore del Marzemino e del Lagrein e mostra legami di sangue con due varietà nobili come Pinot Noir e Syrah. Una discendenza che spiega la sua finezza aromatica e la sua naturale predisposizione all’evoluzione.

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    Dopo la crisi della fillossera e la devastazione della Prima Guerra Mondiale, la rinascita del vitigno fu dovuta alla tenacia dei produttori e al lavoro pionieristico di Rebo Rigotti, figura chiave dell’enologia trentina. Nel 1948 nacque il Consorzio del Teroldego, e nel 1971 arrivò la DOC “Teroldego Rotaliano”, simbolo di una nuova consapevolezza identitaria.

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    Oggi la Piana Rotaliana mostra tre anime: i vini di Mezzocorona, più morbidi e immediati; quelli di Mezzolombardo, più tesi e longevi; e i vini di Grumo, che grazie al respiro dell’Ora del Garda possono spingersi verso una maturazione più ampia e complessa. Diversità che confermano, ancora una volta, la ricchezza di un territorio in cui ogni parcella racconta una sfumatura diversa della stessa voce.

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    Incontri Rotaliani 2025: il dialogo dei territori

    Da questa consapevolezza nasce Incontri Rotaliani, la rassegna biennale che il Consorzio Turistico Piana Rotaliana Königsberg dedica al confronto tra il Teroldego e altri grandi vini del mondo. Un laboratorio di idee e di dialoghi, dove la cultura del vino diventa strumento di relazione tra territori, persone e visioni.

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    La quarta edizione di Incontri Rotaliani si è svolta il 25 e 26 ottobre 2025 tra Mezzolombardo, Mezzocorona e San Michele all’Adige, confermandosi come uno degli appuntamenti più significativi del panorama enologico trentino.

    Quest’anno il dialogo si è aperto con due territori che condividono con il Trentino una nobile parentela genetica: Cortona, in Toscana, e la Côte-Rôtie, nella Valle del Rodano, entrambi interpreti eccellenti del Syrah. Un incontro che ha superato i confini del calice, toccando le radici comuni della viticoltura e le infinite possibilità di dialogo tra terroir lontani.

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    Attraverso wine talk, degustazioni guidate, banchi d’assaggio e momenti di confronto culturale, la manifestazione ha confermato la Piana Rotaliana come crocevia di esperienze, laboratorio di idee e di identità. Un territorio che non ha paura di misurarsi con il mondo, ma anzi trova nel confronto la chiave della sua forza.

    Le edizioni precedenti – dalla Borgogna alla Rioja, fino all’Etna – avevano già tracciato il solco di un racconto in cui il vino diventa linguaggio universale. La 2025 ha aggiunto un nuovo capitolo, rafforzando la consapevolezza che il Teroldego non è soltanto un simbolo del Trentino, ma un interlocutore autorevole nel panorama del vino internazionale.

    Oggi, più che mai, il Teroldego Rotaliano rappresenta l’equilibrio tra radici e modernità. È figlio di una terra irripetibile e al tempo stesso capace di parlare la lingua del presente: quella della freschezza, della versatilità, della convivialità. Un vino che può attrarre l’appassionato e il nuovo consumatore, raccontando con autenticità la Piana Rotaliana e la sua energia contemporanea.

    From the Plain to the World: the New Story of Teroldego

    There are wines that are born from a place, and others that are a place.Teroldego Rotaliano undoubtedly belongs to the latter. To speak of this grape is to speak of the Piana Rotaliana — of a weave of soils and stories that merge until they become a single identity. In very few cases around the world does the bond between grape, wine, and land appear so indissoluble.

    Many Italian varieties – from Nebbiolo to Sangiovese – have learned to adapt to different regions, creating a multitude of expressions.Teroldego, on the other hand, remains faithful to its homeland: every attempt to transplant it elsewhere has produced wines lacking the depth it achieves here, between Mezzolombardo, Mezzocorona, and San Michele all’Adige, where it finds its most authentic balance.

    Teroldego is a wine that combines deep roots with a contemporary lightness: it has body and character without heaviness; it is rich yet never opulent.At a time when taste leans toward more agile, food-friendly reds — wines that accompany rather than dominate the table — Teroldego reveals itself as truly modern: a wine that speaks to the present without betraying its past.

    The Plain of Water and Light

    The Piana Rotaliana – the widest plain in Trentino – stretches between the Noce stream, the Adige River, and the Rocchetta Pass, a natural gateway to the Val di Non. Already in the 6th century, the historian Paul the Deacon referred to it as Campo Rotaliano, a name of probable Celtic origin evoking the “plain of water”: a mosaic of alluvial soils and ancient marshes that has preserved extraordinary fertility through the centuries.

    On this strip of land, set between rocky cliffs and swept by the winds from Lake Garda, Teroldego has found its perfect harmony.This native grape, documented since the 14th century, is almost mystically tied to the microclimate of the Campo Rotaliano: bright days, sharp temperature swings, and excellent drainage that forces the vine to dig deep.The result is a wine of intense ruby color, with aromas of blackberry, raspberry, and spice — minerally textured, fresh, and beautifully balanced between structure and drinkability.

    A Wine with Noble Roots

    The history of Teroldego is intertwined with that of Trentino itself. First mentioned in a notarial document from 1480, it gained international fame during the Council of Trent, when it was served to the conciliar fathers and admired for its elegance.Empress Maria Theresa of Austria called it Tiroler Gold – “the gold of Tyrol” – a name that still echoes through the legends of its etymology.

    Its genealogy, reconstructed through genetic studies by the Edmund Mach Foundation in San Michele all’Adige, reveals illustrious kinships: Teroldego is a progenitor of Marzemino and Lagrein and shares genetic ties with two noble varieties — Pinot Noir and Syrah. A lineage that explains both its aromatic finesse and its natural aptitude for aging.

    After the devastation of phylloxera and the First World War, the grape’s revival was made possible by the perseverance of local growers and the pioneering work of Rebo Rigotti, a key figure in Trentino viticulture.In 1948, the Consorzio del Teroldego was founded, and in 1971 came the DOC “Teroldego Rotaliano”, marking a new era of identity and awareness.

    Today, the Piana Rotaliana expresses three distinct souls: the wines of Mezzocorona — softer and more immediate; those of Mezzolombardo — more vibrant and long-lived; and the wines of Grumo, which, thanks to the Garda breeze, achieve broader and more complex ripeness.Differences that confirm, once again, the richness of a territory where every parcel tells a unique nuance of the same voice.

    Incontri Rotaliani 2025: a Dialogue of Territories

    From this awareness was born Incontri Rotaliani, the biennial event organized by the Piana Rotaliana Königsberg Tourist Consortium to promote dialogue between Teroldego and other great wines of the world. A laboratory of ideas and encounters, where wine culture becomes a bridge between territories, people, and visions.

    The fourth edition of Incontri Rotaliani took place on October 25–26, 2025, across Mezzolombardo, Mezzocorona, and San Michele all’Adige, confirming itself as one of Trentino’s most significant wine events.

    This year’s dialogue opened with two regions that share a noble genetic link with Trentino: Cortona, in Tuscany, and Côte-Rôtie, in France’s Rhône Valley — both exceptional interpreters of Syrah.An encounter that went beyond the glass, exploring the shared roots of viticulture and the endless possibilities of dialogue between distant terroirs.

    Through wine talks, guided tastings, walk-around sessions, and cultural discussions, the event reaffirmed the Piana Rotaliana as a crossroads of experiences — a living laboratory of identity and innovation.A territory unafraid to engage with the world, finding in that very openness the source of its strength.

    Previous editions — from Burgundy to Rioja, and even Mount Etna — had already traced the path of a story in which wine becomes a universal language. The 2025 chapter added new depth, confirming that Teroldego is not merely a symbol of Trentino, but a confident interlocutor on the international stage.

    Today, more than ever, Teroldego Rotaliano embodies the balance between roots and modernity.It is the child of an unrepeatable land, yet speaks the language of the present — freshness, versatility, conviviality.A wine capable of attracting both enthusiasts and newcomers, telling the story of the Piana Rotaliana with authenticity and contemporary energy. LEGGI TUTTO

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    Fior d’Arancio Secco: l’eleganza spontanea dei Colli Euganei

    Il bello del Fior d’Arancio Secco è che è diventato un vino moderno senza accorgersene. Non ha inseguito mode né mutato natura: semplicemente, i vignaioli euganei hanno continuato a fare il loro vino come sempre. Ed è il mondo, oggi, ad aver raggiunto quel modo di bere — più leggero, gastronomico, immediato. Se un tempo poteva sembrare un bianco “minore”, oggi la sua bevibilità e la sua versatilità a tavola ne fanno uno dei vini più contemporanei del panorama veneto.

    Dietro quel nome gentile, Fior d’Arancio, c’è il Moscato Giallo, vitigno aromatico di antica origine mediterranea, arrivato sui Colli Euganei grazie ai commerci veneziani tra Medioevo e Rinascimento. Proprio come accade in Alto Adige per il Goldmuskateller, valorizzare il vitigno in etichetta potrebbe essere un atto di chiarezza e di identità: un modo per riconoscere che l’aromaticità, quando è naturale e misurata, può essere sinonimo di eleganza.

    La versione secca del Fior d’Arancio è una delle tre declinazioni — insieme a quella spumante e passita — della DOCG Moscato dei Colli Euganei, nata nel 2010. È un vino che nasce tra le alture vulcaniche e i versanti più dolci del Parco Regionale dei Colli Euganei, oggi anche Riserva della Biosfera MAB UNESCO. Un territorio dove il lavoro dell’uomo dialoga con una biodiversità ricchissima, tra boschi, ciglioni e oliveti, e dove la viticoltura ha saputo mantenere equilibrio e misura.

    Il Moscato Giallo euganeo matura tardi, sviluppando una carica aromatica complessa che, nella versione secca, si traduce in note di fiori d’arancio, tiglio e zagara, con tocchi di agrumi e pesca. È un profumo che non invade, ma accompagna. In bocca, la freschezza e la sottile acidità tengono tutto in equilibrio, invitando al secondo sorso.

    Un vino che si muove con disinvoltura dalla tavola quotidiana alla cucina d’autore: perfetto con crostacei e molluschi, sorprendente con carni bianche e formaggi erborinati, capace di adattarsi al gioco della contaminazione gastronomica contemporanea.

    Il rapporto con la ristorazione è oggi cruciale per il Fior d’Arancio Secco: fare cultura del vitigno, raccontarlo al calice, significa anche aprire una finestra sul territorio. I Colli Euganei, con i loro borghi, le ville venete e le stazioni termali, sono un mosaico di esperienze dove il vino diventa parte integrante del viaggio.

    Forse è questo il segreto del Fior d’Arancio Secco: un vino che sa essere autentico e moderno allo stesso tempo. Non ha bisogno di reinventarsi, gli basta continuare a essere se stesso — figlio di un paesaggio unico e di una tradizione che guarda avanti senza perdere radici.

    I vini degustati

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Saeòpa” 2024 – Colle MattaraColle Mattara è una piccola realtà immersa nel cuore verde dei Colli Euganei, dove le vigne respirano aria vulcanica e luce limpida. Il Saeòpa 2024 si apre con profumi di fiori bianchi e agrumi maturi, accennando appena a note di erbe aromatiche. In bocca è diretto, luminoso, con un equilibrio naturale tra freschezza e sapidità. Un vino che non ha bisogno di spiegarsi troppo: basta un sorso per sentirne la sincerità. Perfetto con pesce, verdure di stagione o anche solo per aprire la cena con leggerezza.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG 2023 – Cantina Colli EuganeiDalla cooperativa simbolo del territorio arriva un Moscato Giallo che racconta in modo nitido la sua terra. Il colore è chiaro, il profumo ricorda la pesca, l’albicocca e un tocco di arancia candita. Al palato la sorpresa: è completamente secco, vibrante, con una freschezza che pulisce e invoglia al secondo bicchiere. Più che un vino aromatico, un bianco dallo spirito mediterraneo. Ottimo con antipasti di mare, sushi o primi piatti delicati.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Silene” 2023 – Bacco e AriannaIl Silene porta nel bicchiere l’anima più profonda dei Colli Euganei. Il colore è dorato, il naso regala note di pera, spezie fini e scorza di limone. In bocca è dinamico, fresco, ma con una sottile rotondità che lo rende avvolgente. È un vino che parla di erbe e di pietra, di equilibrio tra forza e misura. Servito fresco, accompagna bene primi piatti leggeri, risotti alle verdure o una frittura di pesce, con quella naturalezza che solo i vini veri sanno avere.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Unico” 2023 – Terre GaieTerre Gaie è un progetto familiare che unisce radici e visione. L’“Unico” è un Fior d’Arancio che guarda avanti: profumi di frutta gialla e salvia, sorso teso, leggermente sapido, con una struttura che invita alla tavola. È un bianco dalla personalità chiara, capace di reggere primi piatti con verdure, uova e asparagi o secondi di pesce. Non cerca effetti speciali, ma comunica autenticità e misura.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Jelmo” 2023 – Tenuta GambalongaUn vino dedicato al nonno, “Jelmo”, figura fondante della storia familiare: già questo dice molto del legame con la tradizione. Nel bicchiere, profumi di fiori d’arancio e pesca bianca si intrecciano con un accenno minerale. Il sorso è lineare, fresco, con un finale asciutto e pulito che lascia la bocca viva. È un Fior d’Arancio che sa coniugare eleganza e immediatezza, ideale con crostacei, primi piatti di mare e carni bianche delicate.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Passito DOCG 2016 – Cristofanon MontegrandeIl Passito di Cristofanon è un piccolo racconto liquido del tempo. Oro intenso nel calice, profuma di scorza d’arancia, miele, spezie e fiori secchi. Il sorso è dolce ma non stucchevole, sostenuto da una vena fresca e sapida che lo tiene in perfetto equilibrio. Stravolgiamo tutte le convenzioni e serviamolo come aperitivo, accanto a foie gras, formaggi erborinati, finger food speziati o gamberi caramellati. Una chiusura che ricorda il sole che cala sui Colli Euganei.

    Fior d’Arancio Secco: the spontaneous elegance of the Euganean Hills

    The beauty of Fior d’Arancio Secco lies in how it became a modern wine almost without realising it. It didn’t chase trends or change its nature — the Euganean winemakers simply kept doing what they had always done. And today, the world has caught up with their way of drinking: lighter, gastronomic, immediate. Once considered a “minor” white wine, its drinkability and versatility at the table now make it one of the most contemporary wines in Veneto.

    Behind that gentle name, Fior d’Arancio, lies Moscato Giallo, an aromatic grape of ancient Mediterranean origin, brought to the Euganean Hills through Venetian trade routes between the Middle Ages and the Renaissance. Much like South Tyrol’s Goldmuskateller, giving prominence to the grape on the label could be an act of clarity and identity — a way of recognising that aromatic character, when natural and measured, can indeed be a synonym for elegance.

    The dry version of Fior d’Arancio is one of the three expressions — alongside the sparkling and passito — of the Moscato dei Colli Euganei DOCG, established in 2010. It’s a wine born among the volcanic ridges and gentle slopes of the Euganean Hills Regional Park, now also a UNESCO MAB Biosphere Reserve. Here, human hands work in harmony with a rich biodiversity of woods, terraces and olive groves, cultivating vines with balance and restraint.

    The Euganean Moscato Giallo ripens late, developing a complex aromatic profile that, in its dry version, unfolds with notes of orange blossom, linden and citrus, touched by hints of peach. It’s a fragrance that accompanies rather than overwhelms. On the palate, freshness and subtle acidity keep everything in perfect balance, inviting another sip.

    It’s a wine that moves effortlessly from everyday tables to fine dining: perfect with shellfish and seafood, surprising with white meats and blue cheeses, and flexible enough to adapt to the playful spirit of contemporary gastronomy.

    Its relationship with the restaurant world is now crucial: to build a culture around this grape, to tell its story by the glass, means opening a window onto the land itself. The Euganean Hills — with their villages, Venetian villas and thermal spas — are a mosaic of experiences where wine becomes an essential part of the journey.

    Perhaps this is the secret of Fior d’Arancio Secco: a wine that knows how to be authentic and modern at the same time. It doesn’t need to reinvent itself — it just needs to keep being what it is, the child of a unique landscape and a tradition that looks forward without losing its roots.

    Wines Tasted

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Saeòpa” 2024 – Colle MattaraColle Mattara is a small estate nestled in the green heart of the Euganean Hills, where the vines breathe volcanic air and crystal light. The Saeòpa 2024 opens with aromas of white flowers and ripe citrus, with a gentle touch of aromatic herbs. On the palate, it’s direct and bright, naturally balanced between freshness and savouriness. A wine that speaks for itself — one sip is enough to sense its honesty. Perfect with fish, seasonal vegetables, or simply to start a dinner lightly.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG 2023 – Cantina Colli EuganeiFrom the cooperative that symbolises the region comes a Moscato Giallo that expresses its land with clarity. Pale in colour, it recalls peach, apricot and a touch of candied orange on the nose. The surprise comes on the palate: completely dry, vibrant, with a cleansing freshness that invites another glass. More Mediterranean white than aromatic wine — perfect with seafood starters, sushi, or delicate first courses.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Silene” 2023 – Bacco e AriannaSilene brings the deepest soul of the Euganean Hills into the glass. Golden in colour, it offers notes of pear, fine spices and lemon zest. The palate is lively and fresh, yet soft and enveloping. It’s a wine that speaks of herbs and stone, of balance between strength and grace. Served cool, it pairs beautifully with vegetable risottos, light pastas, or a seafood fry — with the natural poise only genuine wines possess.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Unico” 2023 – Terre GaieTerre Gaie is a family project that unites roots and vision. “Unico” is a forward-looking interpretation of Fior d’Arancio: aromas of yellow fruit and sage, a taut and slightly saline palate, and a structure that calls for food. A white wine with clear personality, ideal with vegetable-based dishes, eggs and asparagus, or fish courses. No frills, just authenticity and poise.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Secco DOCG “Jelmo” 2023 – Tenuta GambalongaDedicated to the founder of the family, “Jelmo” carries a sense of lineage and affection. Aromas of orange blossom and white peach mingle with a faint mineral note. The taste is linear, fresh and clean, leaving the mouth lively and refreshed. A Fior d’Arancio that combines elegance with immediacy — excellent with shellfish, seafood pasta or delicate white meats.

    Fior d’Arancio Colli Euganei Passito DOCG 2016 – Cristofanon MontegrandeCristofanon’s Passito is a small liquid tale of time. Deep gold in colour, it evokes orange peel, honey, spices and dried flowers. The sip is sweet but never cloying, balanced by a fresh, savoury vein. Forget conventions — serve it as an aperitif with foie gras, blue cheese, spicy finger food or caramelised prawns. A closing note that recalls the sun setting over the Euganean Hills. LEGGI TUTTO

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    Schioppettino di Prepotto: la rinascita di un’identità friulana

    E pensare che lo Schioppettino, oggi simbolo di eleganza e territorialità, un tempo era un vino proibito. Fino alla metà degli anni Settanta piantarne una barbatella equivaleva a commettere un reato, come se si trattasse di un vitigno clandestino, di quelli che crescono ai margini della legge e della memoria. Eppure, proprio in quegli anni di oblio, si gettarono le basi della sua rinascita.

    Fu la curiosità di Giannola e Benito Nonino, alla ricerca di vinacce per le loro grappe, a riportare alla luce lo Schioppettino insieme ad altri vitigni friulani in via d’estinzione — Ribolla, Pignolo, Tazzelenghe. Con l’intuizione del Risit d’Aur, la “barbatella d’oro” ideata con Luigi Veronelli, il gesto di reimpiantare divenne un atto di resistenza culturale. Nel 1976 il premio andò a Dina e Paolo Rapuzzi, pionieri di Ronchi di Cialla, che fecero dello Schioppettino una bandiera di Prepotto.

    Fu solo nel 1981 che il vitigno venne finalmente reinserito tra quelli autorizzati, grazie anche al coraggio di un intero paese che, in seduta straordinaria, chiese di riscattare il proprio vino più identitario. Da allora lo Schioppettino ha ritrovato la strada del futuro, tornando a raccontare la valle dello Judrio e la sua geografia fatta di confini, boschi e colline dove l’aria sa di pepe e di pietra.

    Oggi, a distanza di mezzo secolo, si può dire che per lo Schioppettino di Prepotto sia arrivata una nuova primavera. Non più un simbolo di resistenza, ma di maturità. L’Associazione dei Produttori, fondata nel 2002 e ora profondamente rinnovata, rilancia una sfida ambiziosa: fare dello Schioppettino il cuore produttivo e identitario del territorio.

    Il nuovo presidente Riccardo Caliari (Spolert Winery) parla di un sogno condiviso: «Vogliamo che lo Schioppettino di Prepotto diventi il vino principale delle aziende del paese, espressione di uno stile elegante e riconoscibile, capace di competere sui mercati italiani e internazionali». Un progetto di lungo respiro — dai cinque ai dieci anni — che richiederà energie, visione e coesione, ma che parte da solide radici.

    Perché qui, tra le pieghe dei Colli Orientali, il terroir ha una voce distinta. È la voce del sottobosco, della mora e del pepe nero, della freschezza che si intreccia alla profondità. Lo Schioppettino di Prepotto, riconosciuto nel 2008 come sottozona ufficiale della DOC Friuli Colli Orientali, è un vino che racconta il confine, la sua memoria contadina e la sua vocazione naturale all’eleganza.

    Da fuorilegge a simbolo: lo Schioppettino di Prepotto continua a rappresentare una delle più belle parabole della viticoltura italiana. Oggi la sua rinascita non è solo produttiva, ma culturale. È il ritorno di una voce antica che, dopo secoli di silenzio, torna a parlare la lingua del futuro.

    Schioppettino di Prepotto: the renaissance of a Friulian identity

    To think that Schioppettino, now a symbol of elegance and territorial identity, was once a forbidden wine. Until the mid-1970s, planting even a single vine of Schioppettino was a crime — as if it were an outlaw grape, one that thrived on the margins of law and memory. Yet it was precisely in those years of oblivion that the seeds of its rebirth were sown.

    It was the curiosity of Giannola and Benito Nonino, searching for pomace for their grappas, that brought Schioppettino back to light — together with other nearly extinct Friulian varieties such as Ribolla, Pignolo, and Tazzelenghe. With the visionary Risit d’Aur award, the “golden vine cutting” created with Luigi Veronelli, replanting became an act of cultural resistance. In 1976 the first prize went to Dina and Paolo Rapuzzi of Ronchi di Cialla, true pioneers who turned Schioppettino into the emblem of Prepotto.

    Only in 1981 was the grape officially reauthorized, thanks to the courage of an entire community that, in an extraordinary council session, petitioned to reclaim its most authentic wine. Since then, Schioppettino has found its way back to the future, once again telling the story of the Judrio Valley — a landscape of borders, forests, and hills where the air smells of pepper and stone.

    Today, half a century later, Schioppettino di Prepotto is living a new spring. No longer a symbol of defiance, but of maturity. The Association of Schioppettino Producers, founded in 2002 and now profoundly renewed, is launching an ambitious challenge: to make Schioppettino the beating heart of the area’s production and identity.

    The new president, Riccardo Caliari (Spolert Winery), speaks of a shared dream: “We want Schioppettino di Prepotto to become the main wine of our producers — an elegant and distinctive style capable of standing out on both the Italian and international markets.” It’s a long-term project, a journey of five to ten years that will demand energy, vision, and unity — but it begins from solid roots.

    Here among the folds of the Colli Orientali, the terroir speaks with its own voice — one of undergrowth, blackberry, and black pepper, where freshness meets depth. Recognized in 2008 as a designated subzone of the Friuli Colli Orientali DOC, Schioppettino di Prepotto is a wine that tells the story of a borderland, its rural memory, and its natural vocation for elegance.

    From outlaw to icon: Schioppettino di Prepotto remains one of the most compelling stories in Italian viticulture. Its renaissance today is not only about production but culture — the return of an ancient voice that, after centuries of silence, once again speaks the language of the future.

    Nella foto di copertina l’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto LEGGI TUTTO

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    Vigne, mare e memoria: il viaggio di Tullum

    Nell’antica Roma la vita era un equilibrio continuo tra negotium e otium: da un lato il vortice delle faccende pubbliche, dei commerci, delle guerre e della politica; dall’altro il bisogno di ritirarsi in luoghi appartati, dove il tempo poteva scorrere più lento, tra il mare e i vigneti. Proprio lungo queste coste d’Abruzzo, a Tollo, i nobili romani avevano costruito ville marittime che univano il piacere della contemplazione alla concretezza del lavoro agricolo. Non erano semplici residenze di villeggiatura, ma autentiche aziende ante litteram, con spazi dedicati alla produzione del vino e dell’olio.

    Oggi, tra quelle stesse colline con lo sguardo rivolto all’Adriatico, sorge la sede di Feudo Antico: un’azienda che non solo custodisce i reperti di quella villa rustica romana, ma ne raccoglie l’eredità culturale trasformandola in progetto vivo, nel cuore della DOCG Tullum. Un filo che attraversa i secoli lega così il vino di oggi al senso più autentico dell’otium romano: un tempo ritrovato, fatto di natura, bellezza e sapienza agricola.

    Una DOCG che parla la lingua del territorio

    Il nome Tullum compare ufficialmente nel mondo del vino nel 2008, quando nasce una delle più piccole Dop d’Italia. Undici anni dopo, il 4 luglio 2019, arriva la consacrazione della DOCG: il livello più alto nella gerarchia delle denominazioni italiane. Non è soltanto un riconoscimento formale, ma una testimonianza concreta della qualità e della vocazione vitivinicola delle terre tollesi, dove storia, tradizione e ricerca convivono da secoli.

    La continuità è la vera forza di questo territorio. Dai Longobardi ai Normanni, fino al Regno di Napoli, le dominazioni che si sono succedute hanno rispettato, e in molti casi consolidato, la specificità agricola di Tollo. Anche le ferite della Seconda Guerra Mondiale non hanno fermato i coltivatori: il paese fu distrutto insieme ai vigneti, ma la ripresa della viticoltura segnò un vero rinascimento, evitando un fenomeno migratorio di massa che avrebbe svuotato la comunità.

    Tra Adriatico e Maiella: un mosaico di vigne

    Il territorio di Tollo è un piccolo tesoro sospeso tra mare e montagna. A 150 metri sul livello del mare, le colline si aprono verso l’Adriatico e, alle spalle, incontrano la Maiella e il Gran Sasso. Questo dialogo tra vento marino e altitudine crea escursioni termiche favorevoli e una varietà di suoli che rendono il paesaggio straordinariamente vocato alla viticoltura.

    Per valorizzare queste caratteristiche, Feudo Antico ha avviato un progetto di zonazione guidato dal professor Attilio Scienza. Lo studio ha permesso di leggere ogni singolo versante come un micro-terroir, riconoscendo le peculiarità di suolo, esposizione e microclima. Il risultato è la DOCG Tullum così come la conosciamo oggi, con quattro tipologie principali e un’attenzione particolare alle varietà autoctone come Montepulciano, Pecorino e Passerina, in grado di esprimere pienamente le sfumature del territorio.

    Il Consorzio e le cantine della DOCG

    Il Consorzio Tullum raccoglie tre realtà complementari, ciascuna con una propria storia e vocazione, unite dall’obiettivo di valorizzare il territorio e le sue produzioni: Feudo Antico, Vigneti Radica e la Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti Tollo (CCDD).

    Daniele Ferrante – enologo Feudo Antico

    Feudo Antico è un incubatore di archeo-enologia, è il primo esempio in Italia di museo archeologico dentro una cantina. La sede, inaugurata nel 2021, ospita i reperti della villa romana di San Pietro e il primo vigneto impiantato esattamente dove duemila anni fa sorgeva la grande azienda agricola romana. Su 30 ettari di vigneti, l’azienda produce circa 150.000 bottiglie. Qui la sostenibilità non è una parola di tendenza, ma una regola di vita: rese basse, coltivazioni rispettose e vinificazioni che privilegiano la spontaneità del processo naturale.

    Le etichette raccontano l’identità di Tollo in chiave contemporanea: dai bianchi Tullum Pecorino DOCG e Passerina DOCG, ai rossi Tullum Rosso DOCG, Rosso Riserva DOCG e Rosso Inanfora DOCG Biologico, fino alla linea a fermentazione spontanea che comprende un Pecorino Biologico Tullum DOCG, un Rosato Biologico Terre di Chieti IGP e un Rosso Biologico Tullum DOCG. A completare il mosaico, lo Spumante Brut Metodo Classico Tullum DOP, simbolo della vocazione di Feudo Antico per l’eleganza e la finezza.

    Ma forse il progetto più emblematico della filosofia aziendale è quello nato dall’incontro con lo chef tristellato Niko Romito: il Pecorino Terre Aquilane IGP Casadonna. Alla ricerca di un terreno che potesse amplificare la purezza del vitigno, Feudo Antico è salita fino a Castel di Sangro, dove Romito ha costruito il suo centro di ricerca e formazione. A oltre 800 metri d’altitudine, tra boschi e silenzi montani, il Pecorino cresce in un ambiente estremo, capace di regalare vini di straordinaria tensione minerale, freschezza agrumata e vibrante verticalità. È un vino che parla la lingua della montagna, ma conserva l’anima mediterranea delle origini: un incontro tra misura, profondità e essenzialità, come la cucina dello chef che lo ha ispirato.

    Giacomo Radica – enologo Vigneti Radica

    Vigneti Radica racconta tre generazioni di viticoltori. Il simbolo della famiglia Radica è un toro, in dialetto “li Ture”. Non un emblema di forza cieca, ma di energia paziente, radicata nella terra. Tre generazioni – dal nonno Rocco al padre Antonio fino a Giacomo, che oggi guida l’azienda – hanno trasformato questa energia in un progetto coerente, che unisce vigne e paesaggio in un equilibrio fatto di gesti e tempi misurati.

    I vigneti, trent’ettari distribuiti tra Tollo, Ari, Fara Filiorum Petri e Ortona, disegnano un percorso che parte dalla montagna e arriva al mare. Tutto è condotto in biologico, ma senza slogan: è un modo di lavorare che asseconda la fertilità naturale dei terreni e rispetta la vitalità del suolo. Anche la cantina riflette questo equilibrio, costruita con materiali locali – legno, pietra, luce – e pensata per respirare insieme al paesaggio.

    I vini nascono da uve raccolte a mano di Montepulciano, Pecorino e Passerina, e restituiscono un’identità coerente con la DOCG Tullum: vini di precisione, ma non di maniera.

    La Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti Tollo, fondata nel 1962, è oggi una realtà solida con circa 300 soci e oltre 700 ettari di vigneto. La cooperativa mantiene viva la tradizione contadina del territorio, producendo grandi volumi di uve rosse e bianche tipiche – Montepulciano, Trebbiano, Pecorino, Passerina e Cococciola – ma sempre con l’attenzione alla qualità richiesta dal disciplinare DOCG.

    I vini degustati

    Feudo Antico Passerina Tullum DOCG 2023Un bianco essenziale e luminoso, in cui la morbidezza si intreccia con una freschezza salina che dona scatto e ritmo. Il finale ammandorlato ne definisce la firma delicata e precisa.

    Vigneti Radica Passerina Tullum DOCG 2023Un sorso agile e minerale, vibrante di agrumi e di erbe. Energico, limpido, immediato: racconta la vitalità della costa abruzzese in chiave nitida e contemporanea.

    Feudo Antico Pecorino Tullum Biologico Fermentazione Spontanea 2024Un vino di straordinaria personalità. La fermentazione spontanea ne amplifica la complessità: materia e tensione convivono in un equilibrio raro, tra morbidezza iniziale e una scia sapida e precisa che chiude lunga e profonda. Un grande bianco italiano, capace di evolvere e di toccare corde sottili.

    Vigneti Radica Pecorino Tullum DOCG 2022Deciso, verticale, immediato. La freschezza agrumata domina un sorso netto, teso, che lascia la bocca pulita e la mente vigile. È il Pecorino nella sua veste più diretta e schietta.

    Feudo Antico “InAnfora” Pecorino Tullum DOCG Biologico 2022Un bianco che sfida le regole, unisce struttura e delicatezza, luce e profondità. La trama è ampia, quasi materica, ma sempre sorretta da una vitalità che lo rende sorprendentemente dinamico. Il suo equilibrio tra frutto sale e terra lo colloca tra i vini da ricordare.

    Feudo Antico “InAnfora” Rosso Tullum DOCG Biologico 2022Un Montepulciano di rara eleganza. La maturazione in anfora scolpisce un sorso vivo, sincero, di frutto puro e tannini finissimi. Fresco, profondo, con una persistenza che conquista senza bisogno di potenza. È un rosso che parla con voce propria: pulita, armonica, essenziale.

    Vigneti Radica Rosso Tullum DOCG 2020Materico e vigoroso, con un cuore fruttato che si apre lentamente. La struttura è piena, compatta, sostenuta da una freschezza che gli dona equilibrio e una lunga chiusura speziata.

    Feudo Antico Rosso Tullum DOCG 2020Armonico e immediato, gioca tra dolcezza di frutto e morbidezza dei tannini. Un rosso di grande bevibilità, che racconta la misura e l’eleganza della denominazione.

    Feudo Antico Rosso Riserva Tullum DOCG 2019Profondo, ampio, meditativo. La trama tannica è finissima, la materia è generosa ma sempre composta. Un rosso che unisce intensità e grazia, restando nel segno della finezza.

    Radici e orizzonti

    Se nell’epoca romana l’otium era rifugio e ricerca di bellezza tra mare e vigne, oggi la DOCG Tullum raccoglie quell’eredità trasformandola in un progetto di comunità. Ogni filare racconta la resilienza di una terra che ha saputo rinascere più volte, trovando nella vite il suo respiro più autentico. Non si tratta solo di vino, ma di identità: di un luogo che continua a vivere nella memoria dei suoi abitanti e che, attraverso il lavoro dei vignaioli, offre al mondo il dono di un paesaggio tradotto in calice.

    Il Tullum è così: un vino che non si limita a celebrare la qualità, ma che custodisce la storia di un popolo e la restituisce in forma liquida, capace di unire cultura, natura e passione. Un vino che guarda avanti con la consapevolezza di chi ha radici antiche e solide, profonde come quelle vigne che, da secoli, disegnano le colline tra l’Adriatico e la Maiella. LEGGI TUTTO

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    Casentino segreto: Poggiotondo tra arte, vino e natura

    Ho conosciuto Lorenzo Massart, proprietario di Poggiotondo, al Vinitaly di molti anni fa. Non fu soltanto il vino a sorprendermi, ma l’uomo che lo raccontava. Rimasi folgorato dal suo Vinsanto del Chianti Collefresco, che allora – come oggi – continua ad essere uno dei più buoni mai prodotti in Toscana, quindi nel mondo. Ma rimasi colpito anche da Lorenzo stesso: avvocato, pittore, vignaiolo e agricoltore, un uomo eclettico e generoso, capace di mescolare ironia e passione come pochi altri. In un territorio poco noto alla viticoltura toscana come il Casentino, riusciva a tirar fuori vini di straordinario carattere.

    Siamo a Subbiano, nord di Arezzo. Qui, nel cuore di una valle che la maggior parte dei toscani associa più al paesaggio e alla gastronomia che al vino, Lorenzo ha scelto di dar vita al suo progetto. L’azienda di famiglia, acquistata nel 1973, poggia su terreni argillosi e galestrosi, in posizione collinare: il luogo ideale per ospitare sangiovese e canaiolo, con piccoli tocchi di malvasia e trebbiano. È qui che Lorenzo e la moglie Cinzia Chiarion hanno deciso di scommettere su un sogno: produrre vino e olio di qualità, senza compromessi, restando fedeli alle radici del Casentino.

    Lorenzo Massart

    I vini di Poggiotondo sono figli autentici di questa filosofia, che riflettono la personalità di chi li produce. Poggiotondo, il rosso che porta il nome dell’azienda, è forse il prediletto di Lorenzo: diretto, ruvido, sincero, maturato solo in cemento, senza mai vedere il legno. “In Toscana non dobbiamo scimmiottare i francesi – dice – il nostro compito è far parlare il Sangiovese”. Le Rancole, marchio storico della cantina, affina invece in parte in piccole botti e riposa poi a lungo in bottiglia, offrendo un’espressione più elegante. A queste etichette si affianca il C66, creato da Cinzia: un blend di sangiovese e merlot, morbido e avvolgente, ma il capolavoro resta il Vinsanto, custodito in una suggestiva sala con i caratelli, memoria liquida del tempo che scorre lento.

    Cinzia Chiarion

    Accanto al vino, l’olio: oltre 800 ulivi – molti dei quali moraiolo – raccolti a mano e moliti in giornata. Cinzia se ne occupa con cura quasi maniacale, portando in bottiglia un extravergine che riflette la stessa autenticità dei vini.

    Poggiotondo non è solo un’azienda: è un microcosmo. Ci sono gli asini sardi, simbolo gentile e testardo della tenuta, presenti fin dagli anni Sessanta. Ci sono gli amici, i giornalisti, i curiosi che ogni anno partecipano alla vendemmia, trasformata in rito di condivisione. E soprattutto c’è Lorenzo, che con il suo carattere ribelle non ha mai cercato scorciatoie. Cresciuto tra i campi di Poggiotondo, con una passione precoce per gli animali e la vita all’aria aperta, ha sempre mantenuto uno sguardo curioso e indocile. Avvocato di professione, ma anche pittore autodidatta e viaggiatore instancabile, ha trasformato il suo paradiso casentinese in un luogo dove natura, arte e vigna convivono senza confini. I suoi quadri, astratti e sgargianti, riflettono la stessa energia vitale che si ritrova nei vini: diretti, sinceri, liberi da compromessi. Lorenzo è un uomo che sfugge alle definizioni, e Poggiotondo non è solo un’azienda agricola, ma la proiezione della sua personalità eclettica. A distanza di trentacinque anni dall’inizio di questa avventura, Poggiotondo è una realtà consolidata. Non un colosso, ma un presidio di autenticità. Una voce che testimonia come il Casentino, terra finora laterale nella mappa del vino toscano, possa diventare un orizzonte nuovo, una frontiera capace di regalare emozioni vere.

    Chi entra a Poggiotondo non trova solo una cantina: trova un mondo che profuma di galestro e di mosto, di olio appena franto e di stalle con gli asini. Trova Lorenzo e Cinzia, due personalità complementari che hanno scelto di difendere un territorio con la forza delle loro idee. E trova vini che non ammiccano a mode o mercati, ma che parlano la lingua più pura: quella della passione.

    I vigneti, la vendemmia, la cantina

    Poggiotondo conta poco più di quattro ettari di vigne, tutte nel cuore del Chianti. Qui il terreno è quello tipico del Casentino, ricco di galestro, e le vigne affondano le radici tra sangiovese, canaiolo, trebbiano e malvasia, con qualche nuovo impianto più recente accanto a filari storici che superano i cinquant’anni.

    La vendemmia è sempre manuale, fatta a inizio ottobre con cassette piccole per rispettare ogni grappolo. È un lavoro paziente e lento, che precede l’ingresso in cantina: qui l’uva viene vinificata in vasche di cemento o vetrocemento, un materiale caro a Lorenzo perché conserva freschezza e autenticità. Il legno si usa solo quando serve, mai per mascherare il vino. A Poggiotondo ogni dettaglio è pensato per esaltare il carattere della vallata.

    I vini di Poggiotondo

    C66 2022È il vino di Cinzia, pensato “da una donna per le donne”, ma non solo. Nasce da sangiovese con una piccola parte di merlot, ed è il più morbido della famiglia: vellutato, avvolgente, con sfumature scure e speziate che il legno rende eleganti senza eccessi. È un rosso che guarda lontano, capace di conquistare chi cerca armonia e profondità.

    Poggiotondo 2022È il cuore pulsante dell’azienda, il vino che più racconta Lorenzo. Sangiovese e canaiolo, maturati in cemento, senza legno. Diretto, schietto, con il frutto nitido e una freschezza che invita alla beva. È un Chianti che non ha bisogno di orpelli, compagno ideale della tavola quotidiana, sincero come la terra da cui nasce.

    Le Rancole 2022È la memoria storica dell’azienda: il primo Chianti imbottigliato in Casentino. Anche qui dominano sangiovese e canaiolo, con un leggero passaggio in legno che dona complessità senza mai coprire il carattere del vino. Più strutturato e profondo del Poggiotondo, ha eleganza, stoffa e un respiro che lo rende capace di sorprendere anche dopo anni.

    Vinsanto del Chianti Collefresco 2016Il gioiello di Poggiotondo, prodotto in poche bottiglie. Da malvasia e trebbiano appassiti e lasciati riposare per anni nei piccoli caratelli, nasce un vino dal colore ambrato e luminoso, che profuma di frutta secca, miele e scorza d’arancia. Dolce ma mai stucchevole, ha una freschezza che bilancia la ricchezza. Un sorso che sembra catturare il tempo e racchiuderlo in un bicchiere. LEGGI TUTTO

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    Mondial des Vins Extrêmes: quando la viticoltura diventa resistenza e bellezza

    C’è un filo che unisce la fatica delle mani sui pendii più ripidi, le radici che si aggrappano alla roccia e le bottiglie che arrivano sulle tavole del mondo. È il filo della viticoltura eroica, quella che nasce in luoghi difficilmente accessibili, tra terrazze strappate alla montagna, vigneti in forte pendenza o appezzamenti isolati su piccole isole. Una viticoltura dove ogni lavorazione richiede sforzi, dedizione e pazienza fuori dal comune, tanto da renderla davvero “eroica”.

    Il Mondial des Vins Extrêmes, giunto quest’anno alla sua 33ª edizione, continua a celebrare e valorizzare proprio questo patrimonio unico. Nelle giornate di degustazione svoltesi a Sarre, in Valle d’Aosta, oltre 1000 vini provenienti da più di 20 Paesi hanno raccontato storie di resistenza, biodiversità e passione.

    “Di anno in anno – ha sottolineato il Presidente del CERVIM Nicola Abbrescia – il Mondial des Vins Extrêmes ci ricorda quanto la viticoltura eroica sia stimolante e affascinante. I vignaioli che prendono parte al concorso affrontano vendemmie sfidanti e territori unici, creando vini di qualità e carattere”.

    Il concorso è organizzato dal CERVIM – Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana, con il patrocinio dell’OIV (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) e l’autorizzazione del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. Il Mondial des Vins Extrêmes fa parte di VINOFED, la Federazione Internazionale dei Grandi Concorsi Enologici.

    I vini ammessi

    Per selezionare i vini, degustatori esperti, quali tecnici (enologi), esperti degustatori e giornalisti di settore provenienti da tutto il mondo, si riuniscono in commissioni composte da 5 degustatori ciascuna, che tramite un apposito sistema informatico, utilizzato per la prima volta in Italia, proprio al concorso Cervim, valutano i diversi vini, suddivisi in 9 diverse categorie, esprimendo un giudizio, dapprima singolo in base al colore, la limpidezza, l’olfatto e il gusto, che sommati tra loro danno origine al giudizio finale.

    La particolarità del Mondial des Vins Extrêmes dovuta principalmente alla varietà dei vini in degustazione, prodotti per lo più da vitigni autoctoni, caratterizzati da terroir unici che segnano in modo particolare i profumi e i sapori e che rendono il Mondial des Vins Extrêmes unico nel panorama dei concorsi enologici mondiali, richiama l’interesse degli esperti che numerosi ogni anno si candidano per partecipare alle selezioni di luglio.

    Nicola Abbrescia – Presidente del CERVIM

    I vini presentati vengono divisi in 9 categorie:

    1 – vini bianchi tranquilli annate 2024, (con residuo zuccherino fino a 6 g/l);2 – vini bianchi tranquilli annate 2023 e precedenti, (con residuo zuccherino fino a 6 g/l); 3 – vini bianchi tranquilli semidolci (con residuo zuccherino da 6,1 a 45 g/l);4 – vini rossi tranquilli annate 2023 e 2024;5 – vini rossi tranquilli annate 2022 e precedenti;6 – vini rosati tranquilli;7 – vini spumanti;8 – vini dolci (con residuo zuccherino superiore a 45,1 g/l);9 – vini liquorosi.

    Sono ammessi esclusivamente i vini DOC/DOP e IGT/IGP. Non sono ammessi al concorso i vini da tavola (come da regolamento ministeriale).

    I premi

    Al termine delle degustazioni viene stilata la classifica finale, in base al punteggio acquisito vengono ripartiti i premi suddivisi in Gran Medaglia d’Oro, Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento, oltre a ulteriori premi speciali destinati al miglior vino e alla miglior cantina per Paese partecipante, il miglior vino in assoluto, il miglior vino biologico e/o biodinamico, il miglior vino prodotto nelle piccole, il miglior Giovane produttore (al di sotto dei 35 anni), la miglior Donna produttrice, uno destinato alla Regione viticola partecipante con il maggior numero di vini, ed un premio dedicato al miglior vino prodotto da uve franco di piede .

    Premio VINOFED, assegnato in tutti i concorsi enologici aderenti alla Federazione dei Grandi Concorsi Enologici Mondiali, verrà attribuito al miglior vino secco che ha ottenuto il miglior punteggio del concorso. Nel caso in cui il premio VINOFED coincida con il GRAN PREMIO CERVIM, il premio verrà assegnato al secondo vino classificato.

    Il risultato complessivo della 33ª edizione parla chiaro: 77 Grandi Medaglie d’Oro e 221 Medaglie d’Oro assegnate da commissioni internazionali, insieme a 17 Premi Speciali che hanno messo in luce territori e produttori d’eccellenza. Dalla Mosella alle Canarie, dai Pirenei alla Calabria, i vini premiati testimoniano un mosaico di vitigni autoctoni e terroir irripetibili, spesso a rischio di scomparsa.

    Tra le novità, la prima partecipazione dell’Albania, premiata con due Medaglie d’Oro, segno che il concorso continua ad allargare i suoi confini e a essere sempre più globale.

    Accanto ai vini, spazio anche ai distillati con la quinta edizione di Extreme Spirits International Contest, che ha visto primeggiare ancora Tenerife con il Brumas de Ayosa Vermut Blanco 2024, affiancato dal Perù con il Pisco Viña De Los Campos Mosto Verde Italia.

    Ma oltre ai numeri e alle medaglie, il Mondial des Vins Extrêmes è soprattutto un atto di riconoscenza verso chi coltiva l’impossibile. Perché la viticoltura eroica non è soltanto un settore agricolo: è un patrimonio culturale e paesaggistico che ci ricorda quanto vino e territorio siano inseparabili. Non è un caso che questa manifestazione si svolga proprio in Valle d’Aosta, terra di vette e castelli, dove i vigneti salgono arditi verso le montagne e rendono tangibile il senso di una viticoltura che non conosce scorciatoie.

    L’elenco completo dei vincitori è consultabile sul sito ufficiale www.mondialvinsextremes.com LEGGI TUTTO

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    Cantine Settesoli: Sicilia di vento e di comunità

    Arrivare a Menfi in una giornata di scirocco significa essere accolti da un respiro caldo che sembra arrivare da molto lontano, dal cuore del Sahara. È un vento che non si limita a sfiorare la pelle: entra nelle ossa, asciuga l’aria, rallenta i pensieri. Chi vive in Sicilia lo conosce bene: lo scirocco non è solo un fenomeno meteorologico, ma parte integrante del paesaggio, della vita quotidiana, è memoria collettiva.

    Questo vento infuocato ha anche un ruolo decisivo nel disegnare il destino delle vigne. Può accelerare la maturazione dell’uva, portare calore quando serve e, se gestito con attenzione, diventare un alleato prezioso. È in questo scenario che prende forma la storia di Cantine Settesoli, nata a Menfi più di sessant’anni fa per dare voce al lavoro di centinaia di famiglie di viticoltori.

    Come il vento che mescola le correnti, la cooperativa ha imparato a unire energie diverse, trasformando un territorio aspro e generoso in un racconto corale di vini che parlano la lingua viva della Sicilia.

    Una comunità che diventa vino

    Cantine Settesoli è molto più di una cantina: è una comunità che raccoglie 2000 soci viticoltori e coinvolge oltre 5000 famiglie nelle Terre Sicane, in provincia di Agrigento. Fondata nel 1958 dall’intuizione di 68 viticoltori, oggi rappresenta il 7% dell’intera superficie vitata della Sicilia, con 5700 ettari coltivati, di cui più di 1000 in biologico.

    La sua dimensione è imponente – circa 20 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, distribuite in oltre 45 Paesi – ma non ha mai perso il legame con la terra. È grazie a questo radicamento che Settesoli riesce a custodire 35 cultivar diverse, tra vitigni autoctoni come grillo, grecanico e nero d’Avola, e varietà internazionali come chardonnay, merlot e syrah.

    Una storia pionieristica

    Sin dalle origini Settesoli ha fatto scelte coraggiose. Dopo la prima vendemmia nel 1965, negli anni Settanta è stata tra le prime in Sicilia a investire nell’imbottigliamento e nell’export. Negli anni Ottanta ha sperimentato vitigni internazionali, aprendo la strada allo chardonnay. Negli anni Novanta ha ampliato il proprio raggio d’azione con nuove acquisizioni e due marchi destinati a mercati differenti: Mandrarossa, per il canale Horeca, e Inycon, dedicato alla grande distribuzione internazionale.

    Innovazione e sostenibilità

    La spinta all’innovazione ha sempre camminato accanto a quella per la sostenibilità. Nel 2003 Settesoli è stata la prima azienda vinicola in Italia a introdurre la tracciabilità completa della filiera. Oggi conta su 11 impianti fotovoltaici che coprono il 23% del fabbisogno energetico, progetti di riciclo e materiali a basso impatto ambientale. Ha ottenuto certificazioni importanti – Vegan, VIVA e SOStain Sicilia – che ne fanno un modello di viticoltura responsabile.

    Il legame con la comunità resta il cuore pulsante: il 70% delle famiglie del territorio partecipa in qualche forma al progetto, e il valore generato diventa motore di sviluppo, contrastando lo spopolamento e salvaguardando il paesaggio.

    Mandrarossa: nuove rotte del vino siciliano

    È in questo contesto che nasce Mandrarossa, il brand creato nel 1999 come volto più contemporaneo della cooperativa. Dedicato alla ristorazione, alle enoteche e ai wine bar, Mandrarossa è il frutto di oltre vent’anni di ricerca per mettere in dialogo varietà e terroir. Il risultato è una Sicilia che sfugge ai cliché: autentica, dinamica e capace di sorprendere.

    Dal debutto a Vinitaly nel 2000 con sette etichette alla nascita di Cartagho nel 2004, fino ai Vini di Contrada del 2019 e all’approdo sull’Etna e a Pantelleria nel 2020, Mandrarossa ha costruito un percorso di continua crescita e sperimentazione.

    Oggi i tre territori d’elezione – Menfi, Etna e Pantelleria – custodiscono anime diverse della Sicilia. Il cosiddetto Menfishire è un mosaico di colline che degradano verso il mare, ricco di microclimi e biodiversità. Le pendici dell’Etna, con i loro suoli vulcanici, regalano vini vibranti e minerali. Pantelleria, isola sospesa nel vento, offre lo zibibbo per il celebre Passito di Pantelleria DOC.

    Tra sperimentazione e identità

    Mandrarossa si distingue per il lavoro pionieristico sui suoli: cinque tipologie principali, studi sui micro-terroir e progetti di microvinificazione che hanno portato alla selezione di vigneti d’eccellenza e alla nascita di etichette uniche nel panorama siciliano. È una ricerca che non smette mai di esplorare nuove strade, mantenendo saldo il legame con il territorio.

    La cantina e l’esperienza

    Il legame con la sostenibilità trova la sua massima espressione nella Mandrarossa Winery, inaugurata nel 2021 a Menfi. Una cantina ecosostenibile incastonata nel paesaggio: struttura ipogea, tetto giardino, materiali naturali e spazi progettati per fondersi con la campagna e con il mare.

    Qui l’enoturismo diventa esperienza immersiva. I visitatori possono scegliere tra wine tour tematici, degustazioni guidate e percorsi dedicati alle diverse linee, fino alla scoperta del vigneto didattico e della bottaia. Un luogo che racconta la Sicilia contemporanea attraverso il vino, la natura e l’ospitalità.

    La gamma Mandrarossa: cinque anime di Sicilia

    Mandrarossa racconta la Sicilia con una gamma di vini articolata in cinque linee, ciascuna con un carattere distinto ma unite dallo stesso spirito di ricerca e autenticità.

    CartaghoIl Nero d’Avola che è diventato il simbolo del brand. Nasce da una selezione delle migliori uve e si presenta come un rosso intenso, avvolgente, con equilibrio e rotondità. È la bottiglia che più di tutte incarna la forza e la tradizione enologica siciliana.

    Storie RitrovateUna collezione che porta il gusto oltre Menfi, là dove la Sicilia si moltiplica in identità diverse. Ci sono i Vini di Contrada, frutto di uno studio sui suoli calcarei che ha rivelato micro-terroir unici: il Grillo Bertolino Soprano e il Nero d’Avola Terre del Sommacco ne sono l’espressione più alta. Ci sono i vini dell’Etna, Sentiero delle Gerle Bianco e Rosso, che raccontano l’energia del vulcano con i profumi del Carricante e la forza del Nerello Mascalese. E c’è Serapis, il Passito di Pantelleria, dolce e luminoso come l’isola del vento da cui proviene. Nancy Rossit firma etichette che non si limitano a vestire il vino: lo accompagnano in un viaggio poetico, fatto di colori e suggestioni.

    Gli InnovativiLa linea che guarda avanti e osa, reinterpretando vitigni locali e internazionali con spirito creativo. Dal Petit Verdot in purezza del Timperosse al Sauvignon Blanc salmastro di Urra di Mare, dal Vermentino biologico di Larcéra fino allo spumante Delquanta, ottenuto da uve Chenin Blanc: sono vini che sorprendono per freschezza, energia e capacità di mostrare la Sicilia in forme nuove.

    I VarietaliQui la semplicità incontra l’autenticità. Sono vini in purezza che esprimono al meglio i vitigni, sia autoctoni che internazionali. Dal Nero d’Avola al Frappato, dal Grillo al Grecanico, fino a Chardonnay, Viognier, Fiano e Syrah: etichette immediate, fresche, pensate per raccontare la ricchezza e la varietà del patrimonio viticolo siciliano senza filtri.

    Selinunte

    CalamossaUna linea che evoca la vitalità del mare. Bianco e Rosato frizzante, leggeri e gioiosi, che prendono il nome da un’insenatura di Menfi. Freschezza e spuma sottile li rendono il volto più spensierato e solare della collezione.

    Cinque percorsi diversi, un’unica anima: quella di una Sicilia capace di reinventarsi senza perdere il legame con le proprie radici.

    E come scriveva Salvatore Quasimodo in Vento a Tindari:

    «Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini, e la brigata che lieve m’accompagnas’allontana nell’aria, onda di suoni e amore, e tu mi prendi da cui male mi trassi e paure d’ombre e di silenzi, rifugi di dolcezze un tempo assidue e morte d’anima.»

    Un’immagine che restituisce tutta la forza del vento, della memoria e dell’anima di questa terra, la stessa che Cantine Settesoli continua a trasformare in racconto collettivo e in vino. LEGGI TUTTO

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    Tommasi rafforza le radici in Puglia: nuove acquisizioni e un progetto mediterraneo

    La famiglia Tommasi continua a scrivere nuove pagine della propria storia enologica, questa volta in Puglia. Con l’ingresso di Tenuta Eméra a Lizzano e della Cantina Moros a Guagnano, il progetto di Masseria Surani si consolida e guarda al futuro con un respiro sempre più ampio.

    L’operazione segna anche un passaggio generazionale importante: Claudio Quarta, figura di rilievo del vino pugliese contemporaneo, annuncia il proprio ritiro, lasciando il testimone alla famiglia Tommasi. Ma il filo non si spezza: la figlia Alessandra Quarta continuerà a collaborare per garantire continuità e sviluppo al percorso avviato più di quindici anni fa.

    Claudio e Alessandra Quarta

    Quella di Claudio Quarta è una vicenda che somiglia a un ritorno romantico. Nel 2005, dopo una carriera da ricercatore e imprenditore farmaceutico negli Stati Uniti, scelse di tornare in Salento, la terra della sua infanzia, per inseguire la passione del vino. Con lui, dal 2012, Alessandra: formazione internazionale e la volontà di trasformare la passione in progetto, unendo ricerca e innovazione a tradizione e sostenibilità.

    Masseria Surani_Cantina Moros

    Per la famiglia Tommasi, già presente in Puglia dal 2012 con Masseria Surani a Manduria, l’acquisizione rappresenta un tassello strategico: «È una grande opportunità – sottolinea Giancarlo Tommasi, enologo e direttore tecnico – che ci permette di rafforzare la nostra presenza e di integrare nuove cantine di vinificazione e imbottigliamento». Il gruppo raggiunge così un patrimonio di oltre 800 ettari vitati in tutta Italia, confermando la propria vocazione ad abbracciare territori diversi e identitari.

    Masseria Surani_Tenuta Espera

    Il portafoglio pugliese di Tommasi Family Estates si articola ora su tre poli:

    Tenuta Espéra a Manduria, cuore originario del progetto, con etichette dedicate alla ristorazione e legate al Primitivo;

    Tenuta Eméra a Lizzano, dove si coltivano Primitivo Doc, Fiano e Negroamaro Rosé;

    Cantina Moros a Guagnano, custode del Salice Salentino Doc Riserva.

    Per Alessandra Quarta, la scelta di affiancare la famiglia Tommasi nasce da una visione pragmatica e al tempo stesso affettiva: «Cercavo un approdo solido per crescere sui mercati globali – racconta – e sono certa che insieme potremo far fiorire il progetto avviato con papà, generando nuove opportunità per il territorio».

    Tommasi IV generation

    Con questa mossa, Tommasi completa il proprio mosaico mediterraneo: Salento in Puglia, Vulture in Basilicata con Paternoster, Etna in Sicilia con Ammura. Una geografia che racconta la ricchezza dei terroir del Sud e la loro capacità di parlare al mondo, mantenendo un legame stretto con la tradizione.

    In questa visione, la Puglia non è solo un luogo di produzione, ma un territorio da ascoltare e interpretare. Un laboratorio dove il vino diventa racconto, memoria e al tempo stesso progetto, capace di restituire l’identità locale in una prospettiva internazionale. LEGGI TUTTO