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    Duckhorn – risultati 2024 e… OPA per il ritiro dal mercato

    Dopo poco tempo dall’introduzione in borsa, Duckhorn potrebbe essere delistata in segito all’offerta giunta dal private equity Butterfly, che ha offerto un prezzo di 11.1 dollari per azione, il 65% in più rispetto al prezzo medio delle azioni dei tre mesi precedenti. C’è da dire che la performance delle azioni è stata straordinariamente negativa negli ultimi a partire dal picco di circa 22-23 dollari di fine 2022 fino ai 5 dollari o poco più dei giorni precedenti all’annuncio, frutto di una combinazione di eventi tra i quali ci sono certamente un’acquisizione da 50 milioni di dollari fatta in un momento di mercato difficile e, negli ultimi 2 anni, il mancato o quasi raggiungimento degli obiettivi annunciati al mercato. A questo punto è molto probabile che l’operazione vada a buon fine, essendo stata accettata dal consiglio di amministrazione di Duckhorn.
    Tornando ai risultati 2024, sono stati più o meno in linea con gli obiettivi che erano stati forniti al mercato, con la piccola annotazione che ad “aiutare” è arrivata una acquisizione che nella seconda parte dell’anno ha dato un contributo. Se l’EBITDA di 155 è stato nella forchetta di 150-155 milioni, le vendite di 405 milioni non sono state in linea con gli obiettivi (420-430) nemmeno considerando questo contributo. E il debito è salito ulteriormente, a 300 milioni toccando le 2x volte l’EBITDA.
    Proseguiamo il commento con il dettaglio dei numeri, tabelle e grafici.

    Le vendite di 405 milioni sono l’1% sopra il 2023 ma senza l’apporto dell’acquisizione di Sonoma-Cutrer sarebbero calate del 4.6%. Per divisione, sono calate del 4% le vendite all’ingrosso a ristoranti e negozi della California e del 7% le vendite dirette, mentre crescono del 3% le vendite classiche all’ingrosso, che poi rappresentano il 70% del fatturato. I volumi sono cresciuti del 3%, compensati dal peggior prezzo mix.
    Il gross margin al 53% è stato leggermente diluito dall’acquisizione, altrimenti sarebbe stato al 54%, mentre l’EBITDA di 155 milioni di euro è nella parte alta della forchetta per il 2024 ma non si dice il contributo dell’acquisizione (8 milioni a livello di gross profit).
    L’utile netto aggiustato di 75 milioni è sotto l’obiettivo di circa 79 milioni e i 77 dello scorso anno, anche a causa del forte incremento degli oneri finanziari (da 12 a 18 milioni).
    L’azienda ha poi registrato quasi 20 milioni di dollari di oneri straordinari, talchè l’utile dichiarato è stato di 56 milioni, ben sotto i 69 dell’anno scorso.
    Il debito sale da 227 a 301 milioni di dollari, per un rapporto sull’EBITDA che passa da 1.6 a 1.9 volte. Ovviamente l’acquisizione ha contato per il 100% sul debito ma non completamente sui risultati. L’acquisizione è costata 50 milioni, cui si sono aggiunti 28 milioni di altri investimenti. Non sono stati pagati dividendi.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Lunelli (Ferrari)– risultati e analisi di bilancio 2023

    Le parole caute contenute nella relazione dell’anno scorso circa l’andamento del 2023 sono un buon punto di partenza per analizzare il bilancio di Lunelli. A dire il vero, l’anno si è chiuso con il risultato netto più elevato di sempre, 26 milioni di euro. Si tratta però di un risultato maturato “al di sotto dell’utile operativo”, quindi grazie al contributo dei proventi derivanti dal portafoglio di attività finanziarie. Se invece guardiamo l’andamento del “core business”, ossia gli spumanti Ferrari, Bisol, Tassoni, Surgiva e via dicendo ci troviamo davanti a un quadro meno positivo di quello del record 2022.
    Le vendite sono calate del 4% a 146 milioni di euro, l’EBITDA scende da 29 a 26 milioni di euro e l’utile operativo è influenzato anche da una svalutazione straordinaria, passando quindi da 13 a 6 milioni di euro. Leggendo il bilancio è evidente la volontà di investire nei marchi, mantenendone il posizionamento con azioni di marketing e soprattutto con la scelta di non cedere sui prezzi, eliminando anzi le promozioni. È anche evidente che il ritmo di crescita di Ferrari degli ultimi anni è forse stato troppo veloce e lo stop del 2023 (ricavi stabili) deriva non solo dalla necessità di normalizzare le scorte nella distribuzione ma dall’esigenza di far maturare i prodotti al punto giusto, senza affrettarne la vendita sul mercato. Anche l’inizio del 2024 (primo trimestre) è stato in contrazione.
    Bene, fatta questa premessa, ulteriori dettagli sui risultati consolidati e dei principali marchi sono nel resto del post.

    Le vendite calano del 4.4% a 146 milioni di euro, con un -4% per l’Italia a 118 milioni e un -6% per l’estero a 28 milioni.
    Ferrari ha un fatturato stabile di 102 milioni, con volumi in calo a circa 6 milioni di bottiglie. Le vendite di Bisol calano del 5% circa a 27.5 milioni di euro nonostante un calo dei volumi del 12%. Tassoni ha invece raggiunto il record di fatturato a 13 milioni (+8%) anche se i suoi risultati sono stati impattati dall’aumento del costo delle materie prime, per i quali era stato protetto nel 2022 dalle coperture. Surgiva ha fatturato 10 milioni, +18%, con 38 milioni di bottiglie vendute. Sono stati buoni anche i risultati delle Tenute Lunelli (6 milioni di fatturato, +10%, con 400mila bottiglie vendute).
    L’utile netto del gruppo è stato guidato dalle componenti non operative, con proventi finanziari di 17 milioni, contro i 5 del 2022, e rivalutazioni per 5 contro 1 del 2022. L’utile netto di Ferrari è stato invece in calo da 12 milioni a 9 milioni (anche influenzato dalle decisioni di finanziamento delle controllate), mentre quello di Bisol passa da un leggero utile a una perdita di 1 milione.
    A livello finanziario, il gruppo ha un debito netto di 44 milioni, in crescita rispetto ai 30, a fronte però di un portafoglio di partecipazioni di 111 milioni, di cui oltre 30 in aziende quotate in borsa. Nel corso del 2023, Lunelli ha investito 17 milioni di euro e ha pagato 6.5 milioni di dividendi ai soci, rispetto a 5 milioni pagati nel 2022.

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    Australia – produzione di vino 2024

    Per il secondo anno consecutivo la produzione di vino in Australia non supera 10 milioni di ettolitri, e il dato 2024 dovrebbe proprio porsi su questo livello, ossia il 18% meno della media decennale, anche se il 5% in più dell’anno scorso. La notizia vera all’interno di questa serie di dati non è però questa. Per la prima volta, infatti, la produzione di vino bianchi supera quella dei vini rossi (leggermente), e la produzione di Chardonnay supera quella dello Shiraz. Verrebbe da dire: segno dei tempi. Si beve sempre meno vino, quindi bisogna produrne di meno, si beve (in conseguenza delle nuove abitudini alimentari) sempre meno vino rosso e sempre più vino bianco. E l’Australia si “adegua” per ribilanciare una struttura produttiva fortemente danneggiata dai dazi cinesi, che però proprio dal secondo trimestre 2024 sono stati rimossi. I dati delle esportazioni hanno immediatamente mostrato un forte miglioramento (+0.2 milioni di ettolitri spediti nel solo secondo trimestre). Ora concentriamoci però sui dati produttivi. Nel post trovate ulteriori grafici e la tabella con tutti i numeri.

    La produzione di uva 2024 dell’Australia è stata di 1.4 milioni di tonnellate di uva (-18% rispetto alla media decennale), di cui 722mila bianche (-11%) e 702mila rosse (-24%), per un equivalente prodotto di vino di circa 9.9-10 milioni di ettolitri, ossia il 5% in più dell’anno scorso ma il 18% in meno del dato storico (lo potete notare molto bene dal grafico).
    Tra i vini bianchi spicca la crescita dello Chardonnay, +27% sul 2023 e soltanto il 7% sotto il dato storico a 333mila tonnellate di uva, mentre è stabile la produzione di Sauvignon Blanc, 89mila tonnellate (-6% sullo storico). Cresce sul 2023 anche il Pinot Grigio, +23% a 71mila tonnellate, il 3% sotto i dato storico.
    Nel segmento dei vini rossi per la prima volta lo Shiraz scende sotto le 300mila tonnellate di uva, con un calo del 16% sul 2023 e del 31% sotto la media storica. Resta depressa anche la produzione di Cabernet Sauvignon, anche se stabile sul 2023 al -36% sulla media storica. Idem per il Merlot, mentre sono positivi (anche se poco rilevanti) i dati del Pinot Nero.
    Chiudiamo con i prezzi delle uve e quindi le “vendite all’origine” del sistema vinicolo australiano. I prezzi sono calati del 2% e quindi con produzione +5% e prezzi -2% il valore della produzione si attesta a +3% per circa 1 miliardo di dollari australiani. Per intenderci siamo il 15% circa sotto il livello del 2019 in termini nominali. Quindi se ci mettete anche l’inflazione (che non è stata poca nel periodo…) il calo in termini reali viaggia facilmente nell’ordine del 25-30%. Vediamo se la riapertura cinese e la produzione più limitata e meglio orientata contribuiranno alla ripresa dei prezzi.

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    Vendite al dettaglio di vino (GDO Italia) – dati Circana, primi 9 mesi 2024

    Un’estate tranquilla per il mercato del vino. Le vendite trimestrali nella GDO sono cresciute dell’1.3% a 727 milioni di euro, con una leggera differenza a favore degli spumanti e molte delle tendenze già viste nei trimestri precedenti: i vini rosati che crescono più dei bianchi, a loro volta meglio dei rossi e i vini IGT meglio dei DOC. Queste “divaricazioni” che vedete nei grafici sono partite all’inizio del 2022, forse quando siamo usciti dai problemi del Covid. Una novità che sembra piano piano imporsi è invece nei vini spumanti dove la corsa del Prosecco sembra essersi esaurita verso la fine del 2023 e cominciamo a vedere un andamento più positivo per gli spumanti metodo classico. Per chiudere e per non lasciare indietro niente: si beve sempre di meno: -2% nel terzo trimestre e -1.5% nei 9 mesi dell’anno. Se confrontato con il dato 2019, quindi pre-Covid, spendiamo a fine settembre 2024 il 15% in più e beviamo il 4% in meno, per un prezzo cresciuto del 20%.
    Passiamo in rassegna nel resto del post i principali dati con tutte le tabelle riassuntive per categoria.

    Le vendite al dettaglio di vino nella GDO nel terzo trimestre crescono dell’1% a 556 milioni per i vini fermi e del 2.2% a 163 milioni per gli spumanti. Lo Champagne, categoria separata, cresce del 9% a 6 milioni di euro. Nei 9 mesi i dati sono sovrapponibili: +1.5% per il totale, +1.2% per i vini fermi e +3% per gli spumanti.
    I volumi venduti sono come dicevamo in calo. Stiamo parlando dell’1.5-2% per un volume venduto di 1.73 milioni di litri nel trimestre e 5.3 milioni di litri nei 9 mesi.
    Rosati, bianchi e rossi dicevamo, +4.6%, +2% e -1% rispettivamente in un trimestre che forse avrebbe anche favorito i vini rossi visto il clima mite di luglio e settembre. Le percentuali sono quasi perfettamente sovrapponibili a quelle dei primi 9 mesi dell’anno e su questo periodo per la prima volta si sono bevuti più bianchi e rosati che non vini rossi (io provo a compensare però ho bisogno che qualcuno mi aiuti!).
    Negli spumanti, la novità da qualche tempo è il recupero dei metodo classico, +8% nel terzo trimestre e +7% nei 9 mesi, contro il +1.5% e +2.6% rispettivamente per gli Charmat secchi. Stiamo parlando di un rapporto 1:5 tra le due categorie ma certamente è un segnale che va nella direzione contraria rispetto a quello dei vini fermi dove gli IGT crescono più dei DOC, a sottolineare una moderazione del mix dei consumi degli italiani.

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    Esportazioni di vino Italia – aggiornamento luglio 2024

    Le esportazioni di vino procedono a un ritmo altalenante: dopo due mesi negativi, in luglio il dato totale segna +10%, con un anomalo incremento dei vini fermi in bottiglia a +11%. La conclusione è comunque positiva, dato che parliamo di un dato positivo del 4% dall’inizio dell’anno. Dando una sbirciatina ai dati francesi (molto peggio dei nostri nei primi sei mesi), a luglio le esportazioni sono cresciute dell’11%, per poi ritracciare con un -9% in agosto, quando però i valori in gioco sono molto diversi.
    Seppure il dato non sia rilevante in termini assoluti, va rimarcato l’andamento recente molto negativo degli spumanti DOP ex Prosecco (-13% in luglio e -4% da inizio anno, contro il +10/11% che il Prosecco continua a mostrare), mentre dal punto di vista dei maggiori mercati, possiamo ben dire che luglio è stato un mese di “inversione” delle tendenze. I mercati più deboli negli scorsi mesi sono cresciuti molto, quelli che erano andati bene sono stati meno positivi.
    Bene, numerose tabelle sono incluse nel resto del post, con ulteriori grafici.

    Le esportazioni in luglio sono cresciute del 10% a 750 milioni, portando il saldo da fine anno a 4.64 miliardi, +4%. Il dato è determinato da un incremento dei volumi del 3% a 12.67 milioni di ettolitri per i 7 mesi, e di un miglioramento dell’1% del prezzo mix a 3.66 euro al litro. Nel mese di luglio (per quello che vale) la componente prezzo è stata del 6%, quella volume del 4%.
    I vini fermi con il rimbalzo di luglio si riportano a +3% da inizio anno, interamente attribuibile ai volumi, mentre per i vini spumanti la componente volume è a +11% (3.04 milioni di ettolitri), quindi il +7% da inizio anno (1.3 miliardi) corrisponde in realtà a un peggioramento del prezzo-mix del 3%, che si nota anche sul dato del Prosecco.
    Gli USA sono a +7% alla fine dei 7 mesi per 1123 milioni, la Germania è stabile a poco meno di 700 milioni mentre il Regno Unito cresce leggermente (+2%) a 464 milioni. Nonostante il rimbalzo di luglio (+16%), la Svizzera resta negativa del 3% da inizio anno a 228 milioni. Il Canada è il quinto mercato del nostro export, +2% a 211 milioni, mentre la Francia è in calo del 5% a 186 milioni.
    Negli vini fermi, soltanto gli USA sono in crescita (+8%) mentre il dato è stabile per Germania, Regno Unito, Canada e Svizzera, sempre parlando dei 7 mesi. Negli spumanti USA, Regno Unito, Germania e Francia sono i primi 4 mercati e crescono tutti tra il 5% e l’8%, mentre fa specie il boom della Russia, ormai quinto mercato con un incremento del 69% rispetto allo scorso anno. La Cina resta debole: le spedizioni furono 59 milioni nel 2023 fino a luglio, sono scese a 50 milioni di euro nel corrispondente periodo del 2024.

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    Delegat Group – risultati 2024

    Delegat non è più la “lepre” delle aziende vinicole quotate. Dopo i dati scricchiolanti del 2022/23, nel 2023/24 (anno chiuso a giugno) l’azienda non è riuscita a far crescere le vendite e ha mancato gli obiettivi che aveva comunicato a inizio anno. Tuttavia, il management ha rimarcato che l’andamento dell’anno è stato molto soddisfacente se si considerano le mutate condizioni del mercato.
    Per venire ai numeri, le vendite sono rimaste stabili a 376 milioni di dollari neozelandesi mentre i dati di EBITDA e utile operativo normalizzati segnano un progresso del 6-7% sull’anno scorso, con l’utile netto stabile a 60 milioni e come dicevamo inferiore alla forchetta annunciata l’anno scorso. Oltre ai mancati obiettivi, anche le previsioni sono state delundenti: i volumi non sono previsti in leggerissimo calo poco sotto 3.6 milioni di casse e l’obiettivo triennale passa da 4.1 a 3.9 milioni di casse. Soprattutto, l’utile netto è previsto tra 55 e 60 milioni, dunque nel migliore dei casi allineato a quello del 2023-24, che a sua volta era stato stabile rispetto al 2022-23. Il risultato è un andamento borsistico molto negativo. Le azioni hanno perso il 30% da un anno a questa parte e valgono di questi tempi circa 600 milioni di dollari neozelandesi, cui si aggiungono 360 milioni di debiti (in crescita).
    Nel resto del post, tabelle, ulteriori grafici e un commento più dettagliato.

    Le vendite sono stabili a 376 milioni, con un calo del 2% dei volumi a 3.61 milioni di casse e un progresso del prezzo medio del 2% a 104 dollari per cassa. Dal punto di vista geografico, i volumi sono calati del 4% in Europa a 1.18 milioni di casse, dell’1% in Nord America a 1.72 milioni e sono invece cresciute del 2% in APAC a 706mila casse.
    Le previsioni di 3.9 milioni di casse al 2027 hanno “perso” il dettaglio per area anche se il Nord America è menzionato come il mercato di crescita primario per il gruppo.
    I margini sono in leggero recupero sull’anno scorso e questo consente una crescita del 6% dell’utile operativo a 103 milioni, aiutato anche dall’andamento favorevole dei cambi oltre che dal miglioramento del prezzo-mix che ha sostenuto il margine lordo (passato dal 43% al 46%). Il maggiore debito e i tassi di interessi in crescita hanno però determinato una crescita degli oneri finanziari, oltre a una maggiore tassazione e dunque l’utile netto è rimasto stabile a 60 milioni.
    Dal punto di vista finanziario, il debito sale da 319 a 360 milioni di dollari, dopo aver pagato investimenti per 70 milioni e dividendi per 20 milioni, con una generazione di cassa dichiarata dal gruppo in calo del 5% sull’anno scorso a 57 milioni di dollari.

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    Constellation Brands – risultati primo semestre 2024

    Tempi duri anche per Constellation Brands, che ha dovuto pubblicare un aggiornamento ad hoc a inizio settembre per ridurre alcuni degli obiettivi comunicati al mercato per l’anno e ha riportato risultati oggettivamente disastrosi nel secondo trimestre a inizio ottobre. E questa volta la colpa è proprio della divisione vino: le prospettive per l’anno sono passate da vendite stabili a un calo del 4-6%, e da un utile operativo in calo del 10% circa al -17%. Oltre a questo, e si vede bene nei numeri del secondo trimestre, l’azienda ha svalutato i marchi del segmento vino per 2.25 miliardi di dollari (misura che non determina esborsi di cassa), il che ha portato il bilancio del secondo trimestre a una perdita di 1.2 miliardi di dollari. Per dire la verità nonostante il disastro della divisione vino, un misto tra mercato e immagino iniziative non andate a buon fine, gli obiettivi “totali” del gruppo non sono cambiati, anzi sono anche leggermente migliorati grazie all’andamento sempre ottimo della divisione birra (i cui obiettivi sono stati leggermente alzati), da un po’ di oneri finanziari in meno. E dunque anche il titolo in borsa non ne ha risentito più di tanto, rimanendo circa stabile anno-su-anno in un contesto piuttosto negativo per le aziende che si occupano di bevande alcoliche.
    La considerazione a valle di questi dati è più ampia. Siamo di fronte a un cambio di passo per il mondo del vino? Questi dati sono solo l’ultimo di una serie di post in cui mettiamo in luce un problema di crescita (o meglio di calo) per le grandi aziende vinicole nel 2024. Pensiamo a LVMH o a altri campioni di crescita come Delegat in Nuova Zelanda o, nel passato, Concha y Toro. E pensiamo anche a quello che ha scritto il Financial Times qualche tempo fa a proposito della vendita della divisione vino da parte di Pernod Ricard (link alla nostra traduzione).
    Passiamo a commentare qualche dato.

    Le vendite di CBrands del secondo trimestre sono state in crescita del 3% a livello consolidato, con un calo del 12-13% per la divisione vino e una crescita del 6% della divisione birra. Nel secondo trimestre la divisione vino e spiriti pesa il 13% delle vendite del gruppo, il vino in senso stretto il 12% del totale. Nella divisione vino va notato l’orrendo calo del 18% delle vendite al dettaglio dei prodotti CBrands nel secondo trimestre.
    Lasciando stare la svalutazione dei marchi, la divisione vino ha mantenuto un margine stabile nonostante il calo delle vendite al 18% circa nel trimestre (utile operativo) realizzando 71 milioni contro gli 81 dello scorso anno. La divisione birra ha invece un margine del 38% per un utile operativo che sfiora il miliardo di dollari in soli 3 mesi.
    Passando alla parte finanziaria, CBrands ha rassicurato i mercati circa i piani di remunerazione degli azionisti, nell’ambito dell’obiettivo di tenersi intorno a 3 volte il rapporto debito/EBITDA. Alla fine del trimestre proprio a 3 volte stiamo, con un debito di 11.5 miliardi di dollari e 3.8 miliardi di EBITDA. E nei primi 6 mesi dell’anno, sono stati pagati oltre 800 milioni di dollari (rispetto a una capitalizzazione di 45 miliardi, quindi “annualizzando” intorno al 3.6% di rendimento), più o meno tanti quanti ne sono stati investiti.

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    Advini – risultati primo semestre 2024

    Il semestre difficile del mercato del vino si riflette anche sulle vendite di Advini, in calo del 2% rispetto al 2023. L’azienda francese ha però intrapreso un percorso molto ambizioso di taglio dei costi dopo gli orrendi risultati soprattutto della prima parte del 2023 e i primi risultati cominciano a vedersi. Il mix del fatturato verso le marche proprie cresce al 42% del totale (36% l’anno scorso), con un impatto favorevole sui margini di profitto, il controllo dei costi (personale stabile e servizi esterni “tagliati”) consente di recuperare oltre 1 milione di euro per un EBITDA semestrale che cresce da 7.4 a 9.0 milioni di euro. Siamo sempre sotto gli 11 di un paio di anni fa, ma i progressi si vedono. Anche il debito, uno dei grandi problemi recenti dell’azienda dopo tutte le acquisizioni, comincia a stabilizzarsi (anche se sale ancora un pochino).
    Le azioni di Advini restano intorno ai minimi storici, per un valore di borsa di 53 milioni di euro.
    Il management propone un quadro riassuntivo dove indica gli obiettivi e il loro raggiungimento… Advini è avanti sul taglio dei costi, in linea su tutti gli altri obiettivi. In conclusione, si prevede un secondo semestre in netto recupero.
    Passiamo a un breve commento dei dati.

    Le vendite calano del 2% a 138 milioni. Advini ritiene di essere andata molto meglio dei concorrenti nell’Europa del Nord e negli USA, mentre ha pagato pegno nel mercato francese (-9%). Il calo delle vendite si legge con un -1.6% organico e un -0.3% derivante dai cambi.
    I margini sono in recupero. Il margine “industriale” sale dal 36.6% al 37%, grazie all’incremento dei prodotti di marca, mentre il taglio dei costi consente anche un recupero in valore assoluto dell’EBITDA e dell’utile operativo. Quest’ultimo chiude a 2.6 milioni di euro contro il pareggio del semestre 2023.
    Purtroppo gli oneri finanziari salgono a 5 milioni (considerati il picco dal management) e il bilancio chiude con 2.5 milioni di perdita, comunque in calo rispetto ai 4.1 dell’anno scorso.
    A livello di struttura finanziaria, il debito sale a 175 milioni, rispetto a 167 dell’anno scorso a giugno e 174 a fine anno 2023 (tutti dati escluso IFRS16). A livello operativo la generazione di cassa è stata di 3.6 milioni (con un taglio importante degli investimenti e un controllo molto più stringente delle scorte), “mangiata” dai 5 milioni di oneri finanziari. Come dicevo, secondo il management siamo arrivati al punto di inversione del debito, che a fine giugno era a 11 volte l’EBITDA (12x a fine 2023). LEGGI TUTTO